Perché l’Occidente dovrebbe opporsi a Netanyahu

I costi regionali del mancato confronto con Netanyahu potrebbero superare rapidamente i benefici interni del farsi trascinare da lui.

Fonte: English version

di David Hearst, – 2 settembre 2024

Immagine di copertina: Un manifestante con una maschera che rappresenta il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu regge un cartello durante una protesta antigovernativa a Tel Aviv il 31 agosto 2024 (AFP)

Il ritrovamento di altri sei ostaggi morti ha scatenato un’ondata di rabbia in Israele.Manifestazioni che non si vedevano dai tempi delle proteste per la riforma giudiziaria stanno scuotendo il Paese.

Gli israeliani la chiamano “rivolta”.

Decine di migliaia di israeliani hanno interrotto il lavoro con uno sciopero generale. Sia il ministro della Difesa, Yoav Gallant, sia l’establishment della sicurezza sono in aperto conflitto con il primo ministro.

I leader dell’opposizione Benny Gantz e Yair Lapid hanno invitato la popolazione a scendere in piazza. E così è stato. Le principali autostrade intorno a Tel Aviv sono bloccate.

Comunque siano morti gli ostaggi – Hamas dice che sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco israeliani, l’esercito israeliano dice che sono stati giustiziati a distanza ravvicinata poco prima che venisse fatto un tentativo di liberarli – la colpa della loro morte è ricaduta su Benjamin Netanyahu e sulla cricca di ultradestra che sostiene il suo governo.

Quattro dei sei ostaggi erano sulla lista “umanitaria” dei prigionieri di Hamas e sarebbero stati rilasciati nella prima fase di un accordo sugli ostaggi se Netanyahu non si fosse rifiutato di ritirarsi dal corridoio di Philadelphia che separa l’Egitto da Gaza.

Questa non è una speculazione.

Minare un possibile accordo

Lo affermano loro stessi i responsabili della sicurezza israeliana, che hanno ripetutamente messo in guardia Netanyahu su cosa sarebbe successo agli ostaggi rimasti se avesse continuato a far naufragare l’accordo.

Tre giorni fa, un normale briefing sulla sicurezza del gabinetto si è trasformato in un incontro di box tra Gallant e Netanyahu, secondo quanto riportato da Axios.

Gallant avrebbe detto all’incontro: “Dobbiamo scegliere tra Philadelphia e gli ostaggi. Non possiamo avere entrambi. Se votiamo, potremmo scoprire che gli ostaggi sono destinati a morire o che dovremo fare marcia indietro per rilasciarli”.

Gallant, il capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano, generale Herzi Halevi, e il direttore del Mossad, David Barnea, capo della squadra negoziale israeliana, hanno affrontato Netanyahu e la sua proposta di votare una risoluzione per mantenere il pieno controllo israeliano lungo il confine con l’Egitto, che, a loro dire, avrebbe minato un possibile accordo con Hamas.

“Abbiamo avvertito Netanyahu e i ministri di questo esatto scenario, ma non ci hanno ascoltato”, ha dichiarato ad Axios un alto funzionario israeliano. La votazione è andata avanti con la maggioranza a favore.

Comunque gli ostaggi abbiano trovato la morte, quello che le famiglie degli ostaggi hanno capito chiaramente è che questo gruppo di ostaggi era vivo poco prima del tentativo di salvataggio da parte dell’esercito.

“Un accordo per la restituzione degli ostaggi era sul tavolo da oltre due mesi. Se non fosse stato per i suoi intoppi, le scuse e i giri di parole, gli ostaggi di cui abbiamo appreso la morte questa mattina sarebbero probabilmente vivi”, ha dichiarato il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi in un comunicato.

La morte degli ostaggi si è riverberata anche negli Stati Uniti, come l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Anche perché i genitori di uno dei morti, Hersh Goldberg-Polin, cittadino statunitense, hanno parlato sul palco della Convention nazionale democratica, mentre migliaia di spettatori cantavano “Riportateli indietro”.

In risposta, il presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden ha giurato di “farla pagare ad Hamas” per queste morti e la candidata presidenziale del partito Kamala Harris ha detto che Hamas deve essere eliminato.

Entrambi sanno che la responsabilità della morte degli ostaggi è anche loro.

La brutale verità

Biden ha chiesto chiaramente e inequivocabilmente un cessate il fuoco permanente quattro mesi fa. Le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione per un cessate il fuoco globale in tre fasi a giugno.

