Le opere d’arte di Bayan Abu Nahla appartengono allo stato di amore e desiderio che chiamiamo Palestina.
Fonte. English version
Di Ahmad Mufid – 13 settembre 2024
Immagine di copertina: “Portraits of War” di Bayan Abu Nahla, inchiostro e acquerelli su carta, 2023. (Foto per gentile concessione di Bayan Abu Nahla)
Questo articolo è stato originariamente scritto mentre l’autrice lavorava al Museo palestinese di Birzeit. È apparso per la prima volta in arabo sul quotidiano Al-Akhbar. Rawan Masri lo ha tradotto in inglese per il Museo palestinese ed è ristampato su Mondoweiss con autorizzazione.
“La creazione di immagini inizia con l’interrogare le apparenze e creare segni… Se si pensa alle apparenze come a una frontiera, si potrebbe dire che i pittori cercano messaggi che attraversano la frontiera: messaggi che provengono dal retro del visibile. E questo non perché tutti i pittori siano platonici, ma perché guardano con tanta attenzione.”— John Berger, citato da Kamal Boullata in “To Measure Jerusalem: Explorations of the Square,” per il Journal of Palestine Studies.
“La mia arte è malinconica, triste, acuta. Assume la funzione dell’arte nella catarsi esprimendo lo sconforto piantato dentro di noi da una vita crudele. La mia arte prende dalla mia vita, o da come mi sento riguardo alla mia vita. Tutto questo linguaggio poetico è dedicato a Gaza. Nonostante la guerra in corso, ho molte opere d’arte per le quali i sentimenti di serenità e amore sono fondamentali.”— Bayan Abu Nahla
Bayan Abu Nahla è un’artista visiva palestinese nata nel 2001. Originaria del villaggio etnicamente ripulito di Yibna nel sottodistretto di Ramla di Lydd, Bayan ha trascorso la sua infanzia nel campo profughi di Yibna a Rafah orientale, nella Striscia di Gaza meridionale. Disegna fin dall’infanzia e la maggior parte delle sue opere sono inchiostro su carta. Prima che chiudesse, Il Rachel Corrie Children’s Center di Rafah ha svolto un ruolo importante nel promuovere una cultura artistica nel disegno, nel teatro e nel canto per lei e gli altri bambini di Rafah. Nel 2019, si è iscritta a un corso di diploma in graphic design presso l’UNRWA Vocational College.
Le sue opere funzionano come un diario per elaborare sentimenti e pensieri effimeri e spontanei attraverso carta e penna. Non le interessano molto altri media, anche se ha dipinto su tela e creato video art. Le scene su carta realizzate con inchiostro e acquerelli rimangono le più care al suo cuore.
Fin dalla sua nascita, Bayan ha attraversato diverse guerre. Nel 2008, quando era in seconda elementare, la guerra le aveva fatto paura. Ma nel 2014, ha visto la guerra come un’avventura. Poi, durante la guerra del maggio 2021 a Gaza, ha sperimentato un senso di paura completamente nuovo. Bayan e la sua famiglia si erano trasferiti di recente nel quartiere Tal al-Hawa a Gaza City, dove l’occupazione applicò per la prima volta i bombardamenti a tappeto, descritti localmente come l’uso di “cinture di fuoco”, un’espressione comune durante l’attuale genocidio. Il loro appartamento fu preso di mira e venne bombardato davanti ai loro occhi. Questa paura, che appare nelle sue opere disegnate dopo il maggio 2021, è incarnata dagli occhi dei suoi personaggi, che gocciolano sangue, e dai loro lineamenti coperti di lividi.
Per quanto riguarda la guerra attuale, tutto è cambiato. Dice: “Le nostre speranze e il modo in cui vediamo la causa, la Palestina, la vita, tutto è cambiato. L’unica costante è un amaro risentimento”.
Dopo aver terminato gli studi presso l’UNRWA Vocational College, è entrata a far parte di Banafsaj, un team artistico giovanile del Tamer Institute for Community Education che organizza discussioni, disegni e attività. Lì ha incontrato l’artista Muhammad Sami, ora martirizzato, l’artista Khaled Jarada e altre figure note. Ha anche studiato nei laboratori virtuali dell’Eltiqa Art Gallery di Gaza. I più significativi per lei sono stati i laboratori di incisione e stampa. Amava la tecnica dell’incisione perché amava le opere d’arte che richiedevano uno sforzo fisico, mentre trovava l’arte digitale meno stimolante.
“I personaggi che disegno assomigliano a me e alle personalità che mi circondano, come la mia famiglia immediata e allargata”, ha raccomtato Abu Nahla. “Mio padre, in particolare, si distingue come fonte di ispirazione. Gaza è molto presente nel mio lavoro. I lineamenti dei personaggi sono coperti di lividi che cambiano colore a seconda delle emozioni impresse sui nostri volti: la tristezza, la disperazione, il sanguinamento. A volte le figure familiari appaiono in abiti tradizionali, come la madre in un abito ricamato, il thobe, come segno di palestinesità”.
