I giornalisti libanesi sfidano le minacce israeliane per rivelare la verità

Nonostante le continue minacce di morte e gli attacchi aerei mirati, i giornalisti libanesi Ali Mortada e Amal Khalil continuano a inviare servizi dalle linee del fronte, determinati a condividere la realtà del campo di battaglia, a denunciare i Crimini di Tel Aviv e a sfidare le narrazioni stabilite dall’Occupazione israeliana.

Fonte: English version

Di William Van Wagenen – 31 ottobre 2024

Mentre faceva servizi dal Libano meridionale nell’ultimo anno, Mortada ha ricevuto molte minacce, anche direttamente dal Portavoce in lingua araba dell’esercito israeliano, Avichay Adraee.

“Adraee ha pubblicato un post sul suo profilo X-Twitter dicendo che non sono un giornalista, che sono una spia che lavora per Hezbollah al confine”, afferma Mortada, corrispondente dal fronte di Al Mayadeen nel Libano meridionale, dove i combattenti di Hezbollah stanno resistendo ferocemente all’attuale campagna di invasione di terra e bombardamenti di massa di Israele.

Gli israeliani hanno iniziato a fare sondaggi in Rete, chiedendo alle persone se avrebbero dovuto uccidermi oggi o domani. È stato difficile perché sappiamo che non stanno scherzando. C’è una grande probabilità che faranno qualcosa.

Ciao nemici miei

Il carismatico corrispondente di Al Mayadeen è diventato più noto al pubblico occidentale di recente grazie al suo saluto distintivo e ai video informali e satirici sui social media che si rivolgono direttamente agli israeliani, incluso il Portavoce dell’esercito Adraee.

“Ciao, nemici miei, che possiate avere una giornata molto, molto brutta”, dice all’inizio di ogni video, a volte filmato mentre accende un sigaro o cammina sulle spiagge della città di Tiro (Sur) nel Libano meridionale devastata dalla guerra.

Solo un giorno dopo l’intervista, l’Esercito di Occupazione ha assassinato tre giornalisti, tra cui due colleghi di Mortada ad Al Mayadeen, con un attacco aereo mentre dormivano in un alloggio per i media nel Sud-Est del Libano.

“L’attacco aereo delle 3 del mattino ha trasformato il sito, una serie di villette incastonate tra gli alberi che erano state affittate da vari organi di informazione che coprivano la guerra, in macerie. Le auto con la scritta “PRESS” sono state rovesciate e coperte di polvere e detriti, e almeno una parabola satellitare per la trasmissione in diretta è stata completamente distrutta”, ha riferito l’Associated Press.

Gli attacchi hanno ucciso l’operatore di ripresa Ghassan Najjar e il tecnico di trasmissione Mohammed Rida di Al Mayadeen TV, e l’operatore di ripresa Wissam Qassim, che lavorava per Al Manar TV affiliata a Hezbollah.

Mohammad Farhat, un inviato di Al Jadeed TV, afferma che tutti si sono svegliati nel panico e sono corsi fuori in pigiama. “La prima domanda che ci siamo posti è stata: ‘Siete vivi?'”

“I giornalisti pensavano di essere al sicuro perché questa zona del Libano meridionale non rientrava nella zona di evacuazione di Israele”, ha scritto la giornalista della PBS Leila Molana-Allen sul sito di social media X-Twitter.

Anche Molana-Allen, che attualmente sta anche lei scrivendo dal Libano, ha detto che i giornalisti avevano fornito dettagli sui loro spostamenti alle Forze di Pace delle Nazioni Unite per comunicarli all’esercito israeliano.

“Sembra che l’esercito israeliano abbia usato quelle informazioni per bombardarli mentre erano tutti all’interno che dormivano”, ha riferito Molana-Allen.

Il Ministro dell’Informazione del Libano, Ziad Makary, ha definito l’attacco israeliano “un assassinio, dopo monitoraggio e tracciamento, con premeditazione e pianificazione, poiché erano presenti 18 giornalisti in rappresentanza di sette agenzie di media”.

Bombardamento della sede di Al Mayadeen

Solo un giorno prima della conversazione con Mortada, l’Aviazione Militare israeliana ha bombardato la sede di Al Mayadeen nell’area di Bir Hassan a Beirut.

