Il viaggio di una bambina attraverso il genocidio: la storia di Tala Dallul

Tala Dallul, 10 anni, ha visto e vissuto così tanto durante il genocidio di Gaza. Qui racconta la sua storia.

Fonte: English version

Di Amna Shabana – 1 settembre 2024

Immagine di copertina: Tala Dallul (Foto: Amna Shabana)

“Se n’è andato. Se n’è andato.”

Giugno 2024. Deir Al Balah. Tende. Un cerchio di bambine che giocano. Tra loro, una bambina con i capelli dorati, la carnagione bruciata dal sole e un ampio sorriso

Avvicinandomi al cerchio, ho notato che non avevo mai visto questa bambina prima. Sembrava coraggiosa, estroversa e socievole.

“Se n’è andato. Se n’è andato,” cantava con una voce angelica, facendomi venire le lacrime agli occhi e  facendomi chiedermi quale destino la rendesse così triste.

Tala Salama Dallul, 10 anni, aveva da poco iniziato un nuovo capitolo del suo sfollamento.

“Tala sta con lo zio paterno. Suo padre è stato ucciso. Sua madre e i suoi fratelli sono ancora nella Striscia di Gaza settentrionale”, mi hanno raccontato i bambini del campo, svelandomi  ciò che Tala aveva rivelato loro.

“Come potrò vivere senza di lui?”

Agosto 2024. Due mesi dopo, ho stretto amicizia con Tala. Un giorno, viene nella nostra tenda per giocare con le bambine.

Quando le parlo, mi riporta indietro a uno dei suoi giorni più duri

Era il 5 dicembre 2023. Si trova nel quartiere di Al Zaitoun, all’ingresso di una scuola dell’UNRWA.

Ci sono notizie.

Un’auto si avvicina e la gente è frenetica. “Questo è il corpo di Salama Dallul. Allontanatevi!”, hanno gridato gli zii di Tala.

“Mia madre, correndo fuori dalla scuola, ha sentito la loro voce e ha iniziato a piangere”, mi racconta Tala. “Poi ha ricevuto la notizia”.

“Hanno detto che era ferito. Mia madre ha detto che sarebbe guarito presto. Hanno detto che era stato imprigionato. Ha detto che sarebbe stato presto libero.”

Tala voleva dare un ultimo saluto al padre, ma aveva paura di guardare. “L’ho visto di spalle. Ho visto i suoi pantaloni e il maglione. Ho avuto paura e ho fatto un passo indietro. Sono inciampata su una pietra e sono caduta.”

Le lacrime iniziano a scendere dai suoi occhi e cerco di distrarla. Le chiedo come trascorre il suo tempo. “Pensando”, dice, e il mio cuore è colpito ancora più forte. “Come vivremo senza di lui? Come sarà la nostra vita dopo che la guerra sarà finalmente finita? Come comprendere questo?”

Sola, ma “fortunata”

La morte di suo padre non è stata l’unica tragedia che Tala ha dovuto affrontare. I continui bombardamenti israeliani su Gaza l’hanno anche costretta a vivere lontana dalla madre, Mai, 27 anni, e dai suoi fratelli, Yara, 8 anni, Lana, 7 anni, Obaida, 3 anni, e Inaam, 2 anni. Hanno dovuto affrontare lo sfollamento forzato più volte e, proprio come centinaia di migliaia di famiglie di Gaza, stanno lottando contro la carestia.

“Mia madre ha una faccia rotonda. Come ha fatto a trasformarla in una faccia rettangolare? Ha perso molto peso”, mi ha detto Tala dopo che sua madre le ha inviato una foto, quando finalmente sono riuscite a connettersi a Internet.

Un giorno, Tala ha parlato con sua madre al telefono e le ha chiesto spiegazioni sulla foto che aveva visto. “Ho paura che tu dia da mangiare ai miei fratelli e resti affamata”, le ha detto.

Scherzando, dico a Tala che è la più fortunata tra i suoi fratelli, perché vive nel sud, un posto più sicuro dove si possono trovare scorte di cibo. “È destino”, risponde con inaspettata serenità.

