Questa conferenza ha gettato le basi per una sofisticata campagna di propaganda, Hasbara, che ha cercato di ripulire le azioni di Israele e di presentare le sue operazioni militari in una luce favorevole.
Fonte: English version
Di Kit Klarenberg – 31 ottobre 2024
Immagine di copertina: Sol Goldstein, portavoce di un gruppo di organizzazioni ebraiche, mostra un giornale in lingua tedesca con titoli che mettono in dubbio la veridicità dell’Olocausto, durante una conferenza stampa a Chicago, il 14 giugno 1978. Foto | AP
Mentre si svolge l’invasione del Libano da parte di Israele il 1° ottobre, la complicità dei media nel plasmare la percezione pubblica solleva domande urgenti, in particolare se viste attraverso la lente di una controversa conferenza del 1984 in cui influenti personaggi della pubblicità e dei media si sono riuniti per perfezionare le strategie narrative di Israele. Questa conferenza ha gettato le basi per una sofisticata campagna di propaganda, Hasbara, che ha cercato di ripulire le azioni di Israele e di presentare le sue operazioni militari in una luce favorevole. Oggi, mentre i giornalisti occidentali mistificano, distorcono e nascondono le realtà della mortale campagna di violenza di Israele, l’eredità duratura di questo incontro diventa allarmantemente chiara, rivelando come le narrazioni elaborate decenni fa continuino a plasmare la copertura di un conflitto che miete innumerevoli vittime.
Nella prima settimana di ottobre, le forze israeliane hanno sparato 355 proiettili contro un’auto con a bordo una bambina di cinque anni, poi hanno sparato ai soccorritori accorsi per salvarle la vita. Un crimine orribile, eppure, secondo molti titoli dei media occidentali, era semplicemente una “bambina uccisa a Gaza”. Le circostanze e gli autori della sua uccisione, se mai menzionati, erano invariabilmente sepolti in fondo ai resoconti, ben nascosti all’80% del pubblico che consuma notizie e che legge solo i titoli, non gli articoli di accompagnamento.
Al contrario, il 15 ottobre, Sky News era molto interessata a far conoscere ai suoi telespettatori i nomi e i volti di quattro soldati “adolescenti” dell’IDF “uccisi” in un “attacco con drone di Hezbollah”, umanizzando e infantilizzando individui che, per il semplice fatto di prestare servizio nell’esercito israeliano, sono per definizione colpevoli di Genocidio. Di sfuggita, lo stesso resoconto ha osservato marginalmente: “’23 morti’ nel bombardamento alla scuola di Gaza”. Le loro identità, età e foto, per non parlare della chiarezza su chi o cosa li ha assassinati, non sono state fornite.
Inoltre, le virgolette che aleggiano incongruamente attorno al numero di palestinesi uccisi hanno sottilmente minato la credibilità di tale affermazione, mettendo le vittime bambine in secondo piano rispetto al quartetto notevolmente più importante di soldati Genocidi dell’IDF deceduti. Alan MacLeod, redattore capo di MintPress News, lo ha detto in modo sintetico quando ha twittato su X: “Negli anni a venire, gli studenti dei dipartimenti universitari di tutto il mondo studieranno la propaganda incorporata in questo titolo. È davvero incredibile quanta propaganda sia stata concentrata in 16 parole”.
L’uso sistematico da parte dei media tradizionali di un linguaggio distanziante ed evasivo, omissioni e altre ambigue manipolazioni per minimizzare o giustificare apertamente l’omicidio di civili innocenti da parte di Israele, disumanizzando allo stesso tempo le loro vittime e delegittimando la Resistenza Palestinese contro la brutale e illegale Occupazione dell’IDF, è tanto inaccettabile quanto ben documentato. Incredibilmente, però, non è sempre stato così. Una volta, le reti di informazione tradizionali denunciavano senza riserve i Crimini di Guerra di Israele, e conduttori e opinionisti condannavano apertamente queste azioni in diretta TV a milioni di telespettatori.
