Gaza ha dimostrato che le università europee non sono più luoghi di libera ricerca

La repressione del discorso e dell’attivismo pro-palestinese nei campus europei non differisce in sostanza dalla repressione che gli studenti affrontano in contesti non democratici.

Fonte: English version

di Tasnima Uddin e A H Misbach – 1 settembre 2024

Immagine di copertina: protesta all’University College di Londra a sostegno dei palestinesi di Gaza, a Londra, 11 maggio 2024 [Archivio: Reuters/Kevin Coombs]

L’accademico giamaicano-britannico Stuart Hall una volta disse che “l’università è un’istituzione fondamentale o non è niente”. In effetti, le università hanno un ruolo importante da svolgere nel sostenere gli imperativi della libertà accademica e dell’indagine critica, soprattutto oggi, nel mezzo del crescente dibattito e delle proteste sulla guerra di Israele a Gaza.

Tuttavia, nonostante il loro impegno etico e legale nei confronti della libertà accademica, molte istituzioni occidentali di istruzione superiore non sono riuscite a proteggere o addirittura hanno represso docenti e studenti che hanno espresso la loro solidarietà al popolo palestinese. Nel Regno Unito, abbiamo osservato un modello preoccupante in cui le università hanno finito per eseguire gli ordini di un governo britannico pienamente favorevole a una guerra che la Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha stabilito potrebbe essere plausibilmente genocida e che ha potenzialmente lasciato 186.000 Palestinesi morti.

Con il pretesto di sostenere la “neutralità istituzionale” o di proteggere il benessere degli studenti e del personale ebreo – che ha portato a un paternalismo che ha pericolosamente omogeneizzato le opinioni e gli interventi degli accademici ebrei, come scrive la UK Jewish Academic Network – le università di tutto il Paese hanno dato un giro di vite alla solidarietà pro-palestinese nelle loro sedi.

Una lettera aperta pubblicata ad agosto dalla principale organizzazione di studi sul Medio Oriente, BRISMES, ha documentato i tipi di repressione che hanno avuto luogo contro coloro che esprimono solidarietà con i palestinesi nei campus del Regno Unito. Queste vanno dall’annullamento o dall’impedimento burocratico di alcuni eventi di discussione alla sottoposizione di personale e studenti a indagini. Secondo l’organizzazione benefica per i diritti umani Liberty, le università hanno anche condiviso con la polizia informazioni sui post dei propri studenti sui social media e sulle attività di protesta.

Alla Queen Mary, University of London (QMUL), dove lavora uno degli autori, diversi incidenti hanno dimostrato la mancanza di impegno dell’amministrazione nel sostenere la libertà di opinione e di parola.

Una richiesta di libertà di informazione (FOI) presentata all’inizio di quest’anno da un membro del personale della QMUL, ad esempio, ha rivelato che la direzione ha chiesto al consiglio locale di rimuovere una bandiera palestinese vicino al campus di Mile End, affissa dalla comunità locale per “sostenere i diritti e le libertà dei popoli”.

A febbraio, l’università ha anche incaricato il proprio personale di irrompere negli uffici della sezione locale del sindacato universitario per rimuovere due manifesti che esprimevano sostegno alla Palestina per “motivi di libertà di parola”.

Mentre cerca di reprimere l’espressione di solidarietà con il popolo palestinese, l’amministrazione ha anche mostrato un notevole disinteresse per la situazione degli accademici che sono stati perseguitati per le loro opinioni pro-palestinesi.

Ad aprile, la professoressa Nadera Shalhoub-Kevorkian, un’importante studiosa palestinese dell’Università Ebraica di Gerusalemme (HUJ) e cattedra universitaria di diritto alla Queen Mary, è stata arrestata dalle autorità israeliane per aver criticato Israele per le sue azioni a Gaza. È stata sottoposta a trattamenti disumani in prigione e molestata dai suoi colleghi della HUJ e dai media israeliani.