“Fortunatamente non c’erano dipendenti presenti. Sapevamo che era molto probabile che avrebbero colpito i nostri uffici, quindi avevamo una strategia di sicurezza e grazie a Dio non abbiamo avuto vittime in quell’attacco”, dice Mortada.

Quasi un mese prima che le villette dove alloggiavano dei giornalisti fossero bombardate, Israele ha ucciso un altro giornalista di Al Mayadeen, Hadi al-Sayyed. Morì per le ferite il 24 settembre, un giorno dopo un attacco aereo israeliano sulla sua casa a Srifa nel Distretto di Tiro.

La casa di Sayyed fu colpita come parte di una massiccia campagna di bombardamenti terroristici lanciata da Israele il 23 settembre.

Gli aerei da guerra israeliani sganciarono bombe, uccidendo 492 persone, tra cui 35 bambini e 58 donne, e ferendone altre 1.645 in un solo giorno.

Secondo l’Associated Press, fu un “sbalorditivo bilancio giornaliero per un Paese ancora sotto shock” per gli attacchi terroristici con cercapersone e ricetrasmittenti di Israele contro i membri di Hezbollah, principalmente alla sua ala civile, la settimana prima.

Giornalisti sotto il fuoco israeliano

I giornalisti libanesi lavoravano già da quasi un anno all’ombra delle uccisioni da parte di Israele del videogiornalista della Reuters Issam Abdullah il 13 ottobre 2023 e della giornalista di Al Mayadeen Farah Omar, del suo cameraman Rabih al-Maamari e del loro assistente Hussein Akil il 21 novembre 2023.

Tutti e quattro sono stati uccisi mentre facevano servizi nella zona di confine tra Libano e Israele dopo l’inizio della guerra tra Hezbollah e Israele l’8 ottobre, il giorno successivo al lancio dell’Operazione di Resistenza palestinese Onda di Al-Aqsa e alla successiva guerra di Israele a Gaza.

Un’indagine della Reuters ha concluso che Abdullah è stato ucciso e altri sei sono rimasti feriti quando le truppe israeliane hanno sparato due colpi di carro armato direttamente contro un gruppo di giornalisti della Reuters, dell’AFP e di Al Jazeera che stavano filmando in un punto aperto a un chilometro dal confine.

Omar, Maamari e Akil di Al Mayadeen sono stati uccisi da un attacco aereo israeliano mentre facevano un servizio da Tayr Harfa, un’area a circa 1,6 chilometri dal confine israeliano.

“È stato un attacco diretto, non è stato un caso”, ha detto il direttore dell’emittente Ghassan bin Jiddo, sottolineando che il governo israeliano aveva bloccato la trasmissione del canale in Israele una settimana prima.

Un aereo da guerra israeliano ha lanciato due missili sulla posizione dei giornalisti subito dopo che avevano terminato una trasmissione in diretta che forniva aggiornamenti sull’ultimo bombardamento israeliano nel Libano meridionale.

“Ho pianto con immensa tristezza per il tradimento del nemico perché Farah, Rabih e Hussein si trovavano in un’area aperta da cui avevo fatto un servizio nel mese e mezzo precedente”, informa la giornalista libanese Amal Khalil.

“La loro auto era chiaramente contrassegnata, il che indicava che erano della stampa e non c’erano combattenti o militari con loro”, spiega Khalil, che ha lavorato per il quotidiano libanese Al-Akhbar come corrispondente sul campo nel Libano meridionale negli ultimi 18 anni.

Uccidere per controllare la narrazione

Una settimana prima che i suoi tre colleghi venissero uccisi, Khalil stessa è sopravvissuta a un attacco israeliano. Si trovava in un complesso per giornalisti nel villaggio di Yaroun quando è stato preso di mira da due missili di un drone israeliano. Uno dei suoi colleghi è rimasto ferito quando è stato inondato di polvere e pezzi di roccia dall’esplosione, come rivela Khalil:

“Sia che fossimo stati presi di mira o che abbiamo visto i nostri colleghi Farah o Issam uccisi, non abbiamo interrotto il nostro lavoro né ci siamo presi pause. Consideriamo un omaggio a Farah, Issam e Rabih e un dispetto verso Israele il fatto di continuare il nostro lavoro. L’obiettivo di Israele è uccidere i giornalisti e costringerli ad andarsene dal Sud. Vogliono svuotarlo dei giornalisti in modo che non ci siano prove, così da poter controllare e manipolare la narrazione, proprio come hanno fatto dopo l’Operazione Onda di Al-Aqsa a Gaza”.

