Sogni beduini nell’incubo del genocidio

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Ahmed Abu Artema  – The Electronic Intifada  7 ago- sto 2024

Immagine di copertina: Un campo per gli sfollati ad al-Mawasi, enormemente sovraffollato e privo di servizi igienici, acqua corrente o elettricità. Omar Ashtawy Immagini APA

Ho sempre sognato la vita beduina e immaginato di viverla.

Per me, la vita beduina significa libertà, intelligenza nativa e una semplicità di vita che ci guarisce dalle malattie della moderna civiltà industriale, dalla pressione per pagare le bollette, dall’inquinamento atmosferico e dal cibo contaminato dai conservanti.

Prima del genocidio in corso a Gaza da parte di Israele, spesso la sera mi sedevo con la mia famiglia davanti alla televisione e guardavo una serie beduina che esaltava la semplicità della vita nel deserto.

Il programma mostrava tribù che vivevano in oasi nel cuore del deserto, che costruivano case semplici, allevavano capre, cammelli, cavalli e polli. Quando qualcuno voleva girovagare, montava semplicemente a cavallo e partiva attraverso le vaste sabbie del deserto.

I beduini non avevano bisogno di passaporti o visti di transito, perché la loro terra era grande e non conosceva confini. Le persone vivevano di ciò che producevano dall’agricoltura e dall’allevamento.

Non c’erano debiti con le banche da pagare a rate per le case, le auto e i mobili che la vita moderna richiedeva. Una persona costruiva la propria casa in un’ora usando qualsiasi tessuto o pelle fosse disponibile e la smontava nello stesso tempo quando era il momento di andare via.

Mentre guardavo, mi dicevo che rinunciare ad alcuni aspetti della vita moderna era un prezzo che sarei stato disposto a pagare in cambio di una vita di libertà e semplicità.

Sì, vivono senza elettricità. Ma restano svegli la notte con la luna e le stelle.

Sì, non hanno l’aria condizionata o un ventilatore elettrico per proteggersi dal caldo. Ma imparano a rinfrescarsi con la brezza.

Sì, non hanno un frigorifero per conservare il cibo. Ma mangiano ciò che coltivano e allevano.

Sì, non hanno telefoni o Internet. Ma hanno incontri sociali, amicizie e comunità, dove, se qualcuno ha più di quanto gli serve, baratta con i vicini, non con un’azienda o un governo.

Questa è libertà.

Cambiamento radicale

Dal primo giorno di questa guerra genocida, il nostro stile di vita a Gaza è cambiato radicalmente.

Fin dall’inizio, Israele ha imposto un assedio serrato sulla Striscia di Gaza, compresi persino gli ospedali, proibendo l’ingresso di beni di prima necessità.

Superficialmente, le nostre vite e quelle dei beduini sembravano diventare simili.

Senza elettricità o carburante per alimentare i generatori, le persone si sono abituate a una notte nera come la pece, con solo la luna che illumina il cielo.

Senza carburante, non c’è traffico. Invece delle auto, le persone ora usano carri trainati da asini o cavalli.

I frigoriferi hanno smesso di funzionare e le persone sono tornate ai metodi dei nostri antenati per cucinare e preparare il cibo, sempre che riescano a trovarne.

Il riscaldamento ha smesso di funzionare durante l’inverno. E in estate non c’è aria condizionata. La gente di Gaza non ha più altra scelta per affrontare il freddo se non quella di usare coperte pesanti. Non hanno altra scelta per affrontare il caldo se non quella di versarsi addosso tutta l’acqua disponibile.

Le persone sono tornate a una vita profondamente semplificata. Non c’è acqua corrente e ogni giorno è scandito dalla ricerca, che spesso richiede lunghe distanze e lunghe attese in file estenuanti, per assicurarsi qualche gallone di acqua per uso domestico e potabile.

La maggior parte delle persone ha perso la casa, con stime che suggeriscono che dal 7 ottobre oltre il 70 percento delle case di Gaza è stato distrutto o danneggiato.

Non c’è un riparo. Viviamo in tende o costruiamo case di fortuna. Usando le mani nude, alcune persone hanno scavato latrine nella sabbia.

La scarsa legna da ardere è ora l’alternativa preferita al gas per cucinare. Vita senza dignità

A febbraio sono andato ad al-Mawasi, nel sud di Gaza, dove decine di migliaia di persone avevano cercato riparo dalle bombe israeliane.

La scena mi ha ricordato per la prima volta la serie televisiva che guardavo sulla vita beduina. Le tende erano montate su dune di sabbia a perdita d’occhio. Le donne lavavano i vestiti a mano all’aria aperta e stendevano i panni su corde.

La brezza marina soffiava tra le tende e i vestiti.

Per un breve momento, ho provato la gioia di vivere all’aria aperta. Ma questa, ovviamente, era un’illusione.

Le tende sono estremamente affollate, al punto di soffocare, lasciando poco spazio a una persona per provare un qualsiasi tipo di libertà, privacy o calma.

La folla in fila ai punti di distribuzione del cibo o in attesa dei camion dell’acqua rovina ogni idea dei benefici di una vita semplice. Mi sono voltato a sud e ho visto il confine tra Egitto e Palestina, dove all’epoca – ora che l’esercito israeliano ha preso il controllo del confine – l’esercito egiziano aveva eretto un muro di ferro seguito da un muro di filo spinato per impedire un esodo di massa di sfollati.

Questa non è la vita di libertà che l’anima desidera. La vita beduina non ha confini che impediscano alle persone di partire.

Prima del 7 ottobre Israele ci aveva dato la miseria di una vita in gabbia. Da allora ci ha privato di tutti i vantaggi di una vita semplice.

Le vite dei nostri antenati risuonavano con una certa libertà che comprendeva tutto, dalle pianure costiere alle alture e alle valli della Cisgiordania – e tutta la terra in mezzo.

La vita impostaci da Israele – una vita senza dignità – ci circonda con muri e recinti da ogni lato.

Le nostre anime sono stanche.

Dove un tempo piantavamo e mangiavamo ciò che raccoglievamo, ora nella pericolosa landa desolata del genocidio le persone non possono più nemmeno coltivare.

Il bombardamento indiscriminato e massiccio di Gaza da parte di Israele ha distrutto gran parte dei terreni agricoli di Gaza e devastato l’ambiente.

Il cielo di Gaza

Nei tempi antichi, il cielo notturno era considerato un punto di riferimento per la vita. Così, durante queste notti di guerra, ho pensato di approfittare almeno del buio per sentire veramente il vasto cielo.

Ma ho capito subito che il mio cielo non è lo stesso osservato dai poeti e dai profeti.

Il mio è un cielo di aerei da guerra, droni quadricotteri, droni di sorveglianza e caccia F-16, queste “meraviglie” della tecnologia americana e israeliana che hanno contribuito così tanto all’uccisione di oltre 39.000 persone del mio popolo.

Poeti e profeti un tempo osservavano il cielo con tranquillità per trovare rivelazione e ispirazione.

Alziamo lo sguardo al cielo con timorosa attesa

Sappiamo che è dal cielo che molto probabilmente verrà deciso se unirci al lungo convoglio di morte che ci offre la nostra unica libertà di movimento, oggi.

Ahmed Abu Artema è uno scrittore, attivista e rifugiato palestinese di Ramle.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente ugulai” -Invictapalestina.org