Il Genocidio a Gaza è tanto americano quanto israeliano. Gli Stati Uniti non lo fermeranno.

Il desiderio di un cessate il fuoco negli Stati Uniti, certamente tra gli elettori Democratici, è chiaro. Eppure, mentre il Massacro a Gaza entra nel suo dodicesimo mese, perché gli Stati Uniti continuano ad agire come fanno?

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Di Mitchell Plitnick – 6 settembre 2024

Immagine di copertina: Le bandiere israeliana e statunitense sventolano su una barca che naviga da Tiberiade al Kibbutz Ginnosar in Galilea. (Foto: James Emery/Wikimedia)

Dopo lunghi mesi e fiumi di sangue palestinese a Gaza, il mondo occidentale sta finalmente comprendendo il fatto che il cessate il fuoco proposto a Gaza non sta prendendo piede perché il governo israeliano lo sta impedendo.

Il desiderio di un cessate il fuoco negli Stati Uniti, certamente tra gli elettori Democratici, è chiaro. Se si deve credere al Presidente Joe Biden, alla Vicepresidente Kamala Harris e, a suo discredito, persino alla deputata progressista Alexandria Ocasio-Cortez, l’amministrazione sta lavorando “24 ore su 24” per garantirne uno. Eppure, mentre il massacro a Gaza entra nel suo dodicesimo mese, l’unica superpotenza mondiale sembra impotente di fronte all’intransigenza israeliana.

Se sembra assurdo, lo è. Allora perché gli Stati Uniti non fermano Israele, come sicuramente potrebbero semplicemente sospendere il flusso costante di armi?

Secondo un’intervista rilasciata dall’ex negoziatore israeliano Daniel Levy è che gli Stati Uniti non vogliono fermare la guerra perché “è anche la loro guerra”.

Ha ragione. Levy parla sia della lobby israeliana che delle forze geopolitiche che portano Washington a comportarsi come fa. Le sue parole meritano di essere analizzate se vogliamo comprendere appieno perché gli Stati Uniti hanno agito come hanno fatto da quando Israele ha iniziato il Massacro a Gaza.

Forze politiche interne

Mentre i Repubblicani, che sono anch’essi dediti dalla propaganda pro-Israele, sono predisposti a favorire Israele perché le loro opinioni religiose, di destra e spesso apertamente razziste si allineano bene con l’agenda di Israele, gli elettori Democratici hanno bisogno di essere più convinti.

Utilizzando accuse infondate di antisemitismo e l’influenza del denaro ricevuto sia dai donatori conservatori Democratici che Repubblicani, i difensori di Israele stanno tentando di contrastare la crescente simpatia per i palestinesi tra gli elettori Democratici.

Come ha detto Levy, “Israele ha ampiamente perso presa, ma non si deve sottovalutare quanto le cose possano ancora essere controllate dalla brutalità del denaro e delle forze pro-Israele. La Lega Anti-Diffamazione è molto importante nella militarizzazione e strumentalizzazione dell’antisemitismo e nella criminalizzazione della libertà di espressione palestinese”.

Israele, che un tempo aspirava a essere visto come egualitario, ha riconosciuto anni fa che questo sforzo era incompatibile con la sua realtà di Stato Etnico, costruito sullo spostamento e la persecuzione degli abitanti di quel territorio e governato da una complessa rete di leggi che equivaleva all’Apartheid.

Data la scelta tra cambiare la natura di quello Stato, fare i conti sinceramente con la sua storia e fare ammenda a coloro che aveva offeso nella sua lotta per stabilire e mantenere il suo status, e raddoppiare la sua dipendenza dalla forza bruta per sostenere un Regime Razzista, Israele ha scelto la seconda. Come tale, i suoi tentativi di mantenere la sua attrattiva per i liberali occidentali erano destinati al fallimento. Nel corso degli anni, Israele si è quindi allontanato da tali sforzi e ha applicato il suo modello di forza bruta con molta più intensità nei plessi universitari, nei tribunali e negli organi legislativi.

Queste attività soffocano il dibattito legittimo, creano un’atmosfera di paura e isolano ed espongono all’attacco quegli oratori più radicali che rifiutano di consentire a queste tattiche di mettere a tacere la loro indignazione per il Genocidio a Gaza e l’intensificazione della violenza in Cisgiordania.

Tuttavia, nonostante tutti questi sforzi, il denaro e la trasformazione in arma dell’antisemitismo non rappresentano del tutto la politica americana. Questi fattori sono più potenti al Congresso, ma hanno un impatto minore (anche se non insignificante) con il ramo esecutivo.

