Il 7 ottobre: difendere il diritto contro la forza

Di Angelo d’Orsi il 7 ottobre 2024
copertina:    Il 7 ottobre tra verità e propaganda – Fazi Editore

 

Nell’anno 416 a.C. una enorme flotta ateniese  (38 navi, con oltre tremila soldati), si presentò davanti al porto di Melo (oggi Milo, o Mylos), isolotto delle Cicladi, fino ad allora neutrale nello scontro fra Sparta e Atene. Dalla nave ammiraglia scesero ambasciatori che senza tanti giri di frasi misero i capi dell’isola davanti a una secca alternativa: porre fine alla neutralità, schierandosi con Atene, ossia sottomettendosi, oppure accettare di essere distrutti. I capi del Melii si appellarono al diritto (oggi aggiungeremmo “internazionale”) , tentando di respingere quell’aut aut. In risposta, gli Ateniesi li invitarono beffardamente a prendere atto dei rapporti di forza. Era inutile che i Melii si appellassero alla giustizia, o all’aiuto degli Dei dell’Olimpo (i quali, a detta degli ateniesi, usavano anch’essi il metro di giudizio della forza) , o anche al sostegno di Sparta  (che non si sarebbe impicciata, come in effetti fu).

I Melii, dopo aver invano scongiurato gli Ateniesi di rinunciare a punire la popolazione (inerme e innocente), decisero di resistere, salvando l’onore dell’isola, ma non la vita dei suoi abitanti, i quali  infatti vennero massacrati o ridotti in schiavitù, e l’isola saccheggiata e devastata, anche se per gli Ateniesi, pur di tanto superiori sul piano militare, l’impresa non fu affatto agevole, come avevano immaginato.

Proviamo ad attualizzare il racconto di Tucidide. Nelle cosiddette “nuove guerre” il tratto caratterizzante è la sproporzione delle forze: sono le “guerre ineguali” o asimmetriche. Ebbene, il genocidio in corso a Gaza, ma anche quello più sotto traccia nei Territori Occupati (la Cisgiordania), e i connessi omicidi di massa in Libano, con estensioni alla Siria, e via seguitando, sappiamo essere qualcosa che per la disparità dei mezzi militari, economici e propagandistici chiamiamo guerra asimmetrica, guerra “posteroica”. Che eroismo ci può essere quando dall’alto dei cieli o di lontano vengono scagliati migliaia di ordigni su una popolazione inerme e innocente? Che razza di guerra può mai essere quella in cui missili e bombe distruggono sistematicamente palmo a palmo un territorio, a tal punto che anche se i bombardamenti cessassero oggi, occorrerebbero anni e anni e anni, e miliardi di dollari per una ricostruzione, che di fatto è impossibile. L’Atene di oggi (non per la cultura, ma solo per la forza), Tel Aviv, non può accettare ribellioni al suo strapotere, anche se si sta accorgendo che sconfiggere Hamas (non parliamo di Hezbollah, molto più forte), da una parte implica uno sforzo che non era stato messo in conto, dall’altra produce un massacro indiscriminato di persone, a cominciare dalle più fragili: bambini, anziani, donne. Israele fa strame del diritto internazionale, proprio come gli Ateniesi con i Melii. La logica a cui si ispirano Nethanyau e i suoi complici rovescia qualsiasi civiltà giuridica, fondata sul principio che la forza nasce dal diritto, e mette davanti agli occhi del mondo il tremendo assioma che è il diritto ad essere subordinato alla forza. Quando qualcuno si comporta così, quando si mostrano i muscoli, e li si usa, per sostenere di aver ragione, quando si ricorre all’uso della forza a prescindere dalla legge, ossia non c’è più la legalità (nella quale è contemplato l’uso della violenza, ma appunto secondo la legge), ma soltanto la cieca violenza, si agisce secondo il principio che possiamo chiamare del “prepotente”. Che è colui che (copio dal Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia) “in contrasto e con danno della volontà, dell’interesse e dei diritti altrui, fa prevalere i propri ricorrendo alla forza, alla prevaricazione, all’offesa”.

Ecco, Israele da anni aspetta di impadronirsi delle misere frattaglie territoriali rimaste ai palestinesi, e con il pretesto del 7 ottobre (la cui spiegazione è sempre più distante da quella ufficiale, basti leggere il libro di Roberto Iannuzzi, Il 7 ottobre tra verità e propaganda, Fazi Editore), sta usando la cieca forza in una misura che mai si era vista nel mondo dopo il 1945. Nessuna legge viene rispettata, né quelle umane, né quelle divine, potremmo dire, calandoci nell’antica Grecia: e Sparta, come oggi la cosiddetta “comunità internazionale”, non si impiccia, mentre gli dei (i potenti di oggi), condividono l’efferato principio della legge del più forte.

Forse è giunto il momento che i teorici del diritto internazionale, i paladini della legalità, i liberali e i democratici che respingono l’idea di un mondo fondato sulla prepotenza del forte ai danni del debole, coloro che continuano a ritenere che persino in guerra vadano rispettate delle norme e delle regole (come ci ha insegnato fin dal 1625 Ugo Grozio), ebbene tutti costoro dovrebbero alzarsi in piedi e gridare il loro sdegno e obbligare i rispettivi governi ad agire per isolare quello di Tel Aviv, espellendolo da ogni consesso, interrompendo ogni aiuto militare ed economico, additandolo, nei secoli dei secoli, all’ignominia della storia. E se lo facessero oggi 7 ottobre, sarebbe anche più efficace, anche per contrastare una narrazione obbligata, che viene usata come grimaldello per scardinare il diritto (quello internazionale, e quello umanitario che ne è stato generato), violare la legge, e criminalizzare un intero popolo, e di conseguenza, coloro che si battono per la sua liberazione.