Il sistema di difesa israeliano Iron Dome (Cupola di Ferro), un tempo decantato, ora rovinato da fallimenti tecnici e scandali sanitari, rivela una fatiscente illusione di invulnerabilità che non può proteggere dalle sofisticate vaste incursioni missilistiche dell’Asse della Resistenza.
Fonte: English version
Di Anis Raiss – 14 agosto 2024
Iron Dome, promosso come lo scudo di difesa più efficace di Israele, è stato progettato per proiettare un’immagine di sicurezza e superiorità tecnologica. Propagandato come un sistema di difesa aerea mobile all’avanguardia, doveva simboleggiare una barriera impenetrabile che salvaguardasse lo Stato di Occupazione dalle minacce esterne.
Tuttavia, la realtà rivela un quadro diverso: proprio come un bambino in costume da cavaliere, impressionante contro le spade di plastica ma del tutto indifeso contro le armi vere, l’Iron Dome eccelle soprattutto contro le armi relativamente rozze della Resistenza Palestinese a Gaza.
L’immagine attentamente realizzata da Israele della sua arma difensiva più apprezzata è parte di uno sforzo di caratterizzazione più ampio, radicato nelle tecniche sperimentate da Edward Bernays. Lo Stato di Occupazione si è affermato come una società cosmopolita, progressista e democratica, in netto contrasto con i vicini stati dell’Asia Occidentale, che descrive come violenti e repressivi.
L’Iron Dome non è solo un sistema di difesa ma anche una costruzione psicologica progettata per rafforzare l’immagine di un’entità invulnerabile sotto costante minaccia da parte dei vicini meno illuminati.
Uno scudo che si sgretola nel nord
Nonostante la sua reputazione, le prestazioni dell’Iron Dome sono state spesso insufficienti. Sono emersi numerosi video che mostrano malfunzionamenti: i missili Tamir eseguono manovre irregolari, esplodono vicino ad aree civili o vengono attivati da falsi allarmi e causano danni alle infrastrutture.
Questi fallimenti contrastano nettamente con le affermazioni di Israele di un tasso di intercettazione del 90-99%. Il professore emerito Theodore Postal del Massachusetts Institute of Technology (MIT) offre una valutazione molto diversa. “Direi che il tasso di intercettazione è nella migliore delle ipotesi del 4 o 5%”, ha detto Postal in un’intervista al Boston Globe lo scorso ottobre.
In uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista di studi sulla sicurezza globale, Journal of Global Security Studies, anche Michael Armstrong mette in dubbio il tasso di intercettazione “dal 90 al 99%” pubblicizzato da Iron Dome. Tanto per cominciare, chiarisce che “il tasso di intercettazione è la percentuale di razzi distrutti prima che colpiscano le aree difese; ignora i razzi sulle aree indifese”.
In altre parole, il sistema di difesa prende di mira principalmente solo una piccola parte dei razzi lanciati. Ad esempio, i funzionari israeliani hanno affermato che dei circa 1.000 razzi lanciati contro Israele da Hamas durante l’Operazione Pilastro di Difesa del novembre 2012, Iron Dome ne ha identificato due terzi come “non costituenti una minaccia” e ha intercettato solo il 90% dei restanti 300 razzi. Armstrong sottolinea ulteriori lacune nei calcoli dei sostenitori di Iron Dome:
L’analisi empirica suggerisce che le batterie Iron Dome hanno intercettato meno del 32% di tutti i razzi pericolosi durante l’Operazione Pilastro di Difesa, ma tra il 59 e il 75% durante l’Operazione Margine Protettivo. I calcoli suggeriscono inoltre che il numero di razzi che hanno colpito aree popolate durante l’Operazione Pilastro di Difesa potrebbe essere stato sottovalutato. Il numero delle minacce alle aree popolate, d’altro canto, potrebbe essere stato sopravvalutato. Ciò implica che il tasso di intercettazione effettivo di Iron Dome potrebbe essere stato significativamente inferiore a quanto riportato.