Eppure la Queen Mary non ha emesso una condanna pubblica dei maltrattamenti subiti da Shalhoub-Kevorkian, nemmeno dopo che più di 250 accademici dell’università hanno firmato una lettera aperta che chiedeva al suo presidente di farlo.

Sfortunatamente, alcune amministrazioni universitarie sono andate anche oltre nel loro tentativo di sopprimere la solidarietà pro-palestinese nei campus.

L’European Legal Support Centre (ELSC), un importante gruppo di advocacy indipendente che cerca di difendere coloro che esprimono sostegno ai palestinesi, dove lavora uno degli autori, ha documentato decine di risposte disciplinari e punitive da parte delle università britanniche dal 7 ottobre. I risultati – che saranno raccolti in un “database della repressione” e resi noti all’inizio del prossimo anno – dipingono un quadro preoccupante di repressioni contro la difesa della Palestina nelle università britanniche.

Il precursore di questa repressione è stato un sistema di diffamazione dei sostenitori della Palestina promosso dal precedente governo britannico. L’8 ottobre, il giorno in cui Israele ha iniziato l’assalto militare a Gaza, il ministro dell’Interno Suella Braverman ha chiesto alla polizia di reprimere qualsiasi sostegno a Hamas. Il ministro dell’Immigrazione Robert Jenrick ha ordinato ai funzionari di valutare la possibilità di revocare i visti ai cittadini stranieri accusati di atti antisemiti o di elogiare Hamas.

Queste azioni governative si sono verificate in un momento in cui il sostegno alla causa palestinese veniva spesso equiparato al sostegno ad Hamas, mentre accuse di antisemitismo venivano prontamente rivolte a chi esprimeva critiche a Israele o sentimenti pro-palestinesi.

La confusione tra le legittime critiche a Israele e le accuse di antisemitismo è una questione di lunga data nell’istruzione superiore del Regno Unito, con l’ex segretario all’Istruzione Gavin Williamson che ha chiesto alle università di adottare la controversa definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), condannata da gruppi della società civile, da importanti avvocati, da giudici anziani in pensione e dall’autore della definizione stessa.

Queste critiche ministeriali si sono insinuate nelle torri d’avorio della leadership dell’istruzione superiore e hanno influenzato il modo in cui le università hanno gestito le questioni relative alla libertà di parola e alla protesta. Ciò si riflette in tre cause in corso che l’ELSC sta sostenendo.

La ventiduenne Hanin Barghouthi, studentessa dell’Università del Sussex e co-presidente della Feminist Society, a ottobre è stata arrestata in base alle leggi antiterrorismo, dopo aver tenuto un discorso in occasione di una protesta pro-Palestina per aver presumibilmente espresso sostegno “a un’organizzazione vietata”. Anche l’università ha avviato un’indagine.

Poco dopo, Amira Abdelhamid dell’Università di Portsmouth è stata sospesa dal suo lavoro in attesa di un’indagine su alcuni tweet relativi al 7 ottobre e che criticavano le leggi antiterrorismo del Regno Unito. È stata accusata di aver gettato discredito sul nome dell’università e di aver sostenuto un “gruppo proibito”.

Il suo responsabile l’ha poi indirizzata al controverso programma PREVENT, un programma di educazione all’antiterrorismo pesantemente criticato dalle organizzazioni per i diritti umani e dalle Nazioni Unite per i suoi abusi.

Abdelhamid si è poi trovata a essere bersaglio delle stesse leggi antiterrorismo che aveva criticato su X, quando la polizia l’ha arrestata e ha perquisito la sua casa. Alla fine il caso intentato contro di lei è stato archiviato.

Dana Abu Qamar, una studentessa di origine palestinese dell’Università di Manchester, ha rischiato l’espulsione dal Regno Unito dopo aver espresso il suo sostegno ai palestinesi che si impegnano nella legittima resistenza in una breve intervista a Sky News l’8 ottobre.

