La guerra di Israele contro il Libano: i mediatori occidentali sono scollegati dalla realtà

L’appello globale per un cessate il fuoco segue iniziative simili fallite a Gaza. Perché ci aspettiamo risultati diversi?

Fonte: English version

di  Marco Carnelos, 29 settembre 2024

Immagine di copertina: Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente francese Emmanuel Macron sono fotografati durante un incontro a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 25 settembre 2024 (Keystone))

Dallo scorso ottobre, Israele e Hezbollah sono impegnati in una guerra di logoramento. Il movimento libanese, prevedendo una massiccia rappresaglia israeliana a Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha bloccato le forze militari israeliane lungo il confine tra i due Paesi nel tentativo di aiutare i palestinesi.

Questa guerra è stata costosa per entrambe le parti. L’apparato di sicurezza e di intelligence di Israele è stato costretto a uno stato di massima allerta, mentre decine di migliaia di israeliani e libanesi sono stati sfollati dalle loro case nella zona di confine.

Con la campagna di Gaza ancora non risolta – il territorio è stato distrutto, ma Hamas no – questo mese Israele ha deciso di intensificare la sua guerra contro il Libano. Per giustificare questa decisione è stata presentata una strana logica: “de-escalation attraverso l’escalation”.

Secondo Israele, una pressione straordinaria su Hezbollah potrebbe spingerlo ad accettare un accordo che consentirebbe il ritorno dei cittadini israeliani alle loro case nel nord, indipendentemente dallo stallo dei negoziati per stabilire un cessate il fuoco a Gaza.

Ciò dipenderebbe dall’interruzione del legame che Hezbollah ha stabilito un anno fa tra la fine della sua guerra di logoramento e il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza. Inoltre, le unità di Hezbollah dovrebbero ritirarsi di circa 10 chilometri dal confine.

Tali aspettative vanno contro tutte le dichiarazioni che i leader di Hezbollah hanno pronunciato negli ultimi 12 mesi.

Le recenti spettacolari (e terroristiche) esplosioni coordinate di cercapersone e radio in tutto il Libano sono state lo spunto per questa “escalation de-escalation”. Da allora la guerra si è intensificata con una raffica di attacchi aerei israeliani, che hanno causato centinaia di vittime libanesi, e con massicci – ma molto meno letali – attacchi missilistici e di razzi da parte di Hezbollah.

Il culmine è stato raggiunto venerdì con l’assassinio – attraverso una massiccia operazione di bombardamento – del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che ha sconvolto il Libano e l’intera regione e entusiasmato Israele.

Sinistro messaggio

L’operazione cercapersone e la decapitazione della leadership di Hezbollah – molti dei suoi comandanti militari sono stati assassinati negli attacchi delle ultime settimane – hanno cercato di ristabilire una delle principali risorse che Israele ha perso nel corso dell’ultimo anno: il suo potere deterrente nei confronti dei suoi nemici nella regione.

È ancora troppo presto per stabilire se l’obiettivo sia stato raggiunto, ma le operazioni potrebbero anche aver avuto un effetto deterrente più ampio, ben oltre i nemici più immediati di Israele.

Sebbene il governo israeliano non abbia detto nulla che confermi tale conclusione, tutti i sostenitori della causa palestinese e i critici della politica israeliana nel mondo non possono fare a meno di prendere atto del messaggio di fondo: Israele può fare quello che vuole, ovunque, impunemente.

La vita ordinaria delle persone, compreso l’uso di dispositivi elettronici, non solo è soggetta alle intercettazioni di Israele, ma questi dispositivi possono anche essere usati per danneggiarle fisicamente, se lo Stato decide che è nel suo interesse. In altre parole, il danno al potere deterrente di Israele dopo il 7 ottobre deve ora essere ristabilito a livello globale contro tutti i potenziali nemici, sia militari che politici.

In un contesto così sorprendente – in cui, tra l’altro, potrebbe essere teoricamente a rischio l’intera filiera digitale globale, o almeno quella occidentale, a causa della sua stretta (e spesso cieca) collaborazione con Israele – gli Stati Uniti e la Francia hanno deciso di intervenire.

In una dichiarazione congiunta, sottoscritta anche da Australia, Canada, UE, Germania, Italia, Giappone, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Regno Unito, hanno chiesto “un immediato cessate il fuoco di 21 giorni lungo il confine tra Libano e Israele per dare spazio alla diplomazia verso la conclusione di una soluzione diplomatica”, insieme all’attuazione di una precedente risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che richiedeva un cessate il fuoco a Gaza.

Idealmente, tale pausa aprirebbe ulteriore spazio per i negoziati per prevenire una guerra più ampia in Libano, permetterebbe ai civili sfollati di tornare alle loro case su entrambi i lati del confine e rinnoverebbe le possibilità di un cessate il fuoco a Gaza e di un accordo sugli ostaggi.

Ma Israele ha già respinto l’appello globale per un cessate il fuoco in Libano, continuando i suoi attacchi aerei giovedì e portando a termine venerdì la più spettacolare operazione di assassinio degli ultimi anni.

La diplomazia occidentale

Sebbene la spinta internazionale per porre fine ai combattimenti in Libano sia ammirevole, è legittimo nutrire qualche dubbio su questo ulteriore tentativo di diplomazia occidentale.

Perché, dopo giorni di sanguinosa escalation, l’iniziativa di pace guidata dal diplomatico israelo-americano (ed ex soldato israeliano) Amos Hochstein dovrebbe avere successo ora, dopo più di un anno di tentativi falliti di de-escalation della situazione lungo il confine tra Israele e Libano?

Sebbene Hochstein sia riuscito a mediare un accordo sui confini marittimi tra Israele e Libano nel 2022, questo era nell’interesse di entrambe le parti. Le circostanze attuali sono molto diverse.

Ciò che è particolarmente sorprendente questa volta è la presunta motivazione presentata per sostenere che la diplomazia funzionerà. Secondo Axios, che cita una fonte a conoscenza diretta dei piani: “Se Hamas vede che Hezbollah dà una possibilità di soluzione diplomatica, potrebbe incoraggiare il leader [di Hamas] Yahya Sinwar a muoversi verso un accordo”.

Vale la pena chiedersi in quale realtà parallela vivano coloro che hanno confezionato un simile ragionamento.

Evidentemente, chi credeva che la ragione principale del fallimento dei negoziati su Gaza fosse il deliberato sabotaggio del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu – abbondantemente confermato dal suo stesso team negoziale – si sbagliava di grosso. L’ostacolo è sempre stato Sinwar, che aveva solo bisogno di essere convinto.

Quando i negoziati si basano su premesse sbagliate e su un pensiero velleitario, scollegato dai fatti sul campo, non può sorprendere che il risultato sia solitamente un fallimento.

Non possiamo fare a meno di ricordare la famosa definizione di Albert Einstein sulla follia: “fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”.

Marco Carnelos è un ex diplomatico italiano. È stato distaccato in Somalia, in Australia e alle Nazioni Unite. Ha fatto parte dello staff di politica estera di tre primi ministri italiani tra il 1995 e il 2011. Più recentemente è stato coordinatore del processo di pace in Medio Oriente, inviato speciale per la Siria del governo italiano e, fino a novembre 2017, ambasciatore d’Italia in Iraq.

 

Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org