Il primo dovere di Biden, in qualità di comandante in capo, è quello di assicurarsi che un alleato chiave per la sicurezza in Medio Oriente si attenga alla politica degli Stati Uniti, soprattutto un alleato così dipendente dalla fornitura di armi statunitensi come Israele.

La brutale verità di queste uccisioni è che se Biden fosse stato disposto a far rispettare la sua politica con un embargo sulle armi, ora sarebbe in atto un cessate il fuoco e molti degli ostaggi rimasti, tra cui americani e britannici, sarebbero stati liberati.

Se c’è qualcuno che dovrebbe guardarsi allo specchio per la morte di Goldberg-Polin, quello dovrebbe essere Biden.

Per Harris seguire docilmente queste orme è una follia. Dovrebbe ricordare ciò che i suoi stessi generali hanno detto sull’impossibilità di sconfiggere Hamas a Gaza.

Potrebbe tuttavia essere che queste morti siano il punto di svolta che costringerà Netanyahu a invertire la rotta nei negoziati, che rimangono ancora in stallo.

Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan ha dichiarato alle famiglie degli ostaggi statunitensi detenuti a Gaza che gli Stati Uniti presenteranno a Israele e Hamas un’offerta finale “prendere o lasciare” per un accordo di cessate il fuoco.

Questo è stato detto molte volte in precedenza, ed è uno dei motivi per cui i funzionari statunitensi hanno perso ogni credibilità nei confronti dei negoziatori indipendenti, Egitto e Qatar.

Tuttavia, se il risultato sarà un ritiro graduale di Israele dal Corridoio di Filadelfia e Netanyahu cederà alle pressioni interne e internazionali, saprà benissimo che si troverà di fronte a un’altra crisi.

Fine del controllo ashkenazita

Non è solo la probabilità che Bezalel Smotrich, il ministro delle Finanze, e Itamar Ben Gvir, il ministro della Sicurezza nazionale, i due più estremisti del suo governo, se ne vadano come hanno ripetutamente minacciato di fare.

Netanyahu sa che Israele è diviso a metà. Più della metà del Paese gli chiede di “finire il lavoro” che David Ben Gurion, il primo primo ministro di Israele, non è riuscito a portare a termine.

Questa rivolta, come le manifestazioni contro le riforme giudiziarie dello scorso anno, è uno degli ultimi lanci di dadi per l’élite liberale ashkenazita.

Sentono che stanno perdendo il controllo del Paese che hanno costruito. Hanno già perso il controllo dell’esercito e delle forze di polizia a favore dei coloni. Non è rimasto molto esclusivamente nelle loro mani e nell’ultimo anno c’è stato un esodo di israeliani e di denaro verso l’Europa che lo dimostra.

Netanyahu non agisce solo per sopravvivenza politica personale. Anche lui sente che Israele è sulla soglia di una rivoluzione di destra. Ecco perché ogni istinto politico gli dice che la posta in gioco è così alta. Se dovesse accadere, sarebbe totalmente in contrasto con una presidenza americana democratica.

Il disfacimento in tempo reale

Biden dovrebbe anche guardarsi allo specchio guardando ciò che sta accadendo nella Cisgiordania occupata.

Incapace, per una serie di ragioni, non ultima la preparazione militare, di aprire un secondo fronte contro Hezbollah in Libano, Netanyahu ha rivolto la sua attenzione alle tre città nel nord della Cisgiordania in un’operazione militare su larga scala chiamata “Operazione campi estivi”, progettata per forzare il trasferimento della popolazione.

Come la notte segue il giorno, sono iniziati gli attacchi alle truppe israeliane in tutta la Cisgiordania e in particolare nella zona meridionale di Hebron.

Biden e Harris dovrebbero prendere nota di chi ha ucciso tre poliziotti israeliani in risposta all’operazione dell’esercito nel nord.

Chi ha sparato era un membro di Fatah ed ex guardia di sicurezza presidenziale palestinese. Inoltre, Muhannad al-Asood, un residente di Idhna a Hebron, nato in Giordania e cittadino del Paese, è tornato in Cisgiordania nel 1998 con la sua famiglia dopo aver ottenuto il ricongiungimento familiare.

La storia personale di Asood porta con sé un chiaro avvertimento sulle conseguenze di come i palestinesi in Cisgiordania reagiranno all’apertura di un secondo fronte di questa guerra nei territori occupati, utilizzando a Jenin, Tulkarm e Tubas più o meno le stesse armi e tecniche che hanno usato a Gaza.

Asood non era un membro di Hamas o della Jihad islamica, né faceva parte di alcun gruppo di resistenza locale conosciuto. Ha deciso individualmente che la resistenza era l’unica risposta all’offensiva militare di Israele.