Le sue opere preferite includono Elzaytona, che al momento in cui scrivo è esposta in “This is Not an Exhibition” al Museo palestinese di Birzeit. Combina due stagioni distanti, autunno e primavera.
Abu Nahla era solita passare accanto al bellissimo ulivo che le è servito da ispirazione mentre lavorava alla NAWA for Culture and Arts Association a Deir al-Balah come responsabile di un laboratorio artistico per i giovani. L’ulivo è un tema ricorrente nell’arte palestinese. Come ha scritto la rinomata artista palestinese Samia Halaby:
“Gli ulivi sono significativi nella storia della Palestina perché sono parti primarie della sua economia. Mentre li studiavo, ho visto un grande carattere in loro. La loro bellezza aspra e la loro utilità hanno influenzato molte altre persone, in particolare i contadini che si prendono cura di questi alberi. Ogni giorno, mentre tornavo a casa, vedevo una vecchia nonna in thobe che si preoccupava degli ulivi del giardino della sua famiglia. Lei apparteneva all’ulivo tanto quanto l’ulivo apparteneva a lei; entrambi sono parte dell’essenza della Palestina”. Vera Tamari, un’altra rinomata artista palestinese, ha utilizzato l’ulivo nella sua installazione, “Tale of a Tree”. L’opera è composta da piccole statuette di ulivi in ceramica dai colori vivaci, che modellano le cime degli alberi con le sue impronte digitali. Pertanto, l’ulivo appare come il soggetto della narrazione palestinese individuale e collettiva, non come un oggetto di scena sullo sfondo.
La prima esperienza espositiva di Abu Nahla è stata nel 2022 come parte di una mostra collettiva al Rashad Shawa Cultural Center di Gaza, a cui ha partecipato l’artista martirizzata Halima al-Kahlout. La mostra era stata sponsorizzata dalla Croce Rossa, la cui presenza Abu Nahla avrebbe poi condannato: “Dopo il tradimento che abbiamo subito durante questa guerra da parte della Croce Rossa, mi sono pentita della mia partecipazione. Stanno chiudendo un occhio sul genocidio a cui siamo sottoposti”.
Nel 2023, Abu Nahla ha organizzato la sua prima mostra personale a Betlemme, curata dall’accademico e collezionista palestinese George al-Ama e dal Power Group. Incredibilmente, è stata in grado di trasportare opere d’arte originali da Gaza a Betlemme.
Sebbene meno legata alle sue opere d’arte digitali, queste sono state esposte al Sahab Museum, al Palestine Museum US, e in spazi in Egitto, Olanda e California. Dopo aver vissuto numerose guerre, l’ossessione di Abu Nahla di perdere le sue opere d’arte nella distruzione che ne seguiva è stata una delle sue più grandi paure, una paura che alla fine si è avverata. Durante questo genocidio, Abu Nahla ha perso la sua casa, le sue opere d’arte e i suoi ricordi. In particolare, questo includeva il prezioso album fotografico dell’infanzia così vicino al suo cuore, da cui aveva tratto ispirazione per uno dei suoi progetti artistici più distinti, creato nello studio Shababek for Contemporary Art.
Il martire, Muhammad Sami
La madre disse:
Non l’ho visto camminare nel suo sangue
Non ho visto il fiore viola sul suo piede
Era appoggiato al muro
e nella sua mano
una tazza di camomilla calda
Stava pensando al suo domani…
— Mahmoud Darwish, A State of Siege
È stato emotivamente pesante per Abu Nahla parlare di Muhammad Sami, il suo amico e collega martirizzato. Ha raccontato come fossero una squadra:
“Eravamo giovani e stavamo imparando a conoscere l’arte e il mondo dell’arte insieme. La sua anima se ne è andata durante un massacro spietato e insondabile, il massacro dell’ospedale battista di al-Ahli. Nessuno si aspettava che una morte del genere attendesse Muhammad. Il video del bombardamento è spaventoso e scioccante. Si sentiva un martire? La mattina del massacro, Muhammad aveva pubblicato un video sul suo account Instagram nel cortile dell’ospedale in cui guidava attività per bambini; la sera, lui e centinaia di altre persone innocenti erano diventati solo pezzi di corpo! Era una persona autentica, genuina e con i piedi per terra. Non ci consideravamo artisti. Sarebbe stato adatto a lui lavorare con i bambini, dato che era una persona vivace, energica e allegra. Ci incontravamo spesso, soprattutto quando ha avuto una residenza artistica a Shababek, dove ha lavorato a un’opera che forgiava la tecnologia con l’arte “attraverso la creazione di codici QR che preservano l’arte palestinese dai furti”, riflettendo i massacri perpetrati a Shuja’iyya, il suo quartiere a Gaza. Con Tamer Kuhail, durante la guerra aveva composto opere musicali; la musica copre i suoni degli aerei da guerra. Nel cinquantesimo anniversario del martirio di Ghassan Kanafani, Muhammad aveva dipinto due opere d’arte per commemorarlo, come parte di una mostra del Tamer Institute for Community Education, ora esposta al Museo palestinese di Birzeit. Eravamo vicini all’al-Baqa Café in riva al mare, all’ospedale al-Shifa e a Shababek ed Eltiqa, la cui sede centrale si trova in belle e semplici vecchie case. Eravamo soliti uscire per parlare e scarabocchiare. Non ascoltavamo i grandi artisti, perché di solito ci davano consigli inutili. Dopo il suo martirio, ho provato a disegnarlo molte volte, ma non sono riuscita a finire nemmeno un’opera “.
