Gli israeliani temono la tempesta. I cittadini palestinesi temono la calma che seguirà

Una volta terminato il Genocidio, i palestinesi in Israele dovranno vivere accanto a coloro che hanno trascorso l’anno passato applaudendo e partecipando al massacro di Gaza.

Fonte: English version

Di Tamer Nafar – 22 agosto 2024

Immagine di copertina: Un uomo israeliano porta con sé un’arma mentre attraversa il mercato di Gerusalemme, 3 novembre 2023. (Chaim Goldberg/Flash90)

Sono in fila per comprare una radio. Ho già comprato torce elettriche, batterie, un generatore e qualsiasi altra cosa mia moglie abbia scritto sulla nostra “lista della spesa di guerra”. Ma se Israele entra in guerra con l’Iran e Internet viene interrotto, allora devo avere una radio per rimanere in contatto con il mondo esterno.

La fila nel negozio è lunga e mesta. Tutti portano la loro paura e ansia sui loro volti. Sembriamo comparse in uno di quei film apocalittici sulla fine del mondo.

“Israele sta lottando per la sua stessa esistenza, altrimenti ci sarà un nuovo Olocausto”. Questo è il sentimento che sento nelle conversazioni che si svolgono intorno a me in fila. Se c’è una cosa che il mio terapista mi ha insegnato, è cercare di comprendere la paura delle persone senza giudicare. Ma la loro paura esistenziale smentisce il fatto che Israele mantiene uno degli eserciti più forti del mondo. E mentre alla vigilia dell’Olocausto gli Stati Uniti respinsero la MS St. Louis, piena di profughi ebrei dalla Germania Nazista, oggi gli Stati Uniti armano Israele fino ai denti.

Dentro di me, sento una paura diversa da quella di chi mi circonda. Forse sono troppo cinico, forse sto negando, o forse appartengo semplicemente alla generazione che pensa che le grandi guerre regionali appartengano solo ai libri di storia. Ma la mia paura è un’altra, che gli ebrei israeliani in fila non riescono a capire: non tanto la guerra quanto la calma che ne consegue; non il rombo degli aerei da combattimento, ma il silenzio che lasciano dietro di sé; non l’Iran, Hezbollah o i due messi insieme, ma come sarà Israele il “giorno dopo”.

Dopo che l’attuale Genocidio finirà, se mai finirà, noi cittadini palestinesi di Israele vivremo in una società piena di giovani che hanno trascorso l’ultimo anno combattendo a Gaza, dove non ci sono restrizioni o regolamenti su ciò che possono fare ai palestinesi. Dobbiamo vivere accanto alle persone che hanno abusato sessualmente dei prigionieri palestinesi nella famigerata prigione di Sde Teiman senza punizione; accanto agli estremisti di destra che li hanno definiti eroi e si sono mobilitati in loro difesa; e accanto ai codardi “di sinistra” che semplicemente preferiscono non fare queste cose “mentre l’Aja sta a guardare”.

Una donna palestinese cammina davanti a un cartellone che avverte della fine del regime iraniano su un edificio nel centro di Gerusalemme, 20 maggio 2024. (Chaim Goldberg/Flash90)

Saremo costretti a convivere accanto a centinaia di migliaia di civili armati, con gli M-16 a tracolla e le pistole infilate nella cinta grazie all’ampliamento delle licenze per le armi da parte del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir. La storia ci dice che non esiteranno ad aprire il fuoco su chiunque vagamente “suscita i loro sospetti”, certamente palestinesi, ma anche etiopi, richiedenti asilo e mizrahim.

Questa era già la situazione molto prima del 7 ottobre, quando i coloni israeliani uccisero a colpi di arma da fuoco il mio vicino Musa Hassuna, un trentunenne padre di due figli, durante gli eventi del maggio 2021 a Lod/Lydd. I responsabili non furono mai nemmeno indagati, nonostante gli assassini di Yigal Yehoshua, un ebreo-israeliano di 56 anni assassinato dai palestinesi quello stesso giorno, fossero stati accusati di terrorismo. Quindi continueremo a vivere in una società in cui il comandamento “Non Uccidere” è stato rivisto in “Non Uccidere gli Ebrei.”

E dimenticate i palestinesi (come sempre): gli uomini che attualmente massacrano gli abitanti di Gaza per diletto riporteranno sicuramente quella violenza a casa, abusando di donne e bambini e litigando nei bar o nei parcheggi.

Una notte di maggio 2021 ho ricevuto un sms dalle autorità che mi informava: “C’è il coprifuoco in città, resta a casa”. Stavo andando al negozio per ritirare gli articoli sulla lista della spesa dell’Apocalisse di mia moglie. Lungo la strada, mi sono imbattuto in un colono ebreo armato, quindi ho indossato il mio berretto degli Yankees e mi sono avvicinato a lui con il mio miglior accento newyorkese (grazie, hip-hop, per quel regalo).

“Che succede amico? Ho sentito che c’è il coprifuoco”, gli dissi. “No amico, non è per noi, siamo al sicuro”, ha risposto, non riuscendo a vedere oltre il mio travestimento.

Sono tornato a casa e pochi minuti dopo, dozzine di coloni armati hanno invaso il mio quartiere, gridando “Morte agli Arabi”. Se si avvicinassero a casa nostra non riuscirei a difendere me, mia moglie e i miei due figli: le uniche armi che possiedo sono carta, penna e microfono.

Ho chiamato la polizia, la stessa polizia finanziata dalle mie tasse e che vedevo dalla mia finestra proteggere i coloni che chiedevano la mia morte, non per chiedere aiuto, ma per documentare la chiamata. Dopo aver spiegato che c’erano uomini armati che vagavano per la città e violavano il coprifuoco, il tutto mentre erano sotto la protezione della polizia, mi hanno riattaccato, come per dire “arrangiati”.

Al giorno d’oggi, ho bisogno che il mio terapista mi aiuti a guidarmi attraverso questi tempi bui e mi consigli come gestire le mie paure senza sminuire le paure delle persone che sono in fila con me. Ma anche se proviamo una paura simile, non siamo sulla stessa barca.

“La guerra finirà. I leader si stringeranno la mano. L’anziana madre continuerà ad aspettare il figlio martire. La ragazza aspetterà il suo amato marito. E quei bambini aspetteranno il loro padre eroe. Non so chi ha venduto la nostra Patria. Ma ho visto chi ha pagato il prezzo” – Mahmoud Darwish

Tamer Nafar è un rapper, attore e sceneggiatore palestinese di Lyd.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org