#MeToo a meno che non si tratti di Palestina: Perché le femministe occidentali ignorano gli stupri israeliani provati su palestinesi

Le femministe occidentali impongono un onere della prova maledettamente falsato sui casi di abusi sessuali in Palestina, portando a ignorare gli stupri israeliani, afferma Maryam Aldossari.

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di Maryam Aldossari – 14 agosto 2024

Immagine di copertina: Il genocidio a Gaza ha messo in luce i fallimenti del movimento femminista, gettando un’ombra di vergogna su di esso, scrive Maryam Aldossari [photo credit: Getty Images].

Personalità di alto profilo hanno scritto articoli in cui denunciavano il fatto che non si credesse alle testimonianze delle donne ebree e l’indebolimento del movimento #MeToo, mentre l’accusa di “stupro sistematico” è stata accolta con entusiasmo da governi, funzionari militari israeliani e schiere di media poco attenti.

Stabilire i fatti di violenza sessuale in tempo di guerra è una sfida, soprattutto perché il governo israeliano confonde deliberatamente le acque cambiando le narrazioni, presentando testimoni con rapporti non dichiarati con il governo e sospendendo le normali pratiche investigative.

Ma se è vero che dovremmo sempre credere alle donne e rimanere indignati di fronte agli stupri, è chiaro che l’affermazione dello “stupro sistematico” è stata strumentalizzata dal governo israeliano per giustificare il massacro dei palestinesi.

La domanda principale è quindi perché le aggressioni sessuali alle donne palestinesi non abbiano provocato un’analoga indignazione.

Negli ultimi dieci mesi, l’empatia selettiva di femministe e organizzazioni femministe di alto profilo nel Regno Unito è diventata sempre più evidente.

Mentre abbondano le dichiarazioni sui social media e gli articoli a sostegno delle donne israeliane, c’è un notevole silenzio sulle terribili condizioni delle donne palestinesi.

Il fatto che si trascuri deliberatamente l’ampio trauma sessuale e riproduttivo inflitto alle donne palestinesi dall’aggressione israeliana è preoccupante, soprattutto perché si suppone che dovrebbe essere una delle principali preoccupazioni del femminismo.

Dal 7 ottobre, centinaia di donne palestinesi sono state detenute da Israele e sottoposte a trattamenti disumani, tra cui torture sessuali, pestaggi, minacce di stupro e, in due casi accertati, stupri.

Le femministe occidentali chiudono un occhio

Anche se i due stupri accertati documentati nel rapporto delle Nazioni Unite del 19 febbraio 2024 dovessero essere in qualche modo trascurati, come si può ignorare la storia decennale di violenza di genere inflitta alle donne palestinesi dall’esercito israeliano negli ultimi 76 anni?

Numerosi rapporti che descrivono in dettaglio questa violenza contro donne e bambini palestinesi, molto prima del 7 ottobre, sono facilmente accessibili online.

Questi rapporti provengono dai principali gruppi israeliani per i diritti, come il Comitato pubblico contro la tortura in Israele, il Centro femminile per l’assistenza legale e la consulenza con sede a Gerusalemme e B’Tselem (un rapporto del 2009 tra i tanti), oltre a diversi rapporti delle Nazioni Unite.

Tutti questi rapporti, basati sui protocolli utilizzati nelle udienze legali, sulle denunce legali, sulla documentazione degli avvocati e sulle testimonianze dei detenuti, descrivono la violenza sessuale, la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti su palestinesi detenuti in Israele.

Supponiamo che il discorso femminista cerchi sinceramente di affrontare la violenza di genere in guerra. In questo caso, le atrocità in corso contro le donne palestinesi avrebbero dovuto essere incluse in tutti quegli articoli per sostenere l’integrità del movimento.

Nonostante le prove schiaccianti degli ultimi 10 mesi – 40.000 palestinesi uccisi, di cui circa la metà donne e bambini, e più di 21.000 bambini dati per dispersi – il movimento femminista non ha imparato dalla sua posizione iniziale unilaterale, quando le emozioni erano forti e le prospettive erano ristrette.

Le continue violenze subite da donne e bambini palestinesi continuano a essere clamorosamente trascurate. Allo stesso modo, il recente rapporto delle Nazioni Unite del 12 giugno 2024 sembra essere passato inosservato, non riuscendo a smuovere le coscienze o a suscitare una risposta decisa.

Questo rapporto ha descritto in dettaglio come le Forze di sicurezza israeliane abbiano sistematicamente preso di mira e sottoposto palestinesi a violenze sessuali e di genere, tra cui la nudità pubblica forzata, lo spogliarello pubblico forzato, la tortura e l’abuso a sfondo sessuale, l’umiliazione e le molestie sessuali.

Il rapporto ha anche documentato che i soldati israeliani si sono filmati mentre saccheggiavano le case, rovistando nei cassetti pieni di biancheria intima per deridere e umiliare le donne palestinesi, definendole “troie”, concludendo che questa violenza di genere aveva lo scopo di umiliare e degradare la popolazione palestinese nel suo complesso.