La storia di come i media occidentali siano stati trasformati nel braccio di propaganda servile e amorevole di Israele non è solo un’intrigante e sordida cronaca nascosta. È una lezione profondamente educativa su come il potere imperiale possa facilmente subordinare i presunti arbitri della verità alla sua volontà. Comprendere come siamo arrivati a questo punto ci fornisce gli strumenti per valutare, identificare e confutare bugie grandi e piccole, e sfidare e contrastare efficacemente non solo le falsità di Israele, ma l’intero Progetto Coloniale Sionista.
“Bullo di quartiere”
Il 6 giugno 1982, Israele invase il Libano. Lo sforzo era apparentemente inteso ad allontanare i Combattenti per la Libertà dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina dalle loro posizioni sul confine settentrionale di Israele. Ma, mentre l’IDF si spingeva brutalmente sempre più in profondità nel Paese, Beirut compresa, divenne chiaro che la Pulizia Etnica, i Massacri e il furto di terre erano, come in Palestina, il vero obiettivo. In tutta la capitale libanese, il personale televisivo delle principali reti e giornalisti dei più grandi quotidiani occidentali erano in attesa.
L’insaziabile Sete di Sangue e l’aperto disprezzo di Israele per le vite arabe erano stati finora, in generale, nascosti con successo al mondo esterno. All’improvviso, però, scene di deliberati attacchi aerei dell’IDF su isolati residenziali, soldati di Tel Aviv dal grilletto facile che si scatenavano nelle strade di Beirut e ospedali traboccanti di civili che soffrivano di gravi ferite, tra cui ustioni chimiche dovute all’uso di bombe al fosforo da parte di Israele, furono trasmessi in tutto il mondo, con un clamore quasi universale. Come spiegò all’epoca il veterano conduttore del telegiornale della NBC John Chancellor ai telespettatori occidentali:
“Cosa diavolo sta succedendo? Il problema di sicurezza di Israele, al suo confine, è a 80 chilometri a Sud. Cosa ci fa un esercito israeliano qui a Beirut? La risposta è che ora abbiamo a che fare con un Israele imperialista, che sta risolvendo i suoi problemi nel Paese di qualcun altro, al diavolo l’opinione mondiale”.
Lo sgomento e la repulsione globali per la condotta di Israele non avrebbero fatto che aumentare durante la conseguente Occupazione Militare illegale di ampie fasce del Libano da parte dell’IDF. Nel settembre 1982, una milizia cristiana armata sostenuta da Israele, la Falange, entrò a Sabra, un quartiere di Beirut che ospitava molti palestinesi sfollati dalla Nakba del 1948. Nell’arco di due giorni, massacrarono fino a 3.500 persone, mutilandone e violentandone innumerevoli altre. Ancora una volta, sfortunatamente per Tel Aviv, i giornalisti di tutto il mondo erano lì a documentare in prima persona questi Crimini efferati.
Per usare un eufemismo, Israele ha visto un crollo delle sue relazioni pubbliche internazionali di proporzioni storiche a causa del sangue di cui si era macchiato. Il rischio che un’ulteriore esposizione della sua Natura Genocida potesse spostare in modo decisivo e permanente l’opinione globale a favore dei palestinesi e del mondo arabo in generale era significativo. L’attacco al Libano aveva già spinto i media occidentali a rivalutare criticamente altre annessioni e occupazioni illegali in cui Israele era e rimane impegnato. Come commentò all’epoca l’inviato di ABC News Richard Threlkeld:
“Israele è sempre stata quella coraggiosa piccola democrazia sfavorita che lotta per sopravvivere contro ogni previsione. Ora, gli israeliani hanno annesso Gerusalemme Est e le Alture del Golan, si sono stabiliti più o meno permanentemente in Cisgiordania e hanno Occupato quasi metà del Libano. Nell’interesse dell’autodifesa, quella coraggiosa piccola democrazia sfavorita, Israele, ha improvvisamente iniziato a comportarsi come il bullo del quartiere”.
