Come il genocidio ha modificato i rapporti dei palestinesi del ’48 verso gli israeliani

I palestinesi del ’48, o cittadini palestinesi di Israele, affrontano crisi quotidiane nelle loro interazioni dirette con gli israeliani, in particolare nelle scuole, nelle strade, nei supermercati e sul posto di lavoro. Queste crisi hanno assunto una natura più violenta e diretta da quando è iniziata la guerra genocida nella Striscia di Gaza.

Fonte: English version

Malak Arouq – 9 ottobre 2024

Immagine di copertina: Tempio di s. Giovanni Battista sul fiume Giordano. (iStock/rvbox)

“Temo che la persona con cui ho a che fare al lavoro o a scuola possa essere quella che ha ucciso la piccola Hind, o Kamal, o Yousef con i capelli ricci, o quella che ha trasformato i corpi della gente di Gaza in resti straziati. Temo di avere a che fare con qualcuno che non ha esitato un attimo a premere il grilletto, bombardare ospedali o distruggere scuole. Temo di avere a che fare con qualcuno che ha partecipato allo stupro dei prigionieri”, racconta Maysam, dalla Galilea, a Raseef22.

I palestinesi del ’48, o cittadini palestinesi di Israele, affrontano crisi quotidiane nelle loro interazioni dirette con gli israeliani, in particolare nelle scuole, nelle strade, nei supermercati e sul posto di lavoro. Queste crisi hanno assunto una natura più violenta e diretta da quando è iniziata la guerra genocida nella Striscia di Gaza.

Un aumento significativo dei sentimenti di odio e paura tra cittadini palestinesi di Israele e israeliani è stato rivelato da uno studio condotto a marzo e aprile 2024 dal Partnership Index, pubblicato dal centro accademico aChord.

Civili israeliani armati  per le strade della Palestina occupata

I risultati dello studio indicano che “il 51% degli studenti israeliani nelle istituzioni accademiche israeliane ha espresso un intenso odio verso i palestinesi”, rispetto al 34% del 2021, quando  scoppiarono scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane in risposta all’aggressione israeliana a Gaza e allo sfollamento forzato dei palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme.

Anche l’odio che i palestinesi provano verso gli israeliani è aumentato, secondo la ricerca, anche se non così nettamente come l’odio che gli israeliani provano verso i palestinesi. Un terzo dei palestinesi ha espresso odio verso gli israeliani, rispetto al 29% del 2021 e al 17% del 2020.

I risultati hanno anche evidenziato che la paura è un sentimento predominante tra i cittadini palestinesi di Israele e gli israeliani. Il 33% dei partecipanti palestinesi ha dichiarato di avere paura degli israeliani, tre volte la cifra del 2021. Nel frattempo, il 59% degli studenti israeliani ha espresso paura degli arabi, rispetto al 41% del 2021.

Come affrontano i palestinesi gli israeliani nella loro vita quotidiana? “Sebbene non accetti l’esistenza di un altro popolo su questa terra, interagire con gli israeliani è una realtà inevitabile. Il mio lavoro in un supermercato mi obbliga a trattarli educatamente, ma tutto ciò che provo nei loro confronti dentro di me è disgusto, rabbia, paura e ansia per il futuro”, afferma Maysam, 20 anni.

Aggiunge: “Questi sentimenti non sono emersi solo a causa della guerra attuale. Le politiche di sfollamento, demolizioni di case e posti di blocco erano già sufficienti a farmi arrabbiare per la loro presenza nella nostra terra. Ma questo sentimento si è intensificato dopo la guerra genocida a Gaza. Nella mia vita quotidiana, sono costretta a interagire con persone che sostengono l’uccisione e lo sfollamento del mio popolo a Gaza e che sosterrebbero anche il mio stesso sfollamento”.

“Mentre andavo al lavoro nelle strade di Tel Aviv, un uomo in abiti civili armato mi ha fermata dopo avermi sentito inviare un messaggio vocale in arabo a un amico. Mi ha chiesto i documenti e mi ha tempestato di domande. È stato estremamente inquietante. Se avessi discusso con lui, mi avrebbe sparato, come se fosse la cosa più naturale del mondo?” si chiede Yousef (pseudonimo). Yousef, 27 anni, lavora a Tel Aviv presso un’azienda israeliana nel campo dell’economia e della pubblica amministrazione. Dice che in azienda è conosciuto come “l’arabo”, in quanto è l’unico dipendente arabo.

Riguardo alla sua esperienza lavorativa durante la guerra a Gaza, dice: “Indosso le cuffie mentre lavoro per evitare di entrare in discussioni politiche con gli israeliani. Una volta, stavo canticchiando la canzone ‘Leve Palestina’ e qualcuno mi ha chiesto quale fosse la canzone. Mi sono subito ripreso e ho detto che era un inno sportivo”.

