Attacchi razzisti nei confronti degli uffici del HDP e dei curdi nelle città turche

8 settembre 2015

kurdi

Un gