I giornalisti a Gaza vengono deliberatamente presi di mira e uccisi dalle forze israeliane mentre cercano di raccontare l’intensificazione del conflitto e la crisi umanitaria.
Fonte: English version
Di Mohamed Solaimane – 30 agosto 2024
Le ultime parole del giornalista Ismail al-Ghoul volevano essere rassicuranti: “La situazione è molto pericolosa, ma non preoccuparti”, ha detto il giornalista di Al Jazeera di Gaza alla moglie, Malak Azrid, al telefono. “Sono sopravvissuto a un bombardamento poco fa, grazie a Dio”.
Poi, la linea si è interrotta all’improvviso. Nonostante indossasse un giubbotto stampa e viaggiasse in un’auto contrassegnata come media, un attacco di droni israeliani ha fatto saltare in aria il veicolo, uccidendo all’istante Ismail e il suo cameraman, Rami Alrifi.
Il destino di Ismail dimostra la crisi senza precedenti che i giornalisti affrontano a Gaza, una vera e propria zona di morte per gli operatori dei media dal 7 ottobre.
Dei 99 giornalisti che hanno perso la vita nel 2023, 72 erano palestinesi uccisi negli attacchi israeliani, secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Committee to Protect Journalists – CPJ).
L’ultimo conteggio del CPJ del 9 agosto ha mostrato che almeno 113 giornalisti sono stati uccisi a Gaza da quando è scoppiato il conflitto, il numero più alto in qualsiasi periodo da quando il gruppo ha iniziato a tenere il conto nel 1992.
Per decenni, i giornalisti nelle zone di conflitto hanno indossato giubbotti blu con la scritta “PRESS” (STAMPA) scritta a grandi lettere bianche ben visibili. Oltre a fornire una protezione di base contro le schegge, i giubbotti hanno lo scopo di inviare un segnale di avvertimento ai combattenti di non sparare. L’attacco deliberato ai giornalisti è un Crimine di Guerra ai sensi del Diritto Internazionale come le Convenzioni di Ginevra.
Il continuo attacco di Israele ai giornalisti dal 7 ottobre ha messo in discussione questa logica, lasciando i palestinesi a chiedersi se non si stiano esponendo a un rischio ancora maggiore identificandosi come media.
“Gaza è il luogo più pericoloso al mondo per il giornalismo” ha detto Tahseen Al-Astal, vice capo del Sindacato dei giornalisti palestinesi.
Tahseen ha definito l’attacco di Israele ai giornalisti “Pianificato e Sistematico”. Ha lo scopo di “Eliminarli e Terrorizzare i rimanenti, per impedire loro di dire al mondo la verità sui Massacri che stanno avvenendo a Gaza”, ha aggiunto Tahseen.
Ismail è entrato a far parte di Al Jazeera Arabic nel novembre 2023 come corrispondente televisivo. È diventato rapidamente un pilastro della copertura della rete, apparendo regolarmente in onda per riferire sul brutale bombardamento di Gaza da parte di Israele, dove era corrispondente, e sull’aggravarsi della crisi umanitaria.
I giornalisti pagano il prezzo
Dal 7 ottobre, più di 40.000 palestinesi sono stati uccisi e la popolazione di Gaza di 2,3 milioni di persone è stata quasi interamente sfollata.
L’ambiente urbano e le infrastrutture della città sono stati ridotti in macerie e beni di prima necessità come cibo, medicine e acqua pulita sono quasi del tutto scomparsi.
Come se non bastasse, i giornalisti palestinesi che sono soggetti alle stesse condizioni disperate vengono uccisi anche per aver cercato di documentarli.
Durante la guerra, Ismail fu separato dalla moglie Malak, che fuggì con la loro figlia di quasi due anni nel Sud di Gaza, una zona relativamente più sicura.
Lavorando dalla città di Gaza bombardata, Ismail inviò loro scorte di zucchero e cioccolato come regali, delizie rare che si erano esaurite durante la carestia nel Sud.
Al telefono, Ismail si assicurava della loro sicurezza e persino li teneva su di morale immaginando un futuro postbellico più luminoso. Disse a Malak che, dopo la guerra, avrebbero acquistato un appezzamento di terra e costruito una nuova casa sulle macerie di Gaza.
Quando fu ucciso, Malak non poté nemmeno dargli un ultimo saluto, poiché il suo corpo era tenuto nel Nord e l’esercito israeliano aveva tagliato il passaggio verso la zona.
“Ismail ha pagato il prezzo del suo giornalismo”, ha detto Malak. “Per aver raccontato le sofferenze del popolo palestinese, ha perso la vita. Si rifiutò di fuggire a Sud e insistette per continuare la sua attività giornalistica”.
Uccidere, Accusare, Ripetere
La tattica di Israele è stata quella di uccidere i giornalisti e poi accusarli, senza prove, di lavorare per Hamas. Dopo l’attacco aereo che ha ucciso Ismail, l’esercito israeliano ha affermato che era un agente di Hamas che aveva partecipato all’attacco del 7 ottobre e aveva istruito i combattenti di Hamas su come registrare le operazioni, un’accusa che Al Jazeera ha definito “infondata”.
Secondo Malak, suo marito era a casa con lei il 7 ottobre. “Non aveva alcun legame con nessun gruppo che Israele considera ostile”, ha detto, aggiungendo che il resoconto di Israele su Ismail è “completamente falso e non corrispondente alla verità”.
“Vogliono semplicemente impedire che la verità su ciò che sta accadendo a Gaza raggiunga il mondo, quindi cercano di mettere a tacere qualsiasi voce che parli dell’inferno della guerra”, ha detto Malak.
I presunti legami di Ismail con Hamas sembrano particolarmente insostenibili, dato che era stato precedentemente arrestato dalle forze israeliane e poi rilasciato, un’insolita svolta degli eventi per qualcuno ricercato dall’esercito.
A marzo, è stato arrestato e picchiato dalle Forze di Occupazione Israeliane dopo che avevano fatto irruzione nell’Ospedale Al-Shifa e distrutto una sala operativa di fortuna per i media utilizzata lì dai giornalisti.
In un altro caso, Israele sta muovendo accuse contro un altro giornalista di Al Jazeera, Anas Al-Sharif, di sostegno al terrorismo.
Dopo la copertura di Anas di un recente attacco dell’esercito israeliano a una scuola, che affermava prendere di mira i combattenti di Hamas, ma che ha ucciso circa 100 persone, il portavoce di lingua araba dell’esercito israeliano Avichay Adrae ha detto che Anas sta coprendo il gruppo militante.
Molti dei colleghi di Anas temono che questo sia un precedere del suo omicidio.
“Sembra che l’esercito israeliano stia muovendo accuse senza alcuna prova sostanziale come licenza per uccidere giornalisti, il che è in totale violazione del Diritto Umanitario Internazionale”, ha affermato la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite Irene Khan in una dichiarazione dopo la morte di Ismail al-Ghoul.
L’esercito israeliano ha una lunga storia di uccisioni di giornalisti e di farla franca. Anche prima della guerra a Gaza, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ha documentato almeno 20 casi di giornalisti uccisi dalle Forze di Difesa Israeliane senza che nessuno fosse accusato o ritenuto responsabile.
Il caso più eclatante negli ultimi tempi è stato quello della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, che è stata colpita alla testa e uccisa, nonostante indossasse il suo solito giubbotto blu della stampa, mentre copriva un’incursione in un campo profughi della Cisgiordania.
Un’indagine delle Nazioni Unite ha concluso che “le forze di sicurezza israeliane hanno usato la forza letale senza giustificazione e hanno violato intenzionalmente o sconsideratamente il diritto alla vita di Shireen Abu Akleh”.
Gli attacchi di Israele ai giornalisti sono tornati a far notizia subito dopo il 7 ottobre, quando un attacco di carri armati israeliani ha ucciso il giornalista della Reuters Issam Abdullah e ne ha feriti altri sei nel Libano meridionale, nonostante il gruppo fosse chiaramente identificabile come giornalisti, secondo un’indagine delle Nazioni Unite.
“Israele vuole eliminare ogni voce proveniente da Gaza”
“Anche alla luce di questa storia sanguinosa, ciò che è accaduto a Gaza negli ultimi dieci mesi segna un’enorme recrudescenza”, ha affermato il veterano corrispondente di Al Jazeera a Gaza, Hisham Zaqout.
Non è semplicemente che Israele stia ignorando le convenzioni di lunga data sull’evitare le aree in cui sono presenti giornalisti, ma piuttosto, sta attivamente “giustificando lo spargimento di sangue dei giornalisti palestinesi affermando che fanno parte della battaglia”, ha spiegato Hisham.
Dall’assassinio di Ismail, sono stati uccisi altri due giornalisti: Ebhrahim Mohareb era incaricato della cronaca con diversi altri giornalisti che coprivano le incursioni israeliane a Khan Younis quando è stato ucciso dalle bombe israeliane, e Hamza Mortaji, che è stato ucciso nel bombardamento di una scuola che ospitava sfollati a Gaza.
Oltre a colpire direttamente i giornalisti, Israele ha anche reso meno sicuro e più difficile fare il lavoro, ha detto Hisham. Ha sottolineato che hanno oscurato Internet, bloccato l’accesso a dispositivi di protezione come caschi e giubbotti e confiscato apparecchi elettronici come telecamere e “qualsiasi cosa relativa al lavoro giornalistico”.
“Israele vuole eliminare ogni voce proveniente da Gaza che esponga i Crimini e i Massacri commessi contro i palestinesi. Per farlo, impediscono ai giornalisti stranieri di entrare, bloccano la nostra copertura nelle aree che invadono e persino ci prendono di mira direttamente”, ha aggiunto Hisham.
“Le nostre vite e le vite delle nostre famiglie stanno andando perse. I nostri uffici, le nostre attrezzature e le nostre case vengono distrutte”, ha detto Hisham.
L’ultimo operatore dei media assassinato è stato Tamin Muammar, un giornalista della Radio e Televisione pubblica dell’Autorità Nazionale Palestinese. Un attacco aereo israeliano ha colpito la sua casa a Khan Younis, uccidendo anche sua moglie e le loro tre giovani figlie.
“Nonostante gli orrori che i giornalisti sopportano qui, insistono nel continuare il loro lavoro perché è un dovere professionale, etico, nazionale e umanitario”, ha affermato Tahseen.
“Se altri sperimentassero anche solo una frazione di ciò che hanno vissuto loro, abbandonerebbero i loro incarichi e se ne andrebbero”.
Mohamed Solaimane è un giornalista di Gaza con firme in testate regionali e internazionali, incentrato su questioni umanitarie e ambientali.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org