7 ottobre: alluvione al-Aqsa
Abu Nahla e la sua famiglia hanno lasciato la loro casa nel quartiere Tel al-Hawa di Gaza per dirigersi a sud verso Rafah. Dopo averci pensato, dice: “Non posso descrivere questa guerra, perché sono sotto shock. Non mi aspettavo di vivere abbastanza per vedere questo giorno! Le mie opere d’arte finora non riflettono ciò che è accaduto; nulla può incarnarlo nella sua totalità. Posso dipingere scene staccate dalla guerra, ma l’arte non può spiegare le ramificazioni complessive. L’arte in tempo di guerra è un valore privo di necessità, un lusso scollegato da ciò che sta accadendo, sebbene sia importante nel documentare i pensieri e i sentimenti della giornata”.
Quando è stata sfollata per la prima volta da casa sua, ha portato con sé un quaderno, penne e acquerelli e ha iniziato disegnare ogni giorno. Perdere la sua casa, le sue opere d’arte, il suo computer con le foto delle sue opere d’arte e le foto e i ricordi di famiglia le aveva fatto perdere anche la speranza e la fiducia nell’arte e nel futuro. Quando ha visto le foto dell’esercito nemico che usava la sua casa come caserma militare e una postazione di cecchini, ha capito che non avrebbe mai più recuperato quei ricordi incontaminati. La sua casa, un luogo caldo e accogliente dove la famiglia esisteva come pratica quotidiana, non esisteva più.
Dopo cinque mesi di guerra, ha lasciato Gaza per l’Egitto.
Goodbye, Gaza
I palestinesi di Gaza stanno subendo il terrore più intenso che un essere umano possa sperimentare; la paura di morire da un momento all’altro, o che tutti intorno a loro moriranno prima di loro, senza via di fuga dai rumori dei bombardamenti, è così orribile e costante che alla fine non puoi far altro che rimanere intorpidito. I momenti più difficili sono quando senti la notizia del martirio di qualcuno, persone che non avresti mai pensato potessero morire, come ha detto Abu Nahla di Sami. È straziante immaginare i dettagli di come sono stati martirizzati: quelli di loro che sono rimasti sotto le macerie fino all’ultimo possibile respiro, o quelli che sono morti schiacciati sotto il peso delle macerie.
In merito allo sfollamento, nella sua opera d’arte appare un personaggio che incarna molte delle persone di Gaza durante la guerra in inverno, specialmente a Rafah, dove indossavano strati su strati di vestiti dopo essere stati costretti a fuggire all’inizio dell’autunno e avevano lasciato indietro i loro vestiti invernali, ignari che la guerra si sarebbe trascinata per mesi. Esauste e perse, le persone stipate in auto piene dei loro averi erano un’esperienza comunemente condivisa.
Abu Nahla una volta ha disegnato “Welcome to Gaza”, un’opera d’arte che aveva realizato durante i migliori momenti della sua vita prima della guerra. Dopo l’inizio della guerra e le conseguenti esperienze di perdita, sfollamento, paura e morte, e prima di riuscire finalmente a trovare rifugio in un altro paese, ha modificato il disegno e ci ha scarabocchiato sopra “Goodbye Gaza”. Un’opera piena di addii e dolore, è qualcosa che sembra la scena finale di un film prima che i personaggi si separino. Desidera ardentemente la splendida spiaggia, l’al-Baqa Café che visitava durante tutto l’anno e dove ha disegnato così tante delle sue opere d’arte.
Per dirla in parole semplici, le sue opere appartengono allo stato di amore e desiderio che chiamiamo Palestina.
La campagna GoFundMe per sostenere la famiglia sopravvissuta del martire Muhammad Sami può essere trovata qui.
Ahmad Mufid è un ricercatore palestinese che studia Storia dell’arte presso l’American University di Beirut. Ha inoltre conseguito un Master in Democrazia e Diritti Umani presso la Birzeit University. Mufid ha lavorato in precedenza per il Palestinian Museum ed è un graphic designer che lavora all’intersezione tra arti visive e scienze sociali.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org