Stava piangendo la perdita di alcuni membri della sua famiglia uccisi da un attacco aereo israeliano a Gaza quando il Ministero dell’Interno le ha notificato un avviso di intenzione di annullare il suo visto per studenti T4 sulla base del fatto che la sua presenza nel Regno Unito non era “ conforme al bene pubblico”.

Dopo che Abu Qamar ha presentato una richiesta di risarcimento per i diritti umani e delle rimostranze scritte, l’Home Office le ha risposto respingendo la sua richiesta di risarcimento per i diritti umani e informandola che il suo visto sarebbe stato annullato. Il governo ha quindi ordinato all’Università di Manchester di espellerla, obbligandola a reintegrarla poco dopo.

Il lavoro dell’ELSC suggerisce che non si tratta di casi isolati, ma di un modello di repressione nei campus del Regno Unito e di una sinergia tra i dirigenti universitari e lo Stato britannico, che va dalle disposizioni dirette all’allineamento ideologico.

Anche il ricorso alle leggi antiterrorismo contro il personale accademico e gli studenti è motivo di seria preoccupazione. Non solo sono repressive nella loro sproporzione, ma probabilmente avranno un effetto raggelante sul discorso pro-Palestina, facendo presagire la normalizzazione dell’uso di tali leggi per reprimere le proteste e la libertà di parola.

Ma l’uso di queste leggi dice anche qualcosa su come lo Stato percepisce coloro che prende di mira. Nel caso di Barghouthi, Abdelhamid e Abu Qamar, si tratta di tre donne razzializzate che vengono presentate come quinte colonne e minacce alla sicurezza nazionale. Le opinioni che esprimono – comprese le critiche alle azioni genocide di Israele – sono definite come una minaccia anche per le istituzioni accademiche.

L’ironia è che Israele – che il governo britannico rifornisce prontamente di armi nonostante la sentenza della Corte internazionale di giustizia – ha distrutto, in tutto o in parte, ogni singola università di Gaza, uccidendo decine di accademici e studenti palestinesi.

L’ELSC ha osservato modelli simili di repressione anche in Europa. In Francia, le università hanno ceduto alle pressioni per mettere a tacere le manifestazioni di solidarietà con la Palestina, mentre le autorità francesi hanno avviato indagini contro studenti e accademici, accusandoli di promuovere il terrorismo.

Anche in Germania la polizia, in coordinamento con le amministrazioni universitarie, ha attuato una pesante repressione delle proteste studentesche. Per reprimere i discorsi filo-palestinesi, il Ministero dell’Istruzione tedesco è arrivato a stilare liste di accademici filo-palestinesi nel tentativo di privarli di futuri finanziamenti nel settore universitario.

Negli Stati Uniti, la polizia armata è stata dispiegata per sgomberare gli accampamenti di protesta nei campus di tutto il Paese. Migliaia di persone sono state arrestate. Durante l’estate, le università si sono preparate a una nuova ondata di manifestazioni studentesche modificando le regole del campus e le politiche di libertà di parola, con un’università che ha deciso di vietare effettivamente l’uso della parola “sionista” nel contesto della critica a Israele.

Molti in Europa potrebbero pensare che la repressione accademica avvenga altrove nel mondo. Gli ultimi 10 mesi hanno dimostrato che le amministrazioni universitarie nel Regno Unito, in Francia, in Germania e in altri Paesi europei non vogliono proteggere il discorso pro-palestinese in base ai loro obblighi di sostenere la libertà accademica, e di fatto mirano a criminalizzarlo (o peggio, a sostenere l’uso della legge antiterrorismo).

La differenza di repressione rispetto a contesti non democratici può essere solo di grado, non di tipo. In altre parole, le nostre università – come le istituzioni accademiche in altre parti del mondo – non sono più spazi di indagine critica, ma sono diventate braccio repressivo dello Stato.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org