Ci sono centinaia di migliaia di palestinesi armati e non affiliati come lui in Cisgiordania e in Giordania che stanno arrivando alla stessa conclusione.

Inoltre, le tensioni tra Giordania e Israele stanno aumentando in modo esponenziale.

Il lancio dell’offensiva è stato accompagnato da una guerra di parole tra il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, e il suo omologo giordano, Ayman Safadi.

Un uomo palestinese con in mano una bandiera nazionale si ferma davanti a un bulldozer durante un raid israeliano nel centro di Jenin, nella Cisgiordania occupata, il 2 settembre 2024 (AFP)

Katz non solo ha detto ai residenti di Jenin di andarsene con un’evacuazione “temporanea”. Ha ripetutamente accusato la Giordania di aver accumulato armi nei campi, sostenendo che non è in grado di controllare il proprio territorio.

“L’Iran sta costruendo infrastrutture del terrore islamico in Giudea e Samaria, inondando i campi profughi con fondi e armi contrabbandate attraverso la Giordania, con l’obiettivo di creare un fronte orientale del terrore contro Israele. Questo processo minaccia anche la stabilità del regime giordano. Il mondo deve svegliarsi e fermare la piovra iraniana prima che sia troppo tardi”, ha twittato Katz su X.

Tutte bugie, ha replicato il suo omologo giordano.

Safadi ha scritto: “Respingiamo le affermazioni dei ministri razzisti estremisti che fabbricano minacce per giustificare l’uccisione dei palestinesi e la distruzione delle loro capacità. L’occupazione israeliana dei territori palestinesi, i crimini israeliani contro il popolo palestinese e l’escalation israeliana nella regione costituiscono la più grande minaccia alla sicurezza e alla pace.

“Ci opporremo con tutte le nostre capacità a qualsiasi tentativo di spostare il popolo palestinese all’interno o all’esterno dei territori occupati”.

Una conflagrazione più grande

Giunto al suo quinto giorno, il scenario è ancora una volta quello di un’operazione nella Cisgiordania occupata che potrebbe durare quanto quella di Gaza e che il presidente palestinese Mahmoud Abbas è impotente a fermare.

Gli adolescenti palestinesi stanno reagendo. Wael Mishah e Tariq Daoud sono nati dopo Oslo. Non hanno visto la Prima o la Seconda Intifada.

Entrambi erano stati rilasciati durante uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas a novembre. Al momento del rilascio, Mishah ha parlato della situazione dei bambini che vengono picchiati e maltrattati nelle carceri israeliane.

Il breve viaggio di Mishah era predestinato. “È passato da prigioniero a ricercato, ad affrontare [l’occupazione] e poi a martire”, ha detto sua madre.

È stato ucciso da un drone all’alba del 15 agosto mentre si opponeva a un’incursione israeliana a Nablus. Ci sono altre migliaia di persone come lui che sono state spinte a combattere.

Un altro combattente ucciso da Israele è stato il comandante del Battaglione Tulkarm, Mohamed Jaber, conosciuto come Abu Shuja’a. Era stato descritto da Israele come il militante più ricercato, ma aveva solo 26 anni ed era nato quattro anni dopo Oslo. Abu Shuja’a era un rifugiato del campo di Nur Shams, originario di Haifa. Ucciderlo ispirerà molti altri ad aderire, come lui stesso è stato ispirato da altri.

Anche con l’ovvia riluttanza di Hezbollah e dell’Iran a farsi coinvolgere, ci sono tutti gli ingredienti per una conflagrazione molto più grande.

Un Israele in preda a un’insurrezione di coloni ultra-nazionalisti e religiosi; un Presidente degli Stati Uniti che permette che la sua politica di riferimento venga disattesa dal suo principale alleato, anche a rischio di perdere un’elezione cruciale; una resistenza che non si arrende; palestinesi a Gaza che non fuggono; palestinesi in Cisgiordania che ora si stanno schierando in prima linea; la Giordania, il secondo Paese a riconoscere Israele, che si sente sotto minaccia esistenziale.

Per Biden o Harris, il messaggio è così chiaro da brillare con luci al neon: i costi regionali del non opporsi a Netanyahu potrebbero superare rapidamente i benefici interni del farsi trascinare da lui.

David Hearst è cofondatore e caporedattore di Middle East Eye. È commentatore e relatore sull’area e analista dell’Arabia Saudita. È stato redattore del Guardian per gli esteri ed è stato corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato al Guardian dal The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org