Storie mai raccontate

Più di recente, quando ho trascorso del tempo con Tala, abbiamo chiamato sua madre. Ho pensato che Tala desiderasse raccontare a sua madre altre storie del suo sfollamento forzato nella Striscia di Gaza meridionale. Ma, quando ha preso in mano il telefono, è diventato chiaro che aveva solo bisogno di sentire la voce di sua madre.

“Le storie dovrebbero essere raccontate faccia a faccia”, mi ha detto. “Glielo racconterò quando tornerò a casa e la vedrò”.

Mi racconta la storia del suo sfollamento e della sua separazione, che è casuale, tragica e terrificante come tante altre storie durante il genocidio.

“All’inizio di febbraio,  rimasi a casa dei miei nonni nel quartiere di Al Zaitoun, a pochi metri dalla casa dei miei genitori, per quattro giorni. L’ultimo giorno, sua madre andò per assicurarsi che stesse bene e per riportarla a casa. Ma i suoi cugini  insistettero perché Tala rimanesse, solo un altro giorno.

Chi avrebbe mai pensato che una bambina di 10 anni, che andava a trovare i nonni nello stesso quartiere, sarebbe stata separata dalla madre e dai fratelli per più di sei mesi? “La notte in cui mia madre tornò a casa senza riportarmi indietro, è stata la più dura.  Proiettili di fuoco sono esplosi uno dopo l’altro fino all’alba”, Tala tremava ricordando la notte in cui aveva visto sua madre per l’ultima volta.

Una notte insonne

I carri armati israeliani spararono proiettili verso la casa di Hajj Abul Abed Tutah. Scoppiò un incendio, trasformando la notte in giorno. “Al fuoco!” gridarono gli zii di Tala chiedendo aiuto.

“Il proiettile cadde nel cortile di casa dopo aver colpito la finestra. Dormimmo per qualche ora. Altre  lingue di fuoco invasero il nostro sonno”, mi spiega Tala

Il rumore dei proiettili spaventò le donne e i bambini nella casa di Hajj, insieme a tutte le persone del quartiere.

“Ricordo che volevo andare in bagno. Quando mi avvicinai, notai che la finestra rotta che era coperta da un lenzuolo era  aperta. Una polvere bianca riempiva la stanza. Non volevo più andare in bagno, decisi.”

“Mio nonno ci disse di indossare le mascherine e ci portò tutti al piano terra perché era più sicuro, cercando di distrarci dalla nostra paura fino al sorgere del sole.”

“A sud!”

Mattina. Scendendo nel cortile, Tala notò che suo zio aveva già preparato il tè e la colazione.

“Soldati!” esclamò suo zio qualche istante dopo aver preparato frettolosamente il pasto

“Abul Abed Tutah!” I soldati chiamarono il nome del nonno di Tala, ordinandogli di lasciare la sua casa. L’Hajj chiamò tutti i suoi nipoti, radunandoli lontano dalla casa. “Restiamo insieme e qualunque cosa accada, accadrà”, Tala lo cita mentre racconta.

Gli occhi impauriti della ragazza videro 20 soldati. Le sue orecchie udirono voci ebraiche. “Ci hanno circondato e contato gli uomini che erano in casa con numeri che non ho imparato a scuola”, Tala descrive la scena, aggiungendo che i soldati entrarono nella casa per perquisirla.

Decine di persone insonni si radunarono fuori dalle loro case. Volantini lasciati cadere riempivano il terreno. La paura prevalse. A nessuno era permesso leggere ciò che era scritto.

“I residenti del quartiere di Al Zaitoun devono evacuare la regione e dirigersi verso la striscia meridionale”, ordinavano i volantini, lesse una delle donne in piedi tra la folla.

I piccoli occhi di Tala non potevano fare altro che piangere. Gli occhi annebbiati non vedevano altro che soldati.

“Non c’è cuore qui”, Tala cita uno dei soldati, indicando il suo petto. Questa era stata la risposta a qualcuno che chiedeva di recuperare i propri averi prima di fuggire.

Tutto ciò che  sentirono fu il suono dei proiettili e il duro ordine dei soldati “A sud!”.

Tala mi racconta che  riuscirono a portare alcuni dei loro averi nonostante gli ordini israeliani.

“Mia nonna  riuscì a prendere le sue medicine e mia zia prese dei pannolini per il suo bambino”.

Vetri rotti dappertutto. Una folla, immobile. Rompendo il silenzio, “Camminate!” ordinò un soldato. Uomini, donne, bambini scalzi. La destinazione era la rotonda del Kuwait a Gaza.

“Sembra che io sia stata fortunata. Indossavo una maglietta rosa e una giacca che avevo preso in prestito da mia cugina. E indossavo i miei pantaloni di jeans e le pantofole che mia madre mi aveva comprato allora”.

La bambina, Tala, non sapeva quanto tempo ci avrebbe messo per raggiungerla, ma  fu abbastanza da farla piangere per un sorso d’acqua o un pezzo di pane. “I cecchini si avvicinarono a noi.  Corremmo tutti finché non salimmo su dei carretti trainati da animali. Ci  portarono in una scuola vicina”.

Campo profughi di Nuseirat. Una dozzina di bambini e donne cercarono rifugio in una scuola dell’UNRWA. Erano assetati, affamati e impolverati.

“Date da mangiare ai vostri bambini”, disse una brava persona mentre era sul carretto, lanciandoci del pane e dei pomodori. Non mangiai. Mi  coprii con una coperta e piansi. Pensavo a mia madre”.

Sradicata

Non potevo crederci quando Tala mi ha raccontato del viaggio che aveva fatto, dei parenti che aveva visitato e dei posti in cui aveva soggiornato in tutta la striscia dopo aver lasciato il campo profughi di Nuseirat.

“Ho trascorso un mese con le mie zie materne Hiyam e Rania a Rafah. Poi sono rimasta con i miei nonni che hanno cercato rifugio in una moschea a Khan Younis per tre mesi. Ho anche fatto visita a mio zio materno che è rimasto in una caserma a Khan Younis per alcuni giorni”.

Poi, a giugno, Tala arriva a Deir Al Balah. Si trova in Al Hikr Street in un campo dove gli ulivi ombreggiano le tende. Un cerchio di uomini, donne e bambini si raduna attorno a un fuoco. Tala si avvicina, chiedendosi dove si trovi e chi incontrerà ora.

Quando arrivano sul posto, il cugino di Tala, Yousef, con cui ha viaggiato fino a quel momento, chiama a gran voce: “Ahmad Dallul!”

Tala si rende finalmente conto di aver trovato suo zio paterno Ahmad. “Lo amo e mi è mancato molto”, mi ha detto Tala, spiegando che non lo incontrava dall’inizio del genocidio.

Tala corre da suo zio Ahmad, che la abbraccia e le bacia la fronte. “Salama, vai avanti! Ottimo lavoro! Ben fatto!” Ho sentito la voce di mia madre che sosteneva mio padre mentre guardavamo un video di mio padre che giocava a calcio”, mi racconta Tala. Si è riunita alla famiglia e ha pianto quando suo zio Ahmad le ha mostrato un video del suo defunto padre.

Una volta che la bambina si è assicurata che suo zio e sua moglie fossero al sicuro, i suoi occhi hanno brillato un po’ e si è sentita confortata.

Era circondata da ulivi, una coperta e un nuovo cerchio di bambini: Razan, Tulin, Somaya, Rahaf, Roaa, Ghina, Ritaj, Zain e Bisan.

“Quando ho visto per la prima volta gli ulivi, il mio cuore ha danzato di gioia mentre ricordavo la mia casa a Gaza. E incontrando queste adorabili ragazze, ho sentito che saremmo andate d’accordo. Ho deciso che mi sarebbe piaciuto stare con loro”.

Tala ha trovato la sua nuova casa, per ora.

“Non vedo l’ora di incontrare mia madre per raccontarle tutte queste storie”.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org