Nessun posto per i lavoratori stranieri sfollati in Libano

Alcuni di loro sono nati e cresciuti in Libano, ma in guerra non hanno posto nei programmi di sostegno delle autorità.

Fonte: English version

Di Justin Salhani – 4 ott 2024

Immagine di copertina: Una donna migrante che trasporta i suoi averi a Beirut nel mezzo della guerra di Israele contro il paese (Courtesy of Dara Foi’Elle, Migrant Workers’ Action)

Beirut, Libano – Negli ultimi 11 mesi, mentre i raid aerei colpivano i villaggi vicino a casa loro, Lakmani e sua madre Sonia hanno deciso di rimanere nel loro villaggio di Jouaiya, nel sud del Libano, a circa 25 minuti di auto a est di Tiro e a poco meno di un’ora dal confine meridionale.

“Ci sono stati alcuni raid non lontano”, dice  Lakmani, 26 anni.

“E hanno rotto la barriera del suono un paio di volte”, aggiunge sua madre Sonia, 45 anni. Sonia è arrivata dallo Sri Lanka in Libano per lavorare come donna delle pulizie poco prima di dare alla luce Lakmani, che ha vissuto tutta la sua vita in Libano e lavora come insegnante privata.

“Ma poi lunedì hanno iniziato a cadere le bombe e abbiamo detto: ‘OK, dovremmo andare'”, raccontaLakmani ad Al Jazeera, seduta su una panchina del parco nel centro di Beirut, dove ora dorme con sua madre.

Quel giorno, il 23 settembre, sarebbe diventato il giorno più mortale dalla fine della guerra civile del paese, nel 1990. Le bombe israeliane sono piovute sui villaggi nel sud e nella valle della Bekaa nell’est del Libano, uccidendo almeno 550 persone.

Lakmani e Sonia hanno raccolto alcuni averi, per lo più vestiti, e sono fuggite a Tiro, pensando che lì sarebbero state al sicuro.

Ma dopo tre giorni, i raid aerei intorno a Tiro sono stati così violenti che hanno deciso di spostarsi a nord, a Beirut. Venerdì 27 settembre, l’esercito israeliano ha inviato ordini di evacuazione per gran parte della periferia meridionale di Beirut, creando una crisi di sfollamento nella capitale.

Loro, come altri lavoratori stranieri in Libano, ora dormono all’addiaccio.

Lakmani e sua madre hanno trovato spazio in un piccolo giardino pubblico erboso con qualche albero accanto a una strada trafficata a Saifi, vicino a Piazza dei Martiri nel centro di Beirut.

Circa 102.000 persone erano già state sfollate negli ultimi 11 mesi. Ora quella cifra è di circa un milione, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA).

Una grave sottostima

Il Ministero dell’istruzione ha aperto rifugi per gli sfollati nelle scuole di tutto il paese, ma li ha limitati ai cittadini libanesi sfollati. Quelli senza nazionalità libanese, e molti con essa, si sono rifugiati sul lungomare di Beirut o in spazi pubblici.

Zeinab dal Sudan tiene in braccio la sua neonata nel rifugio temporaneo per migranti presso la chiesa di San Giuseppe a Beirut, Libano, 1 ottobre 2024. REUTERS/Louisa Gouliamaki

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni stima che in Libano vivano circa 176.500 migranti, anche se si pensa che il numero reale sia molto più alto.

Una cifra citata regolarmente è di circa 200.000, ma anche questa è una “grossolana sottostima”, secondo esperti e attivisti del settore.

Molte di loro lavorano come addetti alle pulizie o tate e sono vincolate al sistema della kafala, che lega un lavoratore straniero a uno sponsor locale e spesso si traduce in abusi sul lavoratore.

I recenti attacchi israeliani hanno evidenziato la vulnerabilità di questi lavoratori stranieri. Gli attivisti specializzati nel lavorare con loro hanno detto ad Al Jazeera che la guerra li ha lasciati in una serie di situazioni problematiche. “Alcune di loro sono state lasciate indietro nelle case dei loro [datori di lavoro] in aree mirate, principalmente nel Libano meridionale o nella regione della Bekaa e hanno dovuto trovare la strada per spostarsi in aree sicure, spesso senza passaporti o documenti”, ha detto ad Al Jazeera Diala Ahwash, un’attivista libanese per i diritti dei migranti.

Altre sono state portate in aree sicure dai loro datori di lavoro, ma poi lasciate per strada, costrette a dormire all’addiaccio nei parchi o sul lungomare di Beirut. Alcune sono state portate in rifugi temporanei, ma poi espulse quando gli amministratori hanno deciso di dare posti ai libanesi.