“È dura quando vedo gli israeliani celebrare i massacri a Gaza o quando sento qualcuno dire, ‘Il nostro lavoro non è ancora finito’, riferendosi alla guerra a Gaza. La parte più dura è che alcuni di loro erano soldati di riserva che hanno combattuto a Gaza. Hanno inviato messaggi allo staff annunciando che avrebbero fatto un ‘Happy Hour’ per festeggiare il loro ritorno. Ho detto loro che ero malato e sono rimasto a casa per tre giorni in modo che mi credessero.”

Una grande percentuale di lavoratori palestinesi è impiegata in istituzioni e aziende israeliane. Secondo il centro accademico AChord, prima della guerra, il 14% degli accademici palestinesi all’interno di Israele che lavoravano in istituzioni a maggioranza ebraica volevano trasferirsi in istituzioni a maggioranza araba. Dopo l’inizio della guerra a Gaza, questa cifra è salita al 27%.

Università militarizzate e studenti armati

Il ministro della sicurezza nazionale israeliano, Ben Gvir, ha messo in guardia da una potenziale protesta o rivolta palestinese simile alla rivolta di Karameh (Dignità) del 2021. Il secondo giorno dell’assalto a Gaza, ha lanciato una campagna per accelerare la concessione di licenze per armi ai cittadini israeliani. Entro maggio 2024, il ministro si è vantato di aver rilasciato oltre 100.000 licenze dal 7 ottobre 2023.

Amal (pseudonimo), del villaggio di Tarshiha nell’Alta Galilea, cerca il più possibile di sostenere le aziende arabe palestinesi per evitare contatti con gli israeliani. “Ma all’università, non ho altra scelta che stare con loro. Prima del genocidio a Gaza, esprimevo le mie opinioni in modo limitato. Oggi, non sento che ci sia uno spazio sicuro per farlo”, racconta la quarantenne a Raseef22. Amal evita discussioni politiche con gli israeliani, perché ora sa che sono inutili. “Non vogliono vedere la verità e continuano a vivere nella negazione, come se fossero le uniche vittime. Anche coloro che affermano di essere contrari all’uccisione di civili a Gaza non possono confrontarsi con il loro esercito”

Riguardo al modo in cui affronta i suoi sentimenti e il conflitto che vive, dice: “Il mio senso di colpa aumenta con ogni massacro. In mezzo alle contraddizioni che affronto con gli israeliani, mi ricordo che mi sto avvicinando alla fine del mio percorso accademico, che ho quasi finito, e cerco di circondarmi di persone come me”.

Sirine (pseudonimo), una 28enne dell’Alta Galilea, condivide un’esperienza simile ma forse più impegnativa a causa del suo hijab. “Al momento sto studiando nel dipartimento di pubbliche relazioni presso un’università israeliana. Analizziamo i contenuti dei media durante i nostri studi. Gli israeliani li interpretano in base alla loro prospettiva. Voglio condividere anche la mia opinione, ma esito”, racconta a Raseef22.

Aggiunge: “Gli israeliani sono orgogliosi della guerra. Riesco a percepire il loro razzismo negli sguardi che mi lanciano, sottintendendo che sono una persona spaventosa per loro. Oggi, quello sguardo è diventato ancora più pronunciato”.

“La mia compagna di classe è entrata in classe con un’arma attaccata alla vita. Si ha la sensazione che queste persone abbiano ricevuto una benedizione per portare armi. La presenza di non soldati armati è preoccupante e spaventosa. In qualsiasi momento, qualcuno potrebbe provare rabbia per qualcosa e scatenarla contro di me”, afferma Sirine.

Cerca il più possibile di usare la sua auto invece di camminare per le strade e di utilizzare le filiali arabe delle istituzioni pubbliche nelle città palestinesi piuttosto che quelle nelle città israeliane.

Anche Qusay, 22 anni, del villaggio di Fureidis nel distretto di Haifa, sta studiando presso un istituto accademico israeliano. Sente che la sua realtà gli richiede di interagire con gli israeliani al lavoro, durante i suoi studi o nella vita quotidiana.

“Ho iniziato i miei studi accademici tre mesi dopo l’inizio della guerra. Tutti quelli che mi circondavano mi hanno consigliato di non parlare della guerra per evitare danni o ripercussioni politiche”, racconta a Raseef22, aggiungendo: “La nostra realtà qui ci impone il silenzio e ci impedisce di muoverci liberamente o di fare qualsiasi cosa per paura del nostro futuro o del nostro lavoro, che potrebbe essere distrutto da un singolo post su Facebook del Ministro della sicurezza nazionale, Ben Gvir”.

