Sono fuggita da Gaza in Australia non per scelta, ma per una questione di sopravvivenza. Come posso essere un rischio per la sicurezza?

La mia vita a Gaza era costantemente a rischio. Se fossi rimasta, è molto probabile che sarei stata una dei 40.000 palestinesi uccisi da Israele.

Fonte: English version

di Plestia Alaqad – 19 agosto 2024

Immagine di copertina: : Plestia Alaqad a Gaza. “Come può il mondo essere così vasto, ma quando si tratta di noi palestinesi, non c’è abbastanza spazio per noi?”. Fotografia: Plestia Alaqad

Dove dovrebbero volare gli uccelli dopo l’ultimo cielo?”. Il poeta Mahmoud Darwish lo chiedeva decenni fa, e ogni giorno, negli ultimi 10 mesi, mi sono posta la stessa domanda. Come può il mondo essere così vasto, ma quando si tratta di noi palestinesi, non c’è abbastanza spazio per noi?

La mia vita a Gaza era costantemente a rischio e avrei potuto essere presa di mira e uccisa in qualsiasi momento. Se fossi rimasta, è molto probabile che sarei stata una dei 40.000 palestinesi uccisi da Israele, di cui ben 17.000 bambini, oltre 11.000 donne e 113 giornalisti come me. Uno studio di Lancet suggerisce addirittura che il bilancio di Gaza potrebbe superare i 186.000 morti.

Ho avuto meno di 24 ore di preavviso per lasciare Gaza, ma non è stato uno di quei momenti in cui essere entusiasta di fare le valigie per andare in vacanza. Mi sembrava di vivere tutto quello che mio nonno aveva vissuto durante la Nakba del 1948. Ho lasciato Gaza con il cuore pesante, un falso top di Dolce & Gabbana, una giacca nera e un rossetto.

E ora che sono fuggita e sopravvissuta, mi ritrovo questa settimana a essere un “rischio per la sicurezza nazionale” dell’Australia?

I commenti del leader dell’opposizione Peter Dutton che ci etichettano come tali non sono solo profondamente preoccupanti, ma anche fuorvianti. Se un palestinese di Gaza fosse considerato una minaccia per la sicurezza nei termini da lui indicati, non avrebbe potuto lasciare Gaza.

Ogni persona che è fuggita da Gaza dopo ottobre è stata sottoposta a controlli rigorosi da parte delle autorità israeliane ed egiziane. L’idea che coloro che hanno superato questi controlli e sono arrivati in Australia rappresentino ancora una minaccia è infondata e perpetua stereotipi dannosi, allontanando quelli di noi che sono riusciti a mettersi in salvo qui e negando a molti altri la possibilità di farlo.

Per molti di noi, fuggire da Gaza non è stata una scelta, ma una questione di sopravvivenza. La nostra situazione – dopo il 7 ottobre e molto prima – era caratterizzata da una stratificazione di sistemi di controllo oppressivi, detenzioni illegali, assedio soffocante e sorveglianza intrusiva. Suggerire che noi, in quanto palestinesi, continuiamo a rappresentare un rischio per la sicurezza dopo aver sopportato tali controlli significa ignorare la realtà della nostra esperienza di generazioni di occupazione e oppressione israeliana e prendere ingiustamente di mira una popolazione traumatizzata e vulnerabile.

Piuttosto che alimentare la paura, è fondamentale concentrarsi sulla comprensione della complessità della situazione e fornire il sostegno necessario a coloro che sono riusciti a uscirne vivi.

Ciò che trovo particolarmente scoraggiante è che tali commenti vengano fatti in un Paese così vario come l’Australia. La popolazione australiana comprende persone che si identificano con più di 300 ascendenze diverse, eppure è preoccupante vedere un’ostilità così mirata nei confronti di noi palestinesi, in particolare di quelli provenienti da Gaza.

“Il nostro desiderio è quello di contribuire all’Australia, non di sottrarle alcunché.”

Dutton sembra aver dimenticato che tutti i palestinesi di Gaza arrivati qui soggiornano legalmente nel Paese. Farebbe qualche differenza il fatto che molti di noi siano professionisti istruiti e parlino più di una lingua? D’altra parte, dovrebbe importare l’istruzione di una persona che fugge per preservare la propria vita e quella dei propri figli?

Siamo sopravvissuti a circostanze inimmaginabili e il nostro obiettivo primario non è essere un peso, ma lavorare sodo e provvedere a noi stessi.

Il nostro desiderio è quello di contribuire all’Australia, non di toglierle nulla. Dopo tutto quello che abbiamo visto, cerchiamo stabilità e l’opportunità di ricostruire le nostre vite. Demonizzare una comunità che ha subito un trauma inimmaginabile non fa altro che alimentare inutili divisioni e sminuire i valori fondamentali di diversità e inclusione di cui l’Australia si fa vanto.

Da quando sono arrivata in Australia, la mia esperienza personale è stata estremamente positiva. Non ho mai incontrato razzismo o aggressività da parte della gente di qui. Al contrario, sono stata trattata con gentilezza e rispetto in ogni occasione. Ogni volta che incontro qualcuno e viene a sapere che vengo dalla Palestina, la sua risposta è sempre di compassione e sostegno. L’ affetto e la solidarietà sono stati davvero commoventi e molti hanno espresso un desiderio genuino di comprendere e sostenere la causa palestinese.

Questa generosità d’animo ha rafforzato la mia convinzione che la diversità dell’Australia sia uno dei suoi più grandi punti di forza e mi ha ricordato che, nonostante le sfide che dobbiamo affrontare, ci sono molti disposti a camminare al nostro fianco in solidarietà.

Ho lasciato il mio cuore, i miei ricordi e i miei cari a Gaza, sopravvivendo a una vita di razzismo e disumanizzazione e a molti mesi di genocidio, per ritrovarmi improvvisamente qui in Australia come “rischio per la sicurezza nazionale” dall’altra parte del mondo. Forse l’Australia non è il mio ultimo cielo, dopo tutto, e devo continuare a volare.

Plestia Alaqad è una giornalista e poetessa palestinese che vive a Melbourne.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org