Leonessa di Palestina

Non gliene vogliate, ad Ahed, se sa sorridere tra le vostre sbarre.

Non gliene vogliate, ad Ahed, se i suoi occhi, color del mare che non può vedere per colpa dell’occupazione, sprigionano la forza di uno tsunami.

Non gliene vogliate, ad Ahed, se la sua corona di capelli d’oro e ricci ribelli profumano il vento di Palestina.

Non gliene vogliate, ad Ahed, se il coraggio è la sua anima.

Non gliene vogliate, se la leonessa di Palestina non piegherà la testa sotto i vostri fucili.

Perché quando si ha ragione, non si ha paura, nemmeno se si ha 16 anni.

Ahed Tamimi, 16 anni, arrestata la scorsa notte insieme alla madre dall’esercito israeliano (foto scattata questa mattina nel carcere in cui è rinchiusa).

In Palestina, cristiani e musulmani per un onore comune.

Sapete qual è la cosa più bella in tutto questo casino?
Non solo i Palestinesi di fede musulmana sono nelle strade a manifestare e ad urlare la loro rabbia, ma accanto a loro si uniscono i cuori e le ferite sanguinanti dei Palestinesi di fede cristiana e non-credenti. Così anche da rispondere a quel pensiero comune dettato e ben accolto dall’Occidente, soprattutto qui in Italia, dei Palestinesi come tutti musulmani e quindi, per tale pensiero, “terroristi”, le differenze si sprecano.
L’unione secolare tra i Palestinesi musulmani e cristiani è sempre stata uno degli elementi primari per la difesa della loro madre-patria, la Palestina. Perché se pensate che i Palestinesi di fede cristiana abbiano subito meno ingiustizie rispetto ai loro fratelli musulmani, vi sbagliate di grosso; se pensate che i Palestinesi di fede cristiana non siano parte di questa lotta per la libertà, vi state illudendo.

Donna palestinese di fede cristiana in preghiera nella Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme

Per la Palestina e per Gerusalemme, anche la più piccola differenza si annulla. Non ci sono più Palestinesi musulmani, cristiani e non credenti. Per la Palestina e per Gerusalemme ci sono i Palestinesi. Gerusalemme così non è semplicemente musulmana, cristiana ed ebraica. Gerusalemme è palestinese, perchè, come una persona a me molto cara disse poco giorni fa, “i palestinesi non hanno aspirazioni su Gerusalemme. Non sono un corpo estraneo ad essa. I palestinesi non hanno aspirazioni su Gerusalemme ma hanno dei diritti veri e propri in essa. I palestinesi non possono conquistarla come se fosse un oggetto di aspirazioni politiche. Non si può conquistare ciò che è già parte di te. I palestinesi sono parte di Gerusalemme.”
E chi ben conosce l’ospitalità e l’umanità del popolo palestinese, sa bene che palestinese è l’abbraccio di persone, religioni e culture diverse della Città Santa.
I Palestinesi inspirano ed espirano Gerusalemme; le strade della Palestina diramano la sua essenza a Betlemme, Nablus, Jenin, al-Khalîl, Nazareth, Acri, Haifa, Yafa, Ramallah, Gerico, Gaza, Rafah… Non esiste polizia, esercito o checkpoint che possa fermare lo scorrere della vita e dell’unione in tutta la Palestina.
Ed è per questo che il popolo palestinese è resiliente; è per questo che il popolo palestinese esiste e resiste. La resistenza è la sua essenza. La libertà è la sua dignità. La Palestina è la sua ragione di vita. Gerusalemme è il suo respiro.

Lacrime, urlate!

Raccontami di questa mattina, quando il cielo era cosparso di fumo tra l’azzurro e le foglie di ulivo.
Raccontami del tuo cammino, verso la speranza.
Raccontami della tua fede, pulsante da far tremare la Terra.
Raccontami dei palpiti del tuo cuore, quando hai sentito sul tuo viso la purezza dell’acqua di al-Aqsa.
Raccontami delle tue lacrime, le stesse che ti segnano da 80 anni, quando una soldatessa ti ha puntato il fucile sul petto per non farti pregare.
Raccontami di Gerusalemme violentata.
Raccontami della nostra Palestina.

Oggi, a Gerusalemme, sulla Spianata delle Moschee.

Netanyahu: è tempo di aumentare la deportazione dei migranti africani

Netanyahu discute su un’iniziativa annunciata la scorsa settimana dal Ministro della Sicurezza Pubblica Gilad Erdan e dal Ministro degli Interni Arye Deri per chiudere Holot, un centro di detenzione “aperto”. Migranti seduti al centro di detenzione “aperto” Holot nel Negev a sud di Israele (photo credit:FINBARR O’REILLY / REUTERS)

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