Qusay dice che non ci sono civili israeliani. Spiega: “Ogni israeliano ha svolto il servizio militare ed è andato ai posti di blocco per molestare la nostra gente in Cisgiordania, è andato a Gaza per uccidere la sua gente o è andato a Gerusalemme per profanarne la sacralità”.

Nel frattempo, Amir, un ventiduenne del villaggio di Mashhad vicino a Nazareth (Al-Nasirah), racconta che il docente che sta di fronte agli studenti nel suo college porta un’arma alla cintola, e così fanno gli studenti. “Ho anche dovuto affrontare il razzismo degli israeliani durante il mio lavoro. Negli ultimi quattro anni, le cose andavano male, ma ora la situazione è diventata completamente insopportabile”, racconta a Raseef22.

L’illusione di coesistenza tra palestinesi e israeliani

Le manifestazioni di “coesistenza lontana dalla politica” tra i cittadini palestinesi di Israele e la società israeliana, un’idea di cui molti avevano dubitato anche prima della guerra a Gaza e che consideravano una falsa coesistenza, sono state danneggiate o forse rivelate in modo ancora più netto.

Il 1° settembre 2024, prima dell’inizio di una partita di calcio tra la squadra palestinese, Ittihad Abnaa Sakhnin (Bnei Sakhnin), e la squadra israeliana, Hapoel Be’er Sheva, oltre 120 tifosi israeliani mascherati hanno preso d’assalto il campo armati di manganelli e bastoni e hanno brutalmente attaccato i tifosi palestinesi. “Il docente e gli studenti del college hanno elogiato la squadra di Be’er Sheva, affermando che i tifosi palestinesi del Sakhnin meritavano ancor di più”, conferma Amir.

Questo non è l’unico incidente razzista che Amir ha dovuto affrontare; di recente ha sentito qualcuno dire: “Ogni bambino arabo che crescerà domani diventerà un terrorista, quindi dovrebbe essere ucciso ora”.

Amir racconta anche un incidente che ha coinvolto un giovane israeliano che gli ha detto di aver comprato una nuova arma e si è giustificato dicendo: “Ho dei vicini arabi. Un giorno potrebbero decidere di tenere una manifestazione nel quartiere o gridare ‘Allahu Akbar’ o ‘Sacrifichiamo la nostra anima e il nostro sangue per te, Al-Aqsa’. Semplicemente gli sparerò. Diventeranno martiri e andranno in paradiso; sto aiutando gli arabi ad andare in paradiso”. Amir aggiunge: “Avevo un collega liberale e democratico al lavoro che era molto gentile con me. Parlava spesso dell’importanza della partnership tra arabi ed ebrei. Ma quando è iniziata la guerra, ha smesso di parlarmi. Per buona volontà, ho sorriso e ho detto: ‘Se Dio vuole, ci sarà un accordo di scambio di prigionieri e il conflitto finirà’. Lui ha risposto con rabbia: ‘Nessun accordo con i terroristi; li uccideremo tutti insieme ai prigionieri”.

Nonostante la precedente convinzione di Amir nella lotta congiunta tra entrambe le parti, ora vede questa coesistenza come una vera illusione e la relazione tra israeliani e palestinesi all’interno di Israele si è destabilizzata e deteriorata, con nessuna delle due parti che vede più l’altra come un partner.

Il ricercatore sociale ed educativo Khaled Abu Asba racconta a Raseef22: “Dal 7 ottobre 2023, c’è stata una sorta di distanziamento tra palestinesi e israeliani all’interno. Ci sono alcune partnership tra le due parti, ma non allo stesso livello di prima”. Continua: “Di recente, abbiamo notato che la parte israeliana non è interessata a una partnership. Stiamo anche parlando di una realtà sotto un governo di estrema destra. La situazione della sicurezza sta peggiorando politicamente e militarmente e non c’è alcuna partnership in vista”.

Secondo Abu Asba, ci sono dimensioni psicologiche, sociali ed economiche riflesse nel mondo accademico e nel mercato del lavoro a causa di crescenti sentimenti di paura e odio tra palestinesi con cittadinanza israeliana e israeliani. “Un nuovo sistema è stato imposto ai palestinesi in Israele, come vediamo nella recente promulgazione di leggi razziste, per esempio i tentativi di approvare una legislazione che richiede l’approvazione dello ‘Shabak’ (l’agenzia di sicurezza interna israeliana) per nominare insegnanti palestinesi”, afferma Abu Asba.

Crede che anche se i cittadini palestinesi di Israele adempiono a tutti i loro doveri civici, rimangono, agli occhi degli israeliani, una parte del popolo palestinese.

Conclude: “Non abbiamo il potere o la capacità di influenzare politicamente o economicamente. Viviamo ai margini dei margini. La situazione economica sarà molto peggiore e assisteremo a un esodo di giovani palestinesi in cerca di un futuro diverso”.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”Invictapalestina.org