“Non si capisce che anche queste donne hanno dei diritti. [Questa situazione] risale alla kafala e al suo funzionamento, che trasforma  le lavoratrici domestiche migranti in un accessorio o una merce”, ha detto ad Al Jazeera Salma Sakr, dell’Anti-Racism Movement (ARM). “E quando non hai bisogno di questa merce la butti via per strada”. “Fondamentalmente la maggior parte dei lavoratori migranti si trova ora ad affrontare una situazione precaria a vari livelli, ma è un disastro in senso generale”, ha detto Ahwash.

Non c’è luogo senza guerra

Con l’espansione della guerra, alcune ambasciate hanno iniziato a espellere i loro cittadini. L’ambasciata delle Filippine ha rimpatriato i suoi cittadini gratuitamente.

Altre stanno invece facendo pagare i loro cittadini e molti lavoratori stranieri hanno salari bassi e non possono permettersi costosi biglietti aerei per tornare a casa. Poi ci sono cittadini di paesi che in Libano hanno un consolato onorario invece di un’ambasciata.

Molte ambasciate non vogliono pagare per rimpatriare i loro cittadini, chiedendo che le persone paghino di tasca propria le loro evacuazioni [Per gentile concessione di Dara Foi’Elle, Migrant Workers’ Action]
“Questi consolati sono completamente inutili e alcuni sfruttano i lavoratori in questa situazione e li fanno pagare di più”, ha detto Sakr. “Con le ambasciate, c’è una risposta di livello superiore”.

Ma, ha aggiunto Sakr, molte ambasciate richiedono ancora ai cittadini di pagare il viaggio di ritorno a casa.

Nel parco di Saifi, Rose, 30 anni, siede con due dei suoi connazionali etiopi. Vivevano tutti nella periferia meridionale di Beirut fino a venerdì scorso, quando Israele ha iniziato a inviare ordini di evacuazione. Rose è in Libano da 12 anni. Lavora come freelance e vive a casa sua con il marito sudanese e due figli.

“Tutti vengono qui per parlare con noi, ma cosa ci guadagnano da queste interviste?” ha detto, con la sua stanchezza evidente. Ha detto che non poteva permettersi di pagare l’evacuazione, ma anche se potesse, “Mio marito è del Sudan e io sono dell’Etiopia. Non c’è luogo senza guerra”.

Alcuni cittadini provenienti da paesi che stanno subendo conflitti in corso, come Siria, Sudan, Etiopia e altri, possono registrarsi presso l’UNHCR e presentare domanda di reinsediamento, anche se “il processo richiede anni e anni e serve una popolazione molto piccola”, ha affermato Sakr. “Quindi non è una situazione realmente sostenibile”.

Anche il governo libanese è stato di scarso aiuto, secondo gli attivisti. In alcuni casi, la sicurezza generale del Libano, responsabile del controllo delle frontiere, ha comminato multe di centinaia o migliaia di dollari ai lavoratori con documenti scaduti. La maggior parte dei lavoratori guadagna al massimo poche centinaia di dollari al mese.

“Dato che il Libano sta affrontando attacchi incessanti e indiscriminati, è fondamentale tenere a mente i più vulnerabili”, ha affermato Dara Foi’Elle, di Migrant Workers Action (MWA), un’organizzazione che lavora per contrastare lo sfruttamento sistemico dei lavoratori migranti in Libano. “È necessaria un’amnistia generale per tutti quei lavoratori senza documenti che vogliono andarsene”. Uno dei maggiori problemi di cui si lamentavano le donne nel parco di Saifi era la mancanza di un posto privato dove farsi la doccia o usare il bagno. “È più dura per le donne che per gli uomini”, ha detto Mortada, 36 anni, un uomo sudanese sfollato dal sud.

“Se la guerra non finisce, torneremo a casa”

Di nuovo nel parco nel centro di Beirut, Lakmani è seduta con sua madre. Dicono che il parco è un rifugio decente, ma che vorrebbero un posto pulito dove farsi la doccia e usare il bagno.

Molti lavoratori migranti hanno dovuto dormire per strada perché i rifugi si rifiutavano di accoglierli [Per gentile concessione di Dara Foi’Elle, Migrant Workers’ Action]
“Non siamo rilassati qui, ma sopportiamo”, dice , accennando un sorriso e mostrando l’apparecchio ai denti. “Non siamo abituate a stare per strada”.

Gli stranieri in Libano sono sistematicamente più vulnerabili dei cittadini libanesi, ma Lakmani ha proiettato forza e capacità di azione. “Non tutti gli stranieri sono ignoranti”, dice . “Abbiamo vissuto una vita felice”.

Sebbene non sia una cittadina libanese, ha trascorso la sua vita nel paese. Andarsene, per lei, non è un’opzione.

“Non possiamo tornare in Sri Lanka, non abbiamo niente lì”, ha detto. “Vogliamo aspettare e vedere. Se non troviamo una soluzione qui, torneremo al nostro villaggio”.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org