Fu così che nell’estate del 1984, il Congresso Ebraico Americano, una delle principali organizzazioni di pressione sioniste, convocò una conferenza a Gerusalemme; Immagine Pubblica d’Israele: Problemi e Rimedi. Fu presieduta dal gran maestro della pubblicità statunitense Carl Spielgovel, che un decennio prima aveva fornito consulenza gratuita al governo israeliano sulle strategie per comunicare pubblicamente perché Tel Aviv si rifiutava di aderire ai termini degli Accordi del Sinai del 1973 mediati da Henry Kissinger. Spielgovel in seguito ricordò:
“Mi venne in mente allora che gli israeliani stavano facendo un buon lavoro nell’addestrare i loro militari e stavano facendo un lavoro relativamente altrettanto buono nell’addestrare il loro corpo diplomatico. Ma non stavano dedicando tempo alla formazione di addetti all’informazione, persone che avrebbero potuto presentare il caso di Israele alle ambasciate e ai conduttori televisivi in tutto il mondo. Nel corso degli anni, ho fatto di questo una vera causa personale”.
La Conferenza di Gerusalemme del 1984 offrì a Spielgovel e a una marea di dirigenti occidentali di pubblicità e pubbliche relazioni, specialisti dei media, redattori, giornalisti e leader di importanti gruppi di difesa sionisti l’opportunità di raggiungere quell’obiettivo malefico. Insieme, elaborarono una strategia dedicata per garantire che la “crisi” causata dai resoconti giornalistici sull’invasione del Libano di due anni prima non si sarebbe mai più ripetuta. Il loro antidoto? Un’incessante, metodica e ampia “Hasbara” (in ebraico Propaganda) per “cambiare la mentalità delle persone e farle pensare in modo diverso”.
“Grande esclusiva giornalistica”
Il Congresso Ebraico Americano ha successivamente pubblicato i verbali della conferenza. Offrono una visione straordinariamente chiara di come sono nate le molteplici strategie Hasbara, che sono state in funzione perennemente da allora. Ad esempio, sono stati concordati messaggi di propaganda di base. Ciò includeva messaggi che sono riproposti dai sostenitori di Israele fino ad oggi, sottolineando l’importanza regionale di Israele per gli Stati Uniti e l’Europa, i valori culturali e politici occidentali, la vulnerabilità geografica e il presunto impegno per la pace di fronte all’incessante belligeranza e intransigenza palestinese.
Come ha spiegato Judith Elizur, un’esperta di “comunicazioni” dell’Università Ebraica di Tel Aviv:
“Poiché la dimensione di potere dell’immagine di Israele è così problematica, mi sembra che l’Hasbara debba concentrarsi sul rafforzamento di altri aspetti di Israele che hanno un attrattiva positiva: medicina, agricoltura, scienza, archeologia. Ci siamo preoccupati troppo di spegnere gli incendi politici. Dobbiamo dedicare più risorse alla creazione di un’immagine a lungo termine. Dobbiamo ricreare un’immagine multidimensionale di Israele che ci garantisca il supporto fondamentale di cui abbiamo bisogno in tempi di crisi”.
Si è discusso ampiamente su come presentare “politiche impopolari” all’opinione pubblica occidentale e contrastare la percezione di Israele come “Golia che schiaccia Davide” in tutta l’Asia Occidentale, contro avversari “svantaggiati, deboli e in inferiorità numerica” con “nessuna capacità di resistere”. La necessità di addestrare la diaspora ebraica a contrastare le critiche a Israele è stata considerata fondamentale.
Il presidente del Congresso Ebraico Americano si è lamentato del fatto che “molti ebrei americani” avevano condannato l’invasione del Libano e “gli avevano reso un pessimo servizio”. Qualsiasi futuro “disaccordo” avrebbe reso “molto difficile per noi condurre efficacemente l’Hasbara”.
Joseph Block, ex vicepresidente delle pubbliche relazioni della Pepsi, ha sottolineato la necessità di un’operazione stampa israeliana dedicata, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, “mirata ad offrire occasionalmente ai giornalisti stranieri notizie in esclusiva” e impegnarsi in altre attività di sensibilizzazione dei media per bilanciare la copertura critica e portare giornalisti e redazioni “dalla loro parte”. Block si è lamentato del fatto che se i funzionari israeliani non avessero “informato la NBC e altre reti in modo appropriato” e non avessero dato loro “una grande esclusiva” durante l’invasione del Libano, “una storia diversa avrebbe raggiunto i 90 milioni di famiglie di telespettatori americani”:
“Le notizie non sono semplicemente riprese con una telecamera. Sono dirette. Sono gestite. Sono rese accessibili. Le pubbliche relazioni sono un processo che rende le notizie disponibili in una forma particolare. Negli Stati Uniti, le pubbliche relazioni sono importanti quanto la contabilità, la legge e l’esercito. Come portavoce aziendale di due delle prime 50 aziende americane, vorrei avere uno Shekel per ogni volta che ho detto ‘no comment’ a un giornalista. Tuttavia, sono sempre stato attento a non inimicarmi o intimidire i giornalisti. Sapevo che dovevo convivere con loro”.
Yoram Ettinger, responsabile dell’analisi dei media presso il Centro Informazioni su Israele, ha concordato, dichiarando che l’inquadramento mediatico delle azioni di Israele doveva essere determinato in anticipo. “Azioni” come “far saltare in aria le case”, che erano “difficili da spiegare”, potevano essere giustificate in anticipo o almeno relativizzate inserendole “nel contesto” mentre “tracciavano analogie che altri avrebbero capito”. Ciò avrebbe “aiutato gli altri a interpretarne il significato”, secondo le prospettive di Tel Aviv.
Il Congresso sperava che tali sforzi avrebbero significato che: “I nostri amici americani sarebbero stati in grado di assumere una posizione più attivista come amplificatori della nostra politica” e li avrebbero aiutati a “nascondere i problemi interni sotto il tappeto”. È stato anche suggerito che a livello individuale e organizzativo, gli attivisti sionisti fungono da forza di reazione rapida, inondando i media di lamentele in massa se la loro copertura di Israele fosse stata critica. Un partecipante si è vantato del suo successo personale in questo senso:
“Un giorno la CBS News Radio ha riferito che un soldato americano era stato ferito calpestando una bomba a grappolo israeliana all’aeroporto di Beirut. Ho chiamato la CBS per far notare che nessuno aveva stabilito che la bomba fosse israeliana. Un’ora dopo la CBS ha riferito che un soldato americano aveva calpestato una bomba; questa volta il rapporto ha omesso qualsiasi riferimento a Israele”.
“Violazioni frequenti”
Un’altra raccomandazione significativa è arrivata da Carl Spielgovel: Creare un “programma di formazione” per portare specialisti dell’informazione israeliani attentamente selezionati nelle agenzie pubblicitarie, di pubbliche relazioni e nei principali organi di informazione degli Stati Uniti. L’iniziativa mirava a fornire loro informazioni sul settore, garantire che gli sforzi di Hasbara fossero massimizzati, e stabilire strette relazioni tra i funzionari israeliani e le organizzazioni a cui erano assegnati.
Questi “specialisti” avrebbero operato sotto la guida di un consiglio USA-Israele descritto come “persone sagge in grado di prevedere scenari diversi e come affrontarli” su questioni complesse come “annessione e Gerusalemme”. Spielgovel è stato attento a chiarire che “non stava suggerendo di fare politica”, ma piuttosto che “dovremmo mettere a disposizione le menti migliori per aiutare a chiarire le conseguenze di certe politiche”. L’obiettivo, ha suggerito, era di convincere il pubblico americano che Tel Aviv rimane il “fervente alleato politico e militare” di Washington.
Spielgovel ha inoltre proposto che le future conferenze del Congresso Ebraico Americano dovrebbero assumere il contributo di “giovani” e persone di colore per promuovere meglio l’immagine di Tel Aviv tra i diversi “circoscrittori”. Ha sostenuto che “l’Hasbara deve impiantare nella coscienza del mondo l’esistenza quotidiana” dei cittadini israeliani, richiedendo un flusso costante di “storie nelle sezioni di arte, economia e cucina dei giornali statunitensi”. Da allora, un programma Hasbara dedicato mirato a coltivare abili sostenitori sionisti negli Stati Uniti ha funzionato ininterrottamente.
Incoraggiata dal suo successo, l’operazione si è presto estesa per includere studenti di scuole e università in tutto il mondo, formandoli ad agire come vigorosi sostenitori di Israele nelle aule e nei plessi universitari. I laureati di questi programmi finanziati da Israele entrano spesso in campi influenti, tra cui il giornalismo, dove continuano a promuovere le narrazioni dell’Hasbara e a difendere le azioni di Israele. L’impatto sulla copertura mediatica occidentale della Palestina è stato profondo.
In misura significativa, la rappresentazione di Tel Aviv come “la coraggiosa piccola democrazia sfavorita che lotta per la sopravvivenza contro ogni previsione” è stata saldamente ristabilita. Nonostante la crisi in corso a Gaza, i media tradizionali raramente forniscono un contesto per la Resistenza Palestinese alle politiche di Annessione, Occupazione e Azioni Militari di Israele. La copertura mediatica inquadra quasi sempre le azioni di Israele come “autodifesa” contro le minacce “terroristiche”, con i giornalisti occidentali pienamente consapevoli delle potenziali ripercussioni per essersi discostati da questa narrazione.
La forza di reazione rapida proposta alla conferenza del Congresso Ebraico Americano del 1984 rimane molto attiva. Una vasta rete di individui addestrati all’Hasbara e di organizzazioni di pressione israeliane è sempre pronta a fare pressione e intimidire i media se la copertura si discosta da un’inquadratura favorevole o mette Israele sotto una luce critica. Come un produttore esecutivo della BBC ha confidato una volta al veterano critico dei media Greg Philo:
“Aspettiamo con timore la telefonata degli israeliani. L’unico problema che ci troviamo ad affrontare è da quanto in alto questa arrivi. È arrivata da un gruppo di monitoraggio? È arrivata dall’ambasciata israeliana? E quanto in alto è arrivata nella nostra organizzazione? È arrivata al direttore o al direttore generale? Ho avuto giornalisti al telefono con me prima di un importante servizio giornalistico, chiedendomi quali parole potevo usare: “Va bene se dico questo?”
Un’inchiesta di ottobre di Al Jazeera, citando la testimonianza di informatori della BBC e della CNN, ha descritto in dettaglio “parzialità pro-Israele nella copertura, doppi criteri sistematici e frequenti violazioni dei principi giornalistici” in entrambe le reti. Secondo fonti interne, gran parte di ciò è stato guidato da preoccupazioni su come i funzionari israeliani avrebbero potuto percepire e reagire a una certa copertura. Tuttavia, attivisti e giornalisti indipendenti non sono vincolati da tali pressioni istituzionali e dal 7 ottobre 2023 hanno lanciato una formidabile sfida alle narrazioni di Hasbara.
Se non fosse stato per le indagini persistenti di organi di stampa come MintPress News, The GrayZone ed Electronic Intifada, le accuse infondate promosse da Israele sin dall’inizio del conflitto di Gaza, come le affermazioni secondo cui Hamas avrebbe commesso stupri di massa o decapitato neonati, potrebbero non essere mai state completamente smentite e potrebbero ancora plasmare il “contesto” delle azioni di Israele contro i palestinesi. Nel frattempo, innumerevoli cittadini preoccupati hanno attivamente sfidato le narrazioni occidentali sul conflitto in tempo reale sui social media, un’ondata di critiche che potrebbe alimentare la Resistenza in alcune redazioni tradizionali.
È un’ironia poetica che le stesse tecniche di guerra dell’informazione un tempo affinate sotto l’Hasbara siano ora dirette a Israele e ai suoi difensori. Per decenni, questi metodi hanno permesso a Israele di procedere con la sua graduale deportazione del popolo palestinese, spesso con la tacita approvazione della comunità occidentale. Ma quei tempi sembrano svanire. Oggi, i critici e gli ex bersagli della politica israeliana stanno usando efficacemente queste strategie, brandendo ciò che vedono come i loro strumenti più potenti: Verità e Giustizia.
Kit Klarenberg è un giornalista investigativo e collaboratore di MintPresss News che esplora il ruolo dei servizi segreti nel plasmare la politica e le percezioni. I suoi articoli sono apparsi su The Cradle, Declassified UK e The GrayZone.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org