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Di Yara Hawari – 22 ottobre 2024
Dopo un anno di violenza e devastazione incessanti, i palestinesi si trovano in un momento cruciale. Questo documento riflette sulle immense perdite subite dal popolo palestinese dall’ottobre 2023 e sulle emergenti opportunità di lavorare per un futuro libero dall’Oppressione Coloniale Sionista. Sostiene che ora è il momento per il movimento di passare da una posizione reattiva a una che definisca le proprie priorità. Come parte di questa transizione, questo articolo delinea tre passaggi necessari: andare oltre la dipendenza dal Diritto Internazionale, approfondire i legami nel Sud del mondo e dedicare risorse all’esplorazione di visioni radicali di un futuro liberato.
Fare il punto: Un anno di devastazione inconcepibile
Nell’ultimo anno, la Palestina è stata irrevocabilmente cambiata in modi che, per molti di noi, un tempo erano inconcepibili. Dall’inizio del Genocidio, il Regime israeliano ha ucciso oltre 50.000 palestinesi a Gaza, una stima fornita dal Ministero della Sanità palestinese che include oltre 6.000 corpi non identificati in possesso del Ministero e altri 10.000 che si presume siano ancora sepolti sotto le macerie. Purtroppo, alcuni non saranno mai recuperati. Nel frattempo, un articolo del luglio 2024 sulla rivista medica The Lancet sull’importanza di contabilizzare le vittime di Gaza sosteneva che una stima prudente dei decessi totali in scenari di conflitto equivaleva a “quattro decessi indiretti per ogni decesso diretto”. In base a questo calcolo, il Genocidio di Israele ha probabilmente causato la perdita di oltre 250.000 vite palestinesi dall’ottobre 2023.
Inoltre, Gaza è ora sommersa da oltre 42 milioni di tonnellate di macerie. Queste rovine includono case distrutte, attività commerciali e infrastrutture pubbliche essenziali per molte persone. Gli incessanti bombardamenti israeliani hanno anche rilasciato nell’aria centinaia di migliaia di tonnellate di polvere tossica, con conseguenze durature e mortali. L’80% delle scuole e delle università è stato danneggiato o distrutto e, per la prima volta dalla Nakba, i bambini palestinesi di Gaza non hanno iniziato la scuola quest’anno.
Contemporaneamente, il Regime israeliano e la sua comunità di coloni hanno rubato una quantità record di terra in Cisgiordania negli ultimi dodici mesi. Questo furto è stato accompagnato da una crescente violenza contro i palestinesi: oltre 700 sono stati uccisi, 5.000 feriti e migliaia di altri arrestati, portando il numero di prigionieri politici palestinesi a quasi 10.000.
Più a Nord, in Libano, il Regime israeliano ha ampliato il suo assalto e ha sfollato oltre un milione di persone nel giro di pochi giorni e ne ha uccise oltre 1.800, tra cui il Segretario Generale di Hezbollah Hassan Nasrallah. I bombardamenti israeliani hanno continuato a colpire quartieri e campi profughi palestinesi dal cielo, mentre le forze coloniali hanno lanciato un’invasione di terra all’inizio di ottobre 2024.
In mezzo a questa violenza brutale, la questione della complicità non è mai stata così evidente. I regimi alleati, tra cui Stati Uniti e Germania, hanno continuato il loro sostegno ininterrotto con maggiori pacchetti di aiuti militari e vendite di armi. La maggior parte delle relazioni diplomatiche e commerciali del Regime israeliano rimangono intatte, non solo in Occidente ma anche nel mondo arabo. Queste collaborazioni vengono svolte in flagrante violazione del Diritto Internazionale, che richiede agli Stati terzi di fare tutto il possibile per prevenire il Genocidio e di non aiutare e favorire Crimini di Guerra. Allo stesso tempo, la copertura mediatica del Genocidio sui principali canali occidentali rivela un modello di disumanizzazione palestinese profondamente radicata.
Pertanto, mentre esperti e decisori politici hanno spesso descritto Israele come una forza inarrestabile nell’ultimo anno, è tutt’altro. Al contrario, gli alleati più potenti di Israele non solo non sono riusciti a prendere misure concrete per fare pressione sullo Stato Coloniale affinché metta fine alla sua violenza in corso e in continua espansione in tutta la Regione, ma sono stati complici attivi e volontari. Le rappresentazioni dell’incessante persistenza di Israele di conseguenza non fanno che oscurare la complicità e l’inazione di altre nazioni che continuano a consentire tale sfrontatezza.
In particolare, la strada verso il Genocidio di Israele a Gaza e l’intensificarsi della sua aggressione altrove è stata, in gran parte, agevolata dalla crescente normalizzazione araba. Mentre Israele si è da tempo posizionato come unica democrazia circondata da nemici ostili da tutte le parti, questa descrizione è inequivocabilmente falsa, storicamente e fattualmente. Infatti, sin dalla sua fondazione nel 1948, lo Stato israeliano ha goduto di relazioni sia segrete che pubbliche con vari regimi arabi. Queste relazioni si sono espanse sulla cooperazione in materia di sicurezza e intelligence nell’ultimo decennio, culminando negli Accordi di Abramo del 2020. Le relazioni formalizzate tra Israele e diversi Stati arabi hanno portato a una netta divisione nella Regione, che Israele sfrutta per alimentare la nozione Razzista di due assi opposti nell’Asia Sudoccidentale: ciò che è allineato con i valori “civilizzati” occidentali e ciò che Netanyahu ha recentemente descritto come “la maledizione”.
Un quadro diverso è evidente a livello di base, dove la mobilitazione popolare di milioni di persone in tutto il mondo dimostra l’enorme disconnessione tra la politica governativa e la gente. Infatti, è stato reso abbondantemente chiaro che c’è un consenso sempre crescente a sostegno della Lotta Palestinese per la Liberazione dal Colonialismo Sionista. Le città di tutto il mondo hanno assistito a dimostrazioni costanti, veglie, picchetti e disobbedienza civile in segno di indignazione per il Genocidio in corso. Anche i plessi universitari sono stati luoghi di confronto, dove studenti e docenti hanno chiesto alle amministrazioni di tagliare i legami con le istituzioni complici e disinvestire dagli investimenti complici.
Più vicino alla Palestina, anche i Paesi della Regione hanno assistito a una mobilitazione popolare costante, spesso in sfida alle autorità locali. In Giordania, ad esempio, le strade sono state inondate di proteste in solidarietà con i palestinesi e contro la complicità del Paese con il Regime israeliano, derivanti dall’Accordo di Pace di Wadi Araba del 1994 e che si sono estese ai legami economici con Israele e al sostegno militare degli Stati Uniti. In Egitto, si sono svolte piccole ma potenti dimostrazioni simili, con i dimostranti che condannavano il coinvolgimento diretto del governo nell’Assedio di Gaza. Sempre più persone in tutto il mondo arabo stanno facendo il collegamento diretto tra la presenza imperiale degli Stati Uniti nella Regione, il crescente autoritarismo e l’Oppressione del popolo palestinese.
Cosa succederà dopo? Immaginare un futuro liberato
Fare il punto su questa devastazione incalcolabile è una sfida di per sé, in particolare perché sia il Genocidio di Israele a Gaza che l’attacco al Libano persistono e la Regione sembra sull’orlo di una guerra ancora più ampia. Oltre al passato e al presente, tuttavia, c’è un compito ancora più grande ma necessario: pensare oltre questo momento attuale a un’epoca in cui l’Oppressione Coloniale Sionista non sarà più una caratteristica della vita palestinese e immaginare modi per colmare il divario tra il presente e questo futuro radicalmente diverso.
Molti ostacoli si frappongono a questa pratica. Il continuo di tragedie e violenze che i palestinesi affrontano quotidianamente è forse tra i maggiori impedimenti alla visione del futuro, con coloro che a Gaza continuano a sopportare il peso della Violenza Coloniale Sionista. Inevitabilmente, la sopravvivenza fondamentale ha la priorità per molti e dedicare pensieri alla visione di un futuro palestinese liberato sembra un compito impossibile, seppur privilegiato.
Un altro ostacolo a questo sforzo è che i parametri di ciò che è possibile e fattibile per un futuro palestinese sono stati a lungo plasmati da coloro le cui politiche e valori sono antitetici alla liberazione palestinese. Infatti, negli ultimi due decenni, ai palestinesi è stato detto di immaginare il loro futuro nel quadro della Soluzione dei Due Stati, dove i loro diritti collettivi e individuali sono ridotti e una forma mutilata di autonomia è mascherata da sovranità. Da parte sua, la dirigenza palestinese ha capitolato a questi parametri in cambio di briciole di potere, trasformando quella che era una lotta liberatoria anticoloniale in un progetto di costruzione dello Stato. Per molti Stati terzi, la narrazione della Soluzione a Due Stati è stata una comoda cortina fumogena che ha effettivamente consentito la continua Colonizzazione della Terra Palestinese.
All’inizio del 2020, è emersa un rinnovato appello all’azione tra palestinesi e alleati che sottolineava l’urgente necessità di immaginare la liberazione e iniziare a tracciare un percorso verso un futuro radicalmente diverso. Seguendo le tradizioni e le lezioni di altri popoli indigeni che affrontano la cancellazione coloniale, questi sforzi e lavori hanno cercato di creare spazio per ritagliare un modello di futuro libero dal Dominio Coloniale. Da allora, i palestinesi hanno dovuto affrontare una pandemia globale, la repressione di movimenti popolari e di unificazione e il Genocidio in corso a Gaza.
Tuttavia, il compito di immaginare rimane urgente come sempre. L’anno trascorso richiede una riorganizzazione delle priorità del movimento per tornare alla pratica della visione del futuro. Tenendo presente che questo sforzo è un impegno a lungo termine senza il frutto di conquiste a breve termine, i passaggi seguenti riflettono direzioni che possono aiutare ad aprire possibilità per l’immaginario palestinese:
Diritto Internazionale decentrato
Negli ultimi due decenni, segmenti significativi della società civile palestinese e il più ampio movimento di solidarietà hanno posto il Diritto Internazionale al centro del loro lavoro. Eppure, per molti, il Genocidio in corso a Gaza ha avuto un profondo impatto sul potere percepito del regime giuridico internazionale e ha chiarito i suoi profondi pregiudizi istituzionali.
Israele ha sistematicamente violato le disposizioni delle Convenzioni di Ginevra relative alla Guerra e all’Occupazione, e la Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto che lo Stato Sionista stia commettendo plausibili atti di Genocidio a Gaza nell’ultimo anno. Tuttavia, non solo gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri hanno minimizzato e ignorato queste violazioni, ma hanno anche bloccato attivamente i tentativi di ritenerne Israele responsabile tramite i canali legali disponibili. Quindi, il Genocidio di Gaza ha solo sottolineato ciò che molti sanno da tempo: che il Diritto Internazionale richiede la volontà politica degli Stati di applicarlo e l’istituzione di meccanismi di responsabilità. Inoltre, l’egemonia occidentale all’ONU significa che le vite di alcuni sono considerate più preziose di altre. Ciò è stato dimostrato in modo eccellente con la risposta internazionale all’Ucraina durante l’invasione della Russia rispetto a quella verso Gaza.
Mentre gli attivisti legali possono ottenere qualche risultato all’interno del regime giuridico internazionale per la lotta palestinese, è chiaro che il popolo palestinese non otterrà né la responsabilità né la liberazione attraverso le Risoluzioni delle Nazioni Unite. Il Diritto Internazionale, quindi, deve essere decentrato come quadro e considerato semplicemente una delle tante armi nell’arsenale della Resistenza piuttosto che l’arma stessa.
Riorientarsi attorno ai popoli del Sud del Mondo
Per molti nel Mediterraneo Orientale e in tutto il Sud del Mondo, impegnarsi nella lotta palestinese non è mai stato un esercizio teorico o retorico. Piuttosto, questo impegno è stato a lungo inteso come prassi, con la liberazione della Palestina come componente necessaria per un cambiamento radicale in tutto il mondo.
Durante la rivoluzione egiziana, gli attivisti dicevano spesso che la strada per Gerusalemme passa per il Cairo. Tra loro c’era Alaa Abd El Fattah, uno scrittore egiziano e prigioniero politico. Abd El Fattah appartiene ad una generazione di egiziani cresciuti con immagini di palestinesi che Resistevano all’Occupazione durante la Seconda Intifada. Le manifestazioni studentesche a sostegno della rivolta palestinese alla fine alimentarono il movimento che avrebbe guidato la rivoluzione egiziana nel 2011. Nel 2021, Abd El Fattah scrisse che, per lui e molti altri della sua generazione, le radici della rivoluzione erano in Palestina.
Le intuizioni di Abd El Fattah riflettono una nozione comunemente condivisa in tutta la Regione: che la libertà palestinese è intrinsecamente legata alla libertà di tutte le comunità sotto un regime autoritario, i cui regimi servono principalmente interessi coloniali e imperiali. Lottare per l’uno significa lottare per l’altro. Questa connessione nella Resistenza Condivisa si estende oltre il mondo arabo ad altre comunità del Sud del Mondo, dall’Algeria al Sudafrica ai popoli nativi di Turtle Island. Il governo sudafricano, ad esempio, ha portato l’accusa di Genocidio contro il Regime israeliano alla Corte Internazionale di Giustizia nel dicembre 2023. Nell’aprile 2024, il Nicaragua ha esteso la battaglia legale e ha intentato un’azione legale contro la Germania per aver facilitato il Genocidio.
Ora è urgente che lavoriamo attivamente per riancorare la lotta palestinese a un quadro che si orienti attorno al Sud Globale. Per farlo, è necessario allontanarsi dalla priorità degli sforzi di solidarietà con le persone in posizioni di potere suprematista e invece andare verso la costruzione di un potere collettivo con altre comunità colonizzate ed emarginate.
Costruire l’infrastruttura per l’immaginazione decoloniale
Affinché l’immaginazione decoloniale prosperi su larga scala, la società palestinese necessita di infrastrutture che accolgano e valorizzino tale processo collettivo, insieme alla pratica prefigurativa di sperimentare quelle visioni future nel presente.
Esiste già una potente storia palestinese di questa prassi, di immaginazione e sperimentazione che si uniscono. L’Intifada dell’Unità del 2021, ad esempio, ha dimostrato in tempo reale cosa significhi superare la frammentazione e incarnare una versione di unità che gran parte della società palestinese richiede da tempo. Ciò è stato esemplificato dal Manifesto della Dignità e della Speranza, che ha chiesto l’obiettivo singolare di “riunire la società palestinese in tutte le sue diverse parti; riunire la nostra volontà politica e i nostri mezzi di lotta per affrontare il Sionismo in tutta la Palestina”. In altre parole, il manifesto ha sostenuto la non-spartizione come unico quadro per sfidare i parametri coloniali di possibilità.
Nel corso dell’ultimo anno, i campi di protesta nei plessi universitari hanno illustrato allo stesso modo il ruolo fondamentale degli spazi rivendicati verso questo sforzo. Lì, gli studenti hanno dimostrato come può e dovrebbe essere la condivisione di conoscenze decoloniale e partecipativa, distinguendosi dai modelli di conoscenza dominanti radicati nella Supremazia Bianca e nella Cancellazione Indigena.
Oggi, è fondamentale che il movimento si basi su questi risultati passati e dedichi risorse a iniziative che consentano un pensiero radicale e un’esplorazione prefigurativa. Ciò può avvenire a vari livelli, dall’organizzazione popolare alla rivisitazione delle politiche fino a nuovi approcci nell’istruzione. Ciò servirà ad ampliare la comprensione collettiva di ciò che è possibile, preparare il terreno per un futuro liberato e affinare le competenze necessarie per raggiungere tale obiettivo.
Yara Hawari è Analista Capo della Rete Politica Palestinese Al-Shabaka. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Politica del Medio Oriente presso l’Università di Exeter, dove ha tenuto vari corsi universitari e di cui continua a essere ricercatrice onoraria. Oltre al suo lavoro accademico, incentrato sugli studi indigeni e sulla storia tramandata, è una assidua commentatrice politica che scrive per vari media tra cui The Guardian, Foreign Policy e Al Jazeera English.
Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org