Interessi geostrategici americani

Come ha detto Levy, Gaza è la guerra degli Stati Uniti, mano nella mano con Israele. Non sta perseguendo questo Genocidio contro la sua volontà, e non vi è trascinata da Israele o dai suoi lobbisti.

Vale la pena notare che ogni volta che Israele ha spinto la regione sull’orlo del baratro, dove sarebbe bastato un altro attacco a Teheran o Beirut contro il giusto obiettivo per scatenare una guerra regionale, Israele non ha approfittato dell’opportunità, anche se l’aveva creata.

Va notato inoltre che gli Stati Uniti non hanno bisogno di lobbisti per impegnarsi in guerre omicide in cui i civili sono gli obiettivi principali. Le migliaia di droni lanciati dalle amministrazioni di Barack Obama e Donald Trump, le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan, i massicci bombardamenti e la carestia indotta nello Yemen e la distruzione della Libia sono solo alcuni degli esempi più recenti. Gli interventi massicci nel Sud-Est asiatico e in America Latina degli anni precedenti, i cui effetti sono ancora profondamente sentiti, mostrano il predominio a lungo termine di questo approccio nella politica estera americana.

Ogni tentativo di cambiare la politica americana in Medio Oriente si scontra con un pensiero radicato. Questo non può essere completamente separato dalla difesa pro-Israele; infatti, i due sono completamente intrecciati. Ma guardare solo alla cosiddetta “Lobby” perde parti importanti del quadro.

Levy ha accennato a questo nella sua intervista, dicendo: “La scuola realista del pensiero sulla sicurezza nazionale americana considera il cieco sostegno degli Stati Uniti a Israele un disastro per gli interessi americani e profondamente dannoso per la reputazione dell’America. Ciò ha generato un altro ciclo globale di rabbia contro l’America, perché questa è anche la guerra dell’America”.

Coloro contro cui i realisti si oppongono includono ideologi pro-Israele, così come pensatori di politica estera seri che vedono il mondo attraverso una lente binaria che è un artefatto della Guerra Fredda. Questi pensatori tendono a favorire Israele non per un fervore appassionato, ma per una visione che ritiene necessario sostenere gli alleati contro i movimenti nazionalisti o indipendenti.

È qui che si trova la Palestina dal periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, indipendentemente dal fatto che le forze in conflitto fossero comunisti, nazionalisti arabi, “islamisti” o persino movimenti più ampi come il Movimento dei Paesi Non Allineati o i BRICS.

Quel tipo di pensiero, che divide il mondo in due blocchi in competizione, si riflette nell’approccio di Joe Biden alla politica estera in generale. Ciò spiega il suo cambiamento rispetto alla retorica della campagna del 2020 sull’Arabia Saudita, ad esempio.

Biden può avere un fervore religioso per Israele, ma c’è anche la sensazione che, a parte la retorica fiorita, i movimenti per la giustizia e i diritti umani siano accettabili solo se sono in linea con gli obiettivi della “nostra parte”.

Rifiutarsi di adattarsi a un mondo in cambiamento

Mentre l’influenza unipolare degli Stati Uniti continua a diminuire, i decisori politici e coloro che li influenzano si adattano a un mondo in cambiamento o si aggrappano disperatamente a strategie obsolete che diventano sempre più inefficaci e persino dannose.

Adattarsi a nuove realtà richiede tempo, soprattutto in un Paese con un’enorme burocrazia decisionale come gli Stati Uniti. I cambiamenti nella politica generale non sono universali, ma avvengono una politica alla volta. Barack Obama, ad esempio, ha visto la necessità di cambiare l’approccio per perseguire al meglio gli interessi degli Stati Uniti.

Il tentativo iniziale e ingenuo di Obama di premere per un accordo finale per porre fine all’Occupazione di Israele attraverso un congelamento degli insediamenti è stato rapidamente respinto dal radicato sostegno a Israele nel suo stesso partito. Poi è passato a ridurre le tensioni con l’Iran con l’obiettivo a lungo termine di portare l’Iran in una relazione diplomatica stabile con gli alleati americani nella regione. Nonostante la massiccia resistenza dei sauditi e degli israeliani, che Obama ha gestito in modo criminale in parte consentendo la massiccia violenza di entrambi i Paesi contro rispettivamente il popolo yemenita e quello palestinese, il piano sembrava funzionare finché Donald Trump non lo ha scartato.

Joe Biden ha continuato le politiche di Trump anziché cercare di tornare all’approccio più efficace, sebbene lontano dai diritti umani o dalla giustizia, di Obama. Il risultato è stato il Genocidio a Gaza, il crescente pericolo di una guerra con l’Iran, l’intensificazione dell’aggressione israeliana in Cisgiordania e le minacce alla navigazione nel Mar Rosso. Non c’è bisogno di essere un sostenitore della Palestina per vedere che questo è dannoso per il mondo, compresi persino gli interessi imperiali americani.

