Un massiccio attacco aereo ha colpito venerdì il “quartier generale” del partito sciita nella periferia sud di Beirut, mirando al segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, come rivendicato dall’esercito israeliano.
Fonte: Version française
OLJ / Lyana Alameddine e Caroline Hayek, con Julien Ricour-Brasseur e la redazione, il 28 settembre 2024
Immagine di copertina: Scena di caos, nel quartiere della periferia sud di Beirut, colpito da un attacco israeliano, il 27 settembre 2024. Foto Ibrahim Amro/AFP.
Sono solo ombre che vanno e vengono nella piazza dei Martiri, nel centro di Beirut. Julia e i suoi due figli aspettano in silenzio in un’ambulanza. Sono fuggiti da Bourj Brajné, nella periferia. In quattro su una moto, hanno corso come pazzi, ancora scossi dall’attacco massiccio che ha colpito la capitale all’inizio della serata. Membri di un’associazione cercano di trovare loro un tetto per la notte. «Dov’è lo Stato? Sono mesi che dovrebbero prepararsi all’escalation», si lamenta il responsabile. «Non mi importa chi sia stato ucciso stasera, quello che mi interessa ora sono questi due bambini che non hanno chiesto nulla.»
Venerdì, poco prima delle 18:30, l’esercito israeliano ha condotto un massiccio attacco contro la periferia sud di Beirut, mirando al centro di comando di Hezbollah, dove si trovava il segretario generale del partito Hassan Nasrallah. L’attacco avrebbe causato diverse centinaia di morti secondo le stime dell’esercito israeliano, ma il destino di Hassan Nasrallah era ancora sconosciuto diverse ore dopo l’attacco.
Nella mezz’ora successiva, le voci si sono diffuse a macchia d’olio. E se Hassan Nasrallah fosse morto? Poco più in là, sotto il pugno della rivoluzione, simbolo della rivolta popolare dell’ottobre 2019 contro la classe dirigente libanese, decine di persone non sanno dove passeranno la notte. «Nasrallah non è morto. Se la sua morte fosse confermata, non ci sarebbe più sicurezza in Libano. Tutto il paese sarebbe in guerra, non solo gli sciiti», cerca di convincersi Youssef Ala’eddine, originario di Majdel Selm (Marjeyoun). Accanto a lui, una bambina si copre gli occhi. «Non è morto, non è morto», dice. «Se fosse così, potrai dire addio al Libano…», riprende Youssef.
Fatmé*, una madre di nove figli seduta per terra, annuisce. «I più grandi sono rimasti a casa per evitare che ci rubino. Abbiamo portato solo i piccoli. Il minivan ha chiesto 100.000 lire libanesi (circa 1 dollaro) a persona. Ma non abbiamo più soldi per pagare», racconta piangendo. Poi aggiunge: «La guerra deve finire. Sono i nostri figli a pagare il prezzo.»
«Il Libano non sarà come Gaza»
A Mar Mikhaël, solo poche persone vagano per la strada commerciale. Venerdì sera, i bar sono vuoti, per lo più chiusi. Le luci sono spente, le strade immerse nell’oscurità. «Dopo il 4 agosto, non si sente più nulla», dice un musicista che passa di lì. Davanti a un chiosco, un uomo si presenta come un fattorino, residente a Hay el-Solom, nella periferia sud di Beirut. «Non sono partito perché non ne ho i mezzi. Certo che ho paura…»
Dall’altra parte della città, la via commerciale di Hamra è piuttosto animata, ma nessuno parla. Tutti hanno gli occhi incollati al telefono. «Questo attacco mi ha completamente spaventato. Sto cercando di capire se Hassan Nasrallah è morto o meno», dice un addetto alla sicurezza. «Non cambierà nulla se muore. Sarà sostituito», aggiunge però.
Caffè e ristoranti sono a metà pieni. Tre donne, sfollate dalla Beqaa, mangiano pollo e patatine. «Non ho avuto paura dell’attacco di oggi. Lunedì nella Beqaa ho vissuto di peggio», afferma Farah, traduttrice di 25 anni, originaria di Taraya (Beqaa). «Ciò che ci preoccupa è lo stato di Hassan Nasrallah. Speriamo che non sia morto…» continua. «Il Libano non sarà come Gaza perché la resistenza è presente. È più forte di quella di Hamas», stima invece un’amica.
Per strada, tre giovani cuochi camminano con i loro zaini. Il loro capo gli ha detto di tornare a casa. Dove? «A Akkar», dicono in coro.
«Il sayyed è la mia anima»
Nel liceo libano-francese Abdel Kader del quartiere al-Zarif, il cortile è pieno di gente. Alcuni fumano il narghilè. Altri si riuniscono come se nulla fosse. Lunedì, Imane è fuggita da Kherbet Selem, nel sud del Libano. «Ci ho messo 14 ore per arrivare a Beirut.» Ma è stato l’attacco a Dahyé a sconvolgerla di più. «Non era paragonabile. Era più forte, più duro», assicura. «Ma non importa il prezzo di questa guerra, ne usciremo vittoriosi. Il sayyed è la mia anima. Ma se dovesse morire, cento sayyed prenderanno il suo posto», dice, riferendosi ai tre figli feriti «per la causa» nella guerra del luglio 2006 e nella guerra in Siria.
Accanto a lei, Zahra, una sessantenne, ha aspettato questa notte per fuggire dal suo appartamento nella periferia sud di Beirut. «Oggi è stato troppo. Dopo questo, impossibile restare… Ho paura che il sayyed sia morto. È tutto per noi. Senza di lui, non siamo nulla.»
In un’altra aula, una famiglia di Beit Lif sobbalza quando un bambino apre la porta e urla: «Avete sentito?» «Cosa?» dicono in coro. «Niente di niente», scherza lui. Sollievo. «Moriremo tutti se il sayyed è morto», dice una madre di un combattente di Hezbollah, ucciso un mese prima. Accanto a lei, suo cugino Ali* stava guidando nel quartiere quando è avvenuto l’attacco delle 18:30. Descrive una scena di panico, con persone che cercavno di uscire dalla nube di fumo correndo in ogni direzione. «Non vogliamo questa guerra. Che trovino una soluzione e che possiamo tornare a casa», dice, prima di riprendersi. «La resistenza sarà vittoriosa. Anche se il Libano diventasse Gaza, non consegneremo le armi.»
Poco dopo le 23, il portavoce in arabo dell’esercito israeliano, Avichay Adraee, ha emesso nuovi ordini di evacuazione su X per gli abitanti della periferia sud, affermando che si trovano vicino a edifici in cui Hezbollah immagazzina missili. «Per la vostra sicurezza e quella dei vostri cari, siete obbligati a evacuare immediatamente questi edifici e ad allontanarvi di almeno 500 metri», ha indicato. Circa un’ora dopo, una pioggia di bombe si è abbattuta sulla periferia sud…
*I nomi sono stati cambiati.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” – Invictapalestina.org