“Certo, Israele uccide i giornalisti in Libano perché vuole nascondere i suoi Crimini contro donne, bambini e civili, la distruzione delle loro case e l’incendio dei campi dei contadini. Non vogliono che i loro Crimini siano confermati da parole e immagini. Vogliono che il mondo creda che stanno prendendo di mira siti militari, piuttosto che civili”, aggiunge Khalil.

Come Mortada, Khalil ha ricevuto minacce dirette e personali da Israele per intimidirla e farle smettere di inviare servizi.

Il 25 agosto di quest’anno, ha ricevuto un messaggio inviato al suo telefono da un numero israeliano che diceva:

“Sappiamo dove ti trovi, dove vivi tu e la tua famiglia. Se vuoi che la tua testa resti attaccata al tuo corpo, devi lasciare il Libano”.

Khalil afferma che:

“Israele mi ha minacciato perché il mio lavoro è una sfida per loro ed è la prova dei Crimini che hanno commesso sin dal primo giorno dell’attacco iniziato l’8 ottobre a Sud. Per tutto l’anno passato, sono stata presente sul campo. Ho continuato a pubblicare storie di Resilienza e sfide al nemico israeliano dai villaggi di confine e dalle linee del fronte. Ho pubblicato foto scattate con la mia macchina fotografica di come gli israeliani stavano distruggendo e bruciando case e uccidendo bambini e donne”.

La formazione di un giornalista di guerra

Khalil dimostra un coraggio notevole nel raccontare dalla zona di guerra nonostante non abbia mai voluto essere una giornalista di guerra.

Quando scoppiò la guerra del giugno 2006 tra Hezbollah e Israele, lei viveva una vita agiata nella cosmopolita Beirut, scrivendo per Al-Akhbar di donne e problemi sociali.

“Il primo giorno di guerra, decisi in quel momento di tornare al mio villaggio nel Libano meridionale. Poco dopo, Israele iniziò a bombardare tutti i ponti e le autostrade per tagliare i collegamenti nella Regione. Ma avevo deciso di rimanere nel Sud a prescindere, sia per stare con la mia famiglia sia per fare lavoro umanitario e per i diritti umani con gli sfollati. Feci queste cose oltre al mio lavoro di giornalista”.

Quando fu annunciato il cessate il fuoco 33 giorni dopo, il direttore di Al-Akhbar la nominò corrispondente sul campo del giornale nel Libano meridionale.

“Quindi fu la guerra del giugno 2006 a determinare il mio destino, ovvero diventare una giornalista di guerra. Non ho preso la decisione di diventare corrispondente sul campo nel Libano meridionale. Ho solo preso la decisione di diventare giornalista e scrittrice a Beirut”, racconta Khalil.

Da allora ha mantenuto quel ruolo, il che le ha permesso di acquisire una conoscenza approfondita della geografia, della storia e della gente della zona. Le sue relazioni nel Libano meridionale l’aiutano a superare il pericolo, documentare le conseguenze dei bombardamenti israeliani e trovare indizi per le storie più interessanti.

Impegno incrollabile nel giornalismo

Anche Ali Mortada di Al-Mayadeen ha anni di esperienza nel giornalismo dalle zone di guerra.

Quando gli si chiede cosa lo spinge a continuare a fare giornalismo anche dopo che così tanti colleghi sono stati uccisi, Mortada dice: “Prima di tutto, è il mio lavoro; l’ho fatto in Siria, l’ho fatto in Iraq, l’ho fatto a Beqaa quando i combattimenti erano contro i terroristi: ISIS, il Fronte al-Nusra. E l’ho fatto ora in questa missione contro Israele”.

