Solo il popolo palestinese deve risolvere la questione della propria legittima rappresentanza.
Fonte: English version
Di Ramzy Baroud – 12 settembre 2024
Immagine di copertina: Palestinesi tra detriti in un’area di tende dopo i bombardamenti israeliani vicino all’Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir al-Balah, Gaza, giovedì 5 settembre 2024.
Nell’aprile 2021, il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha emesso un decreto che rinviava le elezioni parlamentari e presidenziali, che avrebbero dovuto svolgersi rispettivamente a maggio e luglio.
L’allora ottantacinquenne Presidente palestinese ha motivato la sua decisione ingiustificata come risultato di una “disputa” con Israele sul voto dei palestinesi che vivono nella città palestinese Occupata di Gerusalemme Est.
Sebbene contrariamente al Diritto Internazionale, Israele consideri la Gerusalemme Est palestinese come parte della sua “capitale eterna e indivisa”, l’annullamento delle elezioni è nato da una questione puramente interna palestinese.
Marwan Barghouti, sebbene membro del Partito Fatah di Abbas, aveva deciso di correre da solo, presentandosi alle elezioni con una lista separata, la Lista della Libertà. I sondaggi d’opinione hanno mostrato che, se Barghouti avesse partecipato, avrebbe potuto battere decisamente Abbas.
Tuttavia, Barghouti, la figura palestinese più popolare in Cisgiordania, è prigioniero in Israele. Ha trascorso 22 anni nelle carceri israeliane.
Si possono solo fare delle ipotesi sui possibili esiti delle elezioni annullate di maggio e luglio 2021, se si fossero svolte come previsto. Un governo eletto regolarmente avrebbe certamente affrontato, in una certa misura, la questione della legittimità, o illegittimità, tra tutte le fazioni palestinesi.
Avrebbe anche consentito l’incorporazione di tutti i principali gruppi palestinesi in una nuova struttura politica che sarebbe stata puramente palestinese.
Tutto ciò è irrilevante ora, ma la questione della legittimità rimane primaria, poiché il popolo palestinese, più che mai, ha bisogno di una dirigenza unita e veramente rappresentativa, in grado di guidare la causa della Palestina durante questi tempi orribilmente difficili e cruciali.
Questa nuova dirigenza avrebbe anche potuto comprendere le mutevoli dinamiche globali riguardanti la Palestina e sarebbe stata costretta, per volontà del popolo palestinese, ad astenersi dall’utilizzare il crescente sostegno internazionale e le simpatie per Gaza per vantaggi finanziari e interessi di fazione limitati.
Requisiti della Democrazia
È vero, le elezioni sotto l’Occupazione Militare Israeliana non soddisferebbero mai i requisiti della Democrazia. Tuttavia, se fosse stato acquisito un minimo grado di rappresentanza nelle elezioni ora annullate, il risultato avrebbe potuto servire come punto di partenza per ampliare il cerchio della rappresentanza per includere l’OLP e tutti i palestinesi, nella Palestina Occupata e anche nello Shatat. (Il campo profughi palestinese di Ain Al-Hilweh in Libano è noto come capitale dello Shatatpalestinese)
Anche i palestinesi nello Shatat, la diaspora, hanno affrontato la questione della legittimità e della rappresentanza. Per quanto ben intenzionati, molti di questi tentativi hanno affrontato e continuano ad affrontare molti ostacoli, tra cui la geografia impossibile, le crescenti restrizioni politiche e i finanziamenti limitati, tra gli altri problemi.
Mentre il vuoto di una dirigenza veramente rappresentativa in Palestina rimane, Washington e i suoi alleati occidentali sono lasciati a confrontarsi con la questione stessa: chi governerà i palestinesi? Chi governerà Gaza dopo la guerra? Chi sono i palestinesi “moderati” da includere nei futuri piani occidentali guidati dagli Stati Uniti?
La questione della rappresentanza dovrebbe essere risolta dal popolo palestinese. E, finché questo compito non sarà raggiunto, dobbiamo investire nel dare centralità alle voci palestinesi in ogni piattaforma politica, legale e sociale che sia rilevante per la Palestina, per la lotta dei palestinesi e per le loro legittime aspirazioni.
Mettere al centro le voci palestinesi non significa che un palestinese sia un legittimo rappresentante dell’esperienza collettiva palestinese. Infatti, nessun palestinese, indipendentemente dalle sue opinioni politiche, orientamento di classe, esperienze e così via, può essere un degno ambasciatore della causa palestinese.
Anche senza elezioni generali organizzate, sappiamo già molto su ciò che vogliono i palestinesi. Vogliono la fine dell’Occupazione Israeliana, lo smantellamento degli insediamenti illegali, il rispetto del Diritto al Ritorno per i rifugiati palestinesi, l’uguaglianza sociale e una giusta rappresentanza, tra gli altri valori condivisi.
Queste sono le opinioni della maggioranza dei palestinesi come indicato in vari sondaggi d’opinione. Sentimenti simili sono stati espressi e ripetuti anno dopo anno.
Ne consegue che qualsiasi vero rappresentante della causa palestinese dovrebbe aderire a questi ideali; altrimenti, lui o lei rappresenterebbe gli interessi ristretti di una fazione, una classe egoista o rifletterebbe semplicemente le sue opinioni personali.
Solo coloro che riflettono veramente la più ampia esperienza e aspirazione collettiva palestinese meritavano di essere al centro, ascoltati o coinvolti. Così facendo si contribuirebbe a proteggere la Causa Palestinese da quei pochi egoisti che sfruttano opportunisticamente la Lotta Palestinese.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Ramzy Baroud è un ricercatore senior non di ruolo presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), dell’Università Zaim di Istanbul (IZU).
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org