Una cultura della violenza sessuale

Questa violenza sessuale e di genere si è estesa anche agli uomini: il rapporto sottolinea che i maschi sono stati ripetutamente filmati e fotografati dai soldati mentre venivano sottoposti a spogliarelli e nudità pubbliche forzate, torture sessuali e trattamenti disumani.

Proprio la settimana scorsa, sono emersi filmati inquietanti dalla struttura di detenzione di Sde Teiman, che mostrerebbero lo stupro di gruppo di un palestinese da parte di soldati israeliani. I ministri israeliani, tra cui Bezalel Smotrich, si sono affrettati a condannare la diffusione del video piuttosto che il suo contenuto. Alcuni, come Hanoch Milwidsky del Likud, sono arrivati a giustificare lo stupro. Come previsto, le femministe occidentali sono rimaste in silenzio.

È sconcertante, ma non inaspettato, che ci sia poca simpatia per gli uomini arabi, spesso ritratti in stereotipi razzisti profondamente radicati come intrinsecamente misogini e barbari. Questo netto contrasto di empatia, consapevole o inconsapevole, mette in luce un palese pregiudizio tra le femministe di alto profilo nel Regno Unito e contribuisce a normalizzare le azioni di Israele contro i palestinesi.

L’assordante silenzio del resto della comunità femminista è altrettanto dannoso; ignorare le orribili immagini di Gaza degli ultimi dieci mesi segnala una disumanizzazione così profonda che la sofferenza ha perso il suo impatto.

Rimanere in silenzio su una delle peggiori atrocità contro donne e bambini della nostra vita è indifendibile. Quando il 70% delle persone uccise sono donne e bambini; quando le donne palestinesi scavano tra le macerie per trovare i loro figli scomparsi; quando le madri tengono in braccio i loro bambini senza vita; quando le famiglie muoiono bruciate nei campi profughi mentre dormono; quando le madri guardano i loro figli morire di fame come risultato della campagna di affamamento di Israele; e quando i bambini piangono per il cibo in condizioni di carestia, il silenzio non è una questione di “politicamente corretto” – è un tradimento dei principi femministi.

I recenti avvenimenti durante il genocidio di Gaza hanno messo in luce le mancanze del movimento femminista, gettando un’ombra di vergogna su di esso.

Durante una delle settimane più letali a Gaza dal 7 ottobre, alcune femministe si sono invece occupate e preoccupate di commentare il look “sexy” del primo ministro britannico Keir Starmer. Viviamo in un universo parallelo?

Questa deliberata attenzione a questioni superficiali, ignorando preoccupazioni pressanti, segnala una perdita di direzione del movimento e dimostra che coloro che lo guidano – molte delle quali un tempo erano degne di fiducia – nutrono razzismo anti-palestinese, anti-arabo e islamofobia.

Questo non potrebbe essere più evidente di quando alcune cosiddette femministe si sono allineate con figure come Tommy Robinson, un criminale condannato noto per la sua ideologia di estrema destra e per la promozione di false narrazioni su musulmani, richiedenti asilo e migranti, rispecchiando la preoccupante rinascita della retorica di estrema destra nel Regno Unito.

Sebbene queste opinioni abbiano portato alcuni fuori strada, rendendo difficile immaginare un loro ritorno, il movimento femminista ha ancora una speranza se riesce a tornare verso i suoi valori fondanti.

Una lezione lampante che si può trarre dagli eventi recenti è il razzismo diffuso tra alcune femministe del Regno Unito, poiché non è stata soddisfatta nemmeno la minima aspettativa, ovvero riconoscere le lotte delle donne palestinesi sottoposte a un’emarginazione sistemica.

Affinché il movimento femminista possa superare questa situazione, deve essere inequivocabilmente chiaro che non c’è spazio per il razzismo. Superare questo femminismo tribale che serve solo interessi selettivi richiede di riconoscere e affrontare i pregiudizi nel momento in cui emergono, ritenendo tutti responsabili.

Il potere collettivo della comunità femminista non dovrebbe mai essere sottovalutato. Così come alcune figure sono state elevate ad alto profilo, coloro che tradiscono i principi fondamentali del femminismo devono affrontare il rischio di diventare irrilevanti.

Scegliendo ponderatamente chi sostenere e chi elevare, sia come individui che come organizzazioni femministe, il movimento può sostenere la propria integrità e garantire che i suoi valori rimangano veramente inclusivi e antirazzisti. Non c’è spazio per il razzismo nel femminismo e, come ha saggiamente affermato Angela Davis, “in una società razzista non è sufficiente essere non razzisti, dobbiamo essere antirazzisti”.

Maryam Aldossari è docente senior presso la Royal Holloway, University of London. La sua ricerca si concentra sulla disuguaglianza di genere in Medio Oriente.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org