Il vero disaccordo nei colloqui di cessate il fuoco tra Israele e Hamas riguarda chi decide il futuro di Gaza

Una via d’uscita dal conflitto è possibile solo se gli attori internazionali danno priorità all’agenzia palestinese rispetto al controllo israeliano.

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Di Amjad Iraqi – 23 agosto 2024

Stati Uniti, Egitto e Qatar stanno facendo un ultimo sforzo diplomatico per garantire un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. I mediatori affermano che l’ultima offerta di tregua, che sperano di finalizzare al Cairo questa settimana, “risolve” diversi dettagli controversi che avevano ostacolato i colloqui precedenti.

Al momento in cui scrivo, le prospettive per i negoziati sembrano cupe. I termini del cessate il fuoco devono ancora essere completamente divulgati, ma sembrano essersi discostati dai precedenti accordi offerti a maggio e approvati dalla Risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La divergenza fondamentale nei negoziati ruota attorno a una questione politica fondamentale: cosa accadrà a Gaza dopo un cessate il fuoco, o quello che è stato descritto grossolanamente come il “giorno dopo”.

Quei piani precedenti sono stati ampiamente accettati da Hamas, ma Israele, o più specificamente, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha risposto in modo elusivo e ha avanzato numerose aggiunte, in particolare sulla questione della presenza militare israeliana all’interno di Gaza.

Hamas ha ora accusato l’amministrazione Biden di aver incorporato le richieste di Netanyahu, alcune delle quali persino i membri del gabinetto di sicurezza israeliano hanno criticato come volte a sabotare un accordo. Netanyahu, che per mesi ha liquidato qualsiasi proposta di cessate il fuoco come un ostacolo all’obiettivo di Israele di “vittoria totale”, ha detto al Segretario di Stato americano Antony Blinken di sostenere l’accordo modificato, probabilmente calcolando che Hamas non lo avrebbe accettato.

Nonostante le controversie sulla “fase” del ritiro delle truppe e sullo scambio di ostaggi e prigionieri, la divergenza principale nei negoziati ruota attorno a una questione politica fondamentale: cosa accadrà a Gaza dopo un cessate il fuoco, o quello che è stato descritto grossolanamente come il “giorno dopo”. Ed è qui che gli attori internazionali, principalmente gli Stati Uniti, stanno danneggiando le prospettive sia per un accordo che per una via d’uscita dal conflitto.

Riprogettare l’Occupazione

Molti fattori possono essere attribuiti ai ripetuti fallimenti nel raggiungere una tregua a Gaza. Ma il punto di attrito principale è essenzialmente lo stesso da mesi: se il cessate il fuoco sarà considerato “permanente” o se sarà “temporaneo”, lasciando la porta aperta a una continuazione della guerra dopo il completamento dello scambio di ostaggi e prigionieri.

Per dirla senza mezzi termini, Israele sta lavorando per riprogettare, non porre fine, alla sua Occupazione di Gaza.

Tuttavia, questa dicotomia è fuorviante. Che un cessate il fuoco duri settimane o anni, Israele probabilmente manterrà l’assedio soffocante imposto a Gaza dal 2007 e manterrà la burocrazia dei permessi che detta il movimento di persone e merci dentro e fuori dal territorio. La decimazione e lo sfollamento causati dalla campagna di bombardamenti di Israele avranno anche effetti strutturalmente violenti sulla popolazione per gli anni a venire.

In modo allarmante, l’esercito israeliano sta rafforzando il suo controllo su Gaza, letteralmente restringendo il territorio sequestrando il Corridoio di Filadelfia lungo il confine tra Gaza e l’Egitto, dividendo in due la Striscia tra Nord e Sud con il Corridoio di Netzarim ed espandendo una zona cuscinetto lungo l’intero perimetro. Netanyahu insiste sul fatto che queste conquiste territoriali, che rispecchiano la frammentazione della Cisgiordania, dovrebbero rimanere sotto il controllo israeliano.

I funzionari israeliani hanno simultaneamente lanciato vari piani “del giorno dopo”. Si va da un dispiegamento di truppe a lungo termine che suddivide la Striscia in zone separate; all’assunzione di una rete di clan locali per collaborare con l’esercito israeliano; al ripristino di elementi dell’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Fatah; alla creazione di una forza di mantenimento della pace araba o internazionale; e persino al ripristino di insediamenti ebraici.