La situazione è particolarmente grave nei Territori Occupati del Nord, dove la città di Kiryat Shmona, un insediamento un tempo ritenuto sotto la protezione dell’Iron Dome, ha visto la sua popolazione fuggire dalle crescenti minacce.
Migliaia di residenti hanno abbandonato le loro case, mettendo in luce le vulnerabilità che l’Iron Dome avrebbe dovuto eliminare. Con l’espansione delle sue regole di ingaggio da parte di Hezbollah, è probabile che il numero degli sfollati aumenti, mettendo ulteriormente in luce le inadeguatezze del sistema.
Mentre Israele si affanna disperatamente per espandere le sue opzioni di difesa, le nuove soluzioni si rivelano ugualmente imperfette, lasciando la popolazione vulnerabile sotto un sistema di difesa che non è più all’altezza del suo mito. Lo scudo, un tempo tanto decantato, si sta sgretolando e, con esso, la narrazione attentamente costruita dell’invincibilità che ha a lungo sostenuto la strategia di sicurezza di Israele.
La maledizione del cancro di Iron Dome
Sotto la superficie dell’Iron Dome di Israele si trova una realtà più oscura e inquietante, che minaccia non solo il mito dell’invincibilità ma anche la vita di coloro che gestiscono questo scudo. Un’indagine del 2021 condotta dal quotidiano israeliano Yediot Ahronoth ha rivelato gravi accuse sui rischi per la salute affrontati dai soldati di Occupazione di stanza vicino ai potenti sistemi radar dell’Iron Dome.
Questi sistemi radar, soprannominati “il cippatore” e “il tostapane” da coloro che lavorano nelle loro vicinanze, emettono un calore intenso, trasformando l’ambiente circostante in un microonde invisibile. Diversi soldati si sono fatti avanti con testimonianze strazianti di malattie mortali che credono siano legate al loro servizio.
Ran Mazur, a cui fu diagnosticato un cancro alle ossa un anno dopo il suo congedo, descrisse il dolore lancinante che lo tormentava durante il servizio, dolore che i medici militari ignoravano troppo facilmente.
Yonatan Chaimovich ha paragonato l’esperienza di stare vicino al radar come al corpo che “ribolle dall’interno”, una metafora inquietante che cattura i pericoli invisibili della loro esposizione. Shir Tahar e Omer Hili Levy, entrambi i quali hanno sviluppato un cancro dopo il servizio militare, sono tra i tanti che credono che le loro malattie siano indissolubilmente legate al tempo trascorso all’ombra dell’Iron Dome.
Nonostante questi resoconti, l’esercito israeliano ha fermamente negato qualsiasi aumento insolito dei tassi di cancro tra il personale dell’Iron Dome. Affermano che i loro estesi protocolli di monitoraggio e sicurezza non hanno mostrato differenze significative nella morbilità tra i soldati dell’Iron Dome e quelli di altre unità militari.
Ma i numeri raccontano una storia diversa: nel 2011, su 240 soldati arruolati in tre cicli di addestramento per l’Iron Dome, almeno sei hanno sviluppato un cancro durante o subito dopo il servizio, una statistica che solleva interrogativi sul reale costo operativo di questo sistema di difesa.
Dal 7 ottobre, nessuna nuova indagine si è avventurata a scoprire quanti all’interno delle Forze di Occupazione Israeliane siano rimasti vittime della silenziosa minaccia dei tumori durante quest’ultima ondata di conflitto.
Illusioni ipertecnologiche
Se l’Iron Dome non fosse pieno di difetti, gli strateghi militari israeliani non si affretterebbero a esplorare alternative per mantenere l’illusione di invulnerabilità dello Stato. Gli sbarramenti Katyusha di Hezbollah, sebbene apparentemente primitivi, sono stati schierati tatticamente per sopraffare l’Iron Dome e individuarne le posizioni, costringendo Israele a riconsiderare la sua strategia di difesa.