Ma non tutti sono d’accordo. L’estrema destra in Israele ha sempre creduto che la soluzione a tutti i loro problemi fosse la forza militare. Si sono sempre opposti duramente ad altre tattiche, come un processo di pace senza fine. Ma ora hanno l’opportunità di attuare la loro strategia preferita e la stanno perseguendo.

Gli Stati Uniti hanno un gruppo simile di guerrafondai della politica estera, anche se a differenza di Israele attingono da falchi liberali e altri settori militaristi, nonché dalla destra radicale. Come in Israele, c’è un dibattito sulle tattiche, anche se non sull’obiettivo finale: affrontare l’Iran e indebolire qualsiasi movimento palestinese che cerchi di stabilire un’entità nazionale veramente indipendente e autonoma.

Quelli della scuola realista delle relazioni internazionali, così come altri che vedono i problemi con lo status quo, sostengono che il nostro miope sostegno a Israele danneggia gli interessi americani. Tuttavia, l’argomento fallisce perché, come ha osservato Levy, “L’America dice: sì, la gente ce lo dice da anni, e non succede. L’America pensa ancora di poter assorbire il costo che sta pagando”.

La perdita di credibilità americana per il suo sostegno a Israele ha raggiunto nuovi livelli con il proseguimento del Genocidio a Gaza, ma, come Israele, gli effetti materiali che abbiamo avvertito sono stati ben al di sotto di quelli che ci vorrebbero per far cambiare idea a coloro che credono che opporsi ai movimenti nazionali indipendenti e al sostegno incondizionato ai nostri alleati sia fondamentale per il potere globale americano.

Altri Paesi, compresi gli alleati americani, non hanno una mentalità così chiusa. L’Arabia Saudita ha lavorato per massimizzare i suoi benefici dagli Stati Uniti, ampliando contemporaneamente la sua relazione con la Cina e cercando un proprio accomodamento con l’Iran.

Mentre il ripristino delle relazioni diplomatiche dei sauditi con l’Iran ha ricevuto notevole attenzione, non sono i soli. Anche il Bahrein ha lavorato per migliorare le sue relazioni con l’Iran. L’Iraq sta diventando sempre più ostile alla continua presenza americana all’interno dei suoi confini e ha svolto un ruolo chiave nel colmare le differenze tra il mondo arabo e l’Iran.

L’organizzazione BRICS si è espansa a nove membri, tra cui Iran, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Anche l’Arabia Saudita è stata invitata a unirsi. Altri diciotto Paesi, tra cui Turchia, Kuwait, Bahrein e Palestina, hanno fatto domanda di adesione.

L’equilibrio del potere globale sta cambiando e, tragicamente, gli effetti delle vecchie potenze che lottano per mantenere il potere includono sia un brusco spostamento verso destra sia molta più violenza contro i civili.

Mentre gli attivisti negli Stati Uniti e in Europa possono solo continuare a premere per un cambiamento nelle politiche dei loro governi, si deve sperare che la dirigenza palestinese impari dai fallimenti dell’OLP e si allontani dalla vana speranza che il cambiamento possa arrivare dagli Stati Uniti.

Levy ha ragione quando afferma: “Se oggi stessi progettando un nuovo sforzo di pace, farei di tutto per rompere il monopolio americano. Ciò significa che i palestinesi devono fondamentalmente cambiare il loro modo di pensare, allontanandosi da un centramento sugli Stati Uniti o sull’Occidente e devono usare la geopolitica a loro vantaggio”.

Ciò vale non solo per i palestinesi, ma anche per quel piccolo settore in Israele che vuole vedere un cambiamento fondamentale, inclusa la vera uguaglianza per tutti. È anche una guida per le strategie di tutti noi che lavoriamo per cambiare la politica americana ed europea. In definitiva, la cosa migliore che possiamo fare è togliere di mezzo i nostri governi. Il loro coinvolgimento ha sempre fatto molto più male che bene.

Mitchell Plitnick è il presidente di ReThinking Foreign Policy (Ripensare la Politica Estera). È coautore, con Marc Lamont Hill, di Except for Palestine: The Limits of Progressive Politics (Tranne che per la Palestina: I Limiti della Politica Progressista). I precedenti incarichi di Mitchell includono vicepresidente della Fondazione per la Pace in Medio Oriente, direttore dell’ufficio statunitense di B’Tselem e co-direttore di Jewish Voice for Peace (Voce Ebraica per la Pace).

Traduzione di Beniamino Rocchetto -Invictapalestina.org