Sebbene Israele abbia invaso il Libano direttamente molte volte prima d’ora, tra cui nel 1978, 1982 e 2006, ha attaccato il Libano e Hezbollah anche indirettamente usando dei delegati, tra cui gruppi militanti legati ad Al-Qaeda.

Come parte della guerra segreta guidata dagli Stati Uniti contro la Siria iniziata nel 2011, Israele ha sostenuto i cosiddetti “ribelli” che cercavano di rovesciare il governo siriano, tra cui l’Esercito Libero Siriano (FSA) e le ramificazioni di Al-Qaeda, il Fronte al-Nusra e l’ISIS.

Al-Nusra e l’ISIS hanno cercato di infiltrarsi e invadere il Libano attraverso aree nella valle orientale della Bekaa, ma sono stati sconfitti da Hezbollah e dall’esercito libanese.

Mortada aggiunge che il secondo motivo per cui continua a fare servizi dal Libano meridionale ora è perché:

“È il mio Paese, è la mia gente, quelle sono le case dei miei parenti. Ho vissuto qui per tutta la vita. Sono libanese, quindi ho il dovere di raccontare finche avrò voce. Soprattutto perché abbiamo un grosso problema su come raccontare la storia al mondo. Abbiamo così pochi giornalisti e canali che raccontano la realtà così com’è e non diffondono la propaganda israeliana. Quindi, è un dovere nazionale. Fa parte del lavoro”.

Perdere la guerra di propaganda e sul campo di battaglia

Secondo la valutazione di Mortada della guerra in corso tra Hezbollah e Israele nel Sud, dice che Tel Aviv non è stata in grado di raggiungere nessuno dei due obiettivi che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato:

“Netanyahu si è posto come obiettivo quello di prendere le città a Sud del fiume Litani e vuole riportare i coloni nel Nord di Israele. Ma il fatto è che sta combattendo da 30 giorni ed è bloccato nella prima linea di difesa che Hezbollah ha creato nel Sud”.

Mortada afferma che l’esercito israeliano non ha buone opzioni e viene trascinato nelle “sabbie mobili del Libano” mentre aumentano le perdite israeliane di soldati morti e feriti e carri armati distrutti.

Israele non è riuscito a far tornare i coloni, mentre gli attacchi con razzi, missili e droni di Hezbollah contro le basi militari e le infrastrutture israeliane hanno costretto ancora più persone a evacuare, anche da Sud come Haifa.

“Inoltre, il Libano ha colpito la camera da letto di Netanyahu”, afferma Mortada, riferendosi al coraggioso attacco con drone di Hezbollah che ha colpito con successo la residenza del Primo Ministro a Cesarea.

“Nemmeno Netanyahu riesce a dormire nella sua camera da letto dopo l’operazione militare in Libano”.

“Quindi questo ci dà l’idea che ad Hezbollah sia stato inferto un duro colpo, quando il suo leader Hassan Nasrallah e altri comandanti di alto rango sono stati assassinati, ma è ancora in piedi e sta reagendo e la sua situazione è molto, molto buona sul campo di battaglia”, conclude.

Anche per quanto riguarda la guerra in corso, Khalil era ottimista, nonostante le molte dolorose perdite che il Libano sta ora sopportando.

Ricorda ciò a cui ha assistito in prima persona nel 2006, quando “i combattenti di Hezbollah hanno vinto contro le Forze di Invasione e Occupazione. Sono figli della terra che conoscono il loro territorio e sanno come combattere ed eseguire operazioni”.

“Hezbollah è la Resistenza nel Libano meridionale. È riuscita ancora una volta a sconfiggere Israele sul campo. Israele è superiore a noi nell’aria; ci bombardano sempre con artiglieria e attacchi aerei. Ma negli scontri diretti i soldati del nemico israeliano sono più deboli quando si confrontano con gli uomini della Resistenza e la gente della Regione”.

William Van Wagenen è uno scrittore del Libertarian Institute (Istituto Liberista). Ha scritto ampiamente sulla guerra in Siria, con un’attenzione specifica al ruolo dei pianificatori statunitensi nell’innescare e nell’intensificare il conflitto. Ha conseguito un dottorato in Studi teologici presso l’Università di Harvard ed è sopravvissuto a un rapimento nella regione di Sinjar in Iraq nel 2007.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org