L’adozione di “Magen Or” o Raggio di ferro, un nome che in ebraico si traduce in “Scudo di luce”. Sviluppato da Rafael Advanced Defense Systems, rappresenta l’ultimo tentativo dello Stato di Occupazione di stare al passo con l’Asse della Resistenza e mette in luce la crescente insicurezza di Israele.
A differenza dell’Iron Dome, che si basa su costosi missili intercettori, a circa 50.000 dollari (45.300 euro) ciascuno, l’Iron Beam promette di neutralizzare le minacce utilizzando un laser ad alta potenza, un concetto che sembra fantascientifico.
L’Iron Beam, tuttavia, è ancora in gran parte sperimentale e non testato nel combattimento reale. Dispiegato sul fronte di Gaza alla fine del 2023, deve ancora dimostrarsi un sistema di difesa affidabile nel caos della guerra.
L’adozione da parte di Israele della tecnologia laser, come Magen Or, fa parte di una tendenza più ampia nel settore della difesa, guidata non solo dall’innovazione ma anche da sostanziali pacchetti di aiuti da parte degli Stati Uniti. Questi fondi esteri, incanalati attraverso potenti lobby come AIPAC e J Street, contribuiscono a rappresentare Israele come una potenza tecnologica.
Tuttavia, questa immagine non è tanto una testimonianza dell’ingegnosità nazionale quanto piuttosto il prodotto di ingenti risorse finanziarie spesso spese in progetti costosi che potrebbero non resistere alla prova dei conflitti del mondo reale.
Strategie rischiose
La portata dell’Iron Beam è limitata a circa 10 chilometri e vacilla in condizioni meteorologiche avverse: un tallone d’Achille che potrebbe rivelarsi disastroso in un conflitto su vasta scala. Il sistema richiede grandi quantità di energia, fornita da un grande generatore, per produrre i raggi laser necessari al suo funzionamento.
Questa sfida logistica e la necessità di mantenere infrastrutture sofisticate fanno sembrare l’Iron Beam destinato a fallire sotto la reale pressione del combattimento.
Lo spostamento di Tel Aviv verso tecnologie avanzate come l’Iron Beam rivela un problema più profondo all’interno della sua strategia militare. Concentrandosi sulle difese ad alta tecnologia, Israele affronta i sintomi piuttosto che le cause profonde del conflitto in corso. Fare affidamento su una tecnologia non provata comporta il rischio di un fallimento catastrofico, soprattutto se combinato con il recente spostamento di Israele verso strategie più rischiose.
Ad aumentare la complessità c’è il sistema di guerra elettronica Scorpius G, un’altra soluzione innovativa pubblicizzata da Israele. Sviluppato da Israel Aerospace Industries (IAI), Scorpius G è progettato per rilevare, classificare, localizzare e disturbare sistemi radar avanzati.
Tuttavia, come l’Iron Beam, la prestazione dello Scorpius G sul campo rimane non dimostrata, illustrando ulteriormente la precarietà della posizione di difesa di Israele, che alla fine potrebbe lasciarlo vulnerabile nella sua affrettata ricerca di mantenere un vantaggio strategico.
Mentre l’Asse della Resistenza della regione continua le sue operazioni con precisione ed efficacia, e mentre i coloni israeliani nei Territori Occupati affrontano evacuazioni di massa, la pressione su questi nuovi sistemi di difesa è immensa.
Se questi sistemi forniranno la protezione promessa o crolleranno sotto il peso delle aspettative rimane una questione aperta, con conseguenze potenzialmente disastrose per la sicurezza e la stabilità di Israele.
Anis Raiss è un analista geopolitico indipendente specializzato in Medio Oriente e nel mondo multipolare emergente. Nato nei Paesi Bassi da immigrati berberi, il lavoro di Raiss è pubblicato nella cosiddetta epoca moderna dei samizdat olandesi. Il suo motto per l’analisi geopolitica è “omnibus dubitandum”, che significa iniziare dubitando di tutto. Raiss continua a fornire ai suoi lettori preziosi spunti sul complesso mondo della politica internazionale.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org