L’errore fatale di Hezbollah è stato quello di credere che Israele fosse vincolato alle regole della guerra

Dopo il 7 ottobre, Israele non è più vincolato ad alcuna regola di ingaggio, come hanno dimostrato le sue operazioni militari a Gaza, in Libano, nello Yemen e in Iran.

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di Marco Carnelos, 30 settembre 2024Immagine di copertina: : Persone camminano tra le macerie degli edifici di Beirut rasi al suolo il 27 settembre dai bombardamenti israeliani che hanno ucciso il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, 29 settembre 2024 (AFP)

Trentadue anni fa, un raid israeliano uccise Abbas al-Musawi, allora segretario generale di Hezbollah.

All’epoca, le prime pagine dei giornali israeliani salutarono l’evento come la sconfitta definitiva del movimento libanese. Gli ultimi tre decenni hanno dimostrato che tale ottimismo era del tutto sbagliato. Hezbollah ha reagito sanguinosamente altrove e, a tempo debito, è diventato molto più forte di quanto non fosse nei primi anni Novanta.

Finora non c’è alcuna indicazione che l’uccisione di Hassan Nasrallah a Beirut il 27 settembre possa provocare, ancora una volta, la scomparsa di Hezbollah.

Ciò che sfugge a Israele e, più in generale, alle democrazie occidentali nella loro analisi è che i loro concetti generali di vittoria o sconfitta non possono essere facilmente applicati a un’organizzazione votata al martirio, come è Hezbollah.

In altre parole, se Hezbollah vince, questo evento viene festeggiato. Se perde, viene commemorato come un martirio in un conflitto più ampio contro l’oppressione (l’occupazione israeliana delle terre arabe) e l’ingiustizia (l’egemonia occidentale e i doppi standard nelle relazioni internazionali). In una parola, questo si chiama resistenza.

Come qualsiasi altra organizzazione, Hezbollah commette errori e negli ultimi tempi ne ha commessi molti.

Il principale è stato quello di credere che Israele fosse ancora legato ad alcune regole di ingaggio – un errore fatale. Dopo il 7 ottobre, infatti, Israele non è più vincolato ad alcuna regola di ingaggio, come hanno dimostrato le sue operazioni militari a Gaza, in Libano, nello Yemen e in Iran.

Decapitato e indebolito

Protetto dalla totale impunità che gli Stati Uniti e l’Unione Europea gli hanno concesso, e in alcuni casi anche dalla loro aperta complicità, Israele ha usato le sue straordinarie capacità militari e di intelligence per sferrare colpi durissimi contro i suoi nemici. Se, così facendo, abbia raggiunto i suoi obiettivi più importanti, è attualmente più difficile dirlo.

Non si sa ancora in che misura le spettacolari esplosioni di cercapersone e walkie-talkie abbiano permesso a Israele di acquisire anche informazioni di alto livello, attraverso l’accesso ai sistemi GPS dei dispositivi, sui movimenti e sulle strutture di potere dei vertici di Hezbollah.

Non c’è dubbio che negli ultimi 12 mesi Israele abbia decapitato e indebolito sia Hamas che Hezbollah. Ha creato confusione e scompiglio in entrambe le organizzazioni, ma non è certo che sia riuscito a sottometterle una volta per tutte.

È possibile uccidere le persone, ma non le idee e le rimostranze che le muovono.

Per quanto riguarda le modalità e i tempi della reazione di Hezbollah agli ultimi colpi inferti da Israele, non va dimenticata la regola standard che è rimasta costante per decenni nell’organizzazione.

Hezbollah non è condizionato dalle esigenze del ciclo di notizie dei grandi network informativi occidentali e non, e tanto meno dalle aspettative delle classi politiche e degli apparati di sicurezza degli Stati con cui si confronta, a cominciare dallo stesso Israele.

Consapevole della propria inferiorità militare e tecnologica, Hezbollah ha sempre cercato di utilizzare a proprio vantaggio fattori intangibili, come il tempo.

Tenere il nemico alle corde nell’attesa è spesso snervante. Perché come e quando si concretizzerà la rappresaglia è già di per sé una forma di reazione e punisce l’avversario.

La guerra asimmetrica e ibrida, in un momento a loro scelta, è la norma per le organizzazioni che hanno fatto della resistenza il motore principale della loro attività. Una guerra di logoramento e non uno scontro aperto è sempre l’opzione migliore quando si ha a che fare con Israele.

Un colpo mortale

Inoltre, la reazione dell’Asse della Resistenza a Israele non ha ancora mostrato una sinergia e un coordinamento significativi.

Hamas effettua i suoi lanci di razzi, così come Hezbollah, gli Houthi e le milizie sciite irachene.

Teheran ha condotto una propria operazione dopo l’attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco in aprile. Per lo più hanno agito separatamente l’uno dall’altro.

Non hanno mai attaccato Israele insieme nello stesso momento per saturare il sistema Iron Dome e infliggere vittime e danni molto più significativi a Israele. Non è chiaro se si sia trattato di una deliberata dimostrazione di moderazione o del risultato di difficoltà tecniche e logistiche.

A prescindere da tutte queste considerazioni, Israele ha inflitto un colpo devastante a Hezbollah. Ma questo “successo” non avrà alcun significato se non neutralizzerà anche la minaccia per le sue comunità settentrionali, che sono state sfollate negli ultimi 12 mesi.

Se, come si sostiene, l’obiettivo principale di Israele è quello di riportare nelle loro case i 60.000 cittadini reinsediati con la forza nel sud, dovrà condurre un’operazione di terra nel Libano meridionale.

L’ideale sarebbe cercare di ricreare la zona cuscinetto di cui ha goduto tra il 1982 e il 2000. Tuttavia, nel caso di un’operazione di terra, Hezbollah potrebbe infliggere perdite significative all’esercito israeliano.

Pazienza strategica

Israele dovrebbe pensarci due volte prima di avventurarsi con le sue forze di terra nel Libano meridionale. Potrebbe trovare un esercito di Hezbollah confuso e demoralizzato, ma anche uno che ha aumentato in modo significativo le sue capacità di combattimento, soprattutto dopo l’esperienza acquisita nei combattimenti durante la lunga guerra civile siriana.

Le forze d’élite di Hezbollah, i Radwan, schierati lungo il confine, sono in gran parte intatte.

D’altra parte, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu potrebbe trovarsi in una situazione vantaggiosa per tutti.

Se non accade altro, potrebbe rivendicare un’importante vittoria contro Hamas ed Hezbollah, avendo ottenuto una significativa degradazione dei loro mezzi e della loro leadership.

Se invece dovesse scoppiare una guerra totale che coinvolge tutto l’Asse della Resistenza, potrebbe rivendicare il più importante successo strategico israeliano degli ultimi decenni: un’escalation che potrebbe in ultima analisi trascinare gli Stati Uniti in un conflitto aperto con l’Iran.

In questo scenario, la sua permanenza al potere potrebbe essere assicurata per gli anni a venire.

C’è solo un modo per evitare questa eventualità: l’Asse della Resistenza dovrebbe mostrare molta più pazienza strategica di quella dimostrata finora.

Marco Carnelos è un ex diplomatico italiano. È stato impegnato in Somalia, in Australia e alle Nazioni Unite. Ha fatto parte dello staff di politica estera di tre primi ministri italiani tra il 1995 e il 2011. Più recentemente è stato coordinatore del processo di pace in Medio Oriente, inviato speciale per la Siria del governo italiano e, fino a novembre 2017, ambasciatore d’Italia in Iraq.

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org