Queste proposte sono state profondamente contestate all’interno dell’apparato politico e militare di Israele. Ma sono unite da una premessa comune: che Israele manterrà un’autorità sovrana su Gaza, sia tramite governo diretto sia subappaltando aspetti di governance a intermediari terzi. In parole povere, Israele sta lavorando per riprogettare, non porre fine, alla sua Occupazione di Gaza.

“L’avvocato di Israele”

Sapendo questo, Hamas, che è stata duramente colpita dalla guerra ma sta ancora dimostrando la sua vitalità, si è rifiutata di consegnare gli ostaggi rimasti come sua più grande merce di scambio. Ha anche cercato di fare pressione sia sui governi occidentali che sui suoi alleati nell’Asse della Resistenza per costringere Israele a porre fine alla sua Offensiva militare e ad accettare un ritiro completo da Gaza.

Hamas ha contemporaneamente fatto concessioni sui piani “del giorno dopo” indicando che non cerca di governare di nuovo Gaza da sola. Il suo Ufficio Politico ha perseguito la riconciliazione con il suo rivale, Fatah, sulla base di un programma di unità nazionale che avrebbe stabilito uno Stato Palestinese lungo i confini del 1967. Ma gli Stati Uniti e altri governi occidentali hanno ignorato questi progressi.

Ancora più importante, il rifiuto ostinato di Washington di mettere Netanyahu sotto scacco ha solo rafforzato la sua reputazione di “avvocato di Israele” nei negoziati per il cessate il fuoco. L’amministrazione Biden ha continuato a inviare armi a Israele nonostante la guerra abbia ucciso oltre 40.000 palestinesi e gettato 2 milioni di persone in sfollamenti, carestia e disastro epidemiologico.

Ha anche continuato ad acconsentire alle tattiche di Netanyahu nonostante l’assassinio sfacciato del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran, un atto che ha avvicinato molto di più una conflagrazione regionale, e nonostante l’aperta opposizione del governo israeliano al presunto obiettivo della Casa Bianca di una Soluzione a Due Stati.

Invischiati nelle loro posizioni contraddittorie su Israele, gli Stati Uniti hanno cercato di addossare la responsabilità ad Hamas per accettare l’ultima offerta di tregua. Ma Hamas riconosce che questa è una trappola: politicamente e militarmente, non può approvare un accordo che legittimi le conquiste di Israele. Per i palestinesi, un cessate il fuoco è disperatamente necessario, ma le condizioni attuali offrono solo una scelta tra Guerra Calda e Occupazione Fredda, nessuna delle quali è giusta o sostenibile.

Rivendicazione della proprietà palestinese

Per rompere questa traiettoria, gli Stati Uniti devono abbandonare la pericolosa logica che afferma che il “diritto all’autodifesa” di Israele gli garantisce il diritto di controllare i palestinesi come desidera. Washington deve denunciare le manovre di Netanyahu e usare la sua ampia leva militare, economica e diplomatica per garantire un ritiro totale israeliano.

A Gaza, la priorità immediata deve essere quella di facilitare la rapida consegna degli aiuti umanitari, anche revocando l’assedio. Ma i governi devono anche fare dell’agenzia e della sovranità palestinese un pilastro fondamentale del presente e del futuro di Gaza.

Ciò può essere realizzato attraverso misure come l’istituzione di un consiglio di ricostruzione guidato dai palestinesi; un’economia di Gaza ricollegata alla Cisgiordania e alla regione più ampia; una forza di sicurezza palestinese integrata (piuttosto che forze di pace straniere); e un organismo politico palestinese riformato che includa Hamas nel gruppo.

Tutto questo deve essere fatto con il supporto regionale e internazionale, ma deve essere guidato e gestito dai palestinesi, indipendentemente da ciò che chiedono i loro Occupanti.

Questo cambiamento di priorità non è solo un imperativo umanitario o politico, ma anche giuridico. Quest’anno, la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato misure provvisorie per proteggere i palestinesi ai sensi della Convenzione sul Genocidio, in attesa di una sentenza definitiva. A luglio, la Corte ha emesso un parere consultivo che considerava illegale l’intera Occupazione di Israele, chiedendo azioni ferme per porvi fine.

Un accordo di cessate il fuoco che non tenga conto di queste procedure o non apra la strada all’autodeterminazione palestinese, non farà che rafforzare le dinamiche di potere che hanno radicato il conflitto per decenni e garantire che un’altra guerra devastante sarà dietro l’angolo.

Amjad Iraqi è Ricercatore Associato presso il programma Medio Oriente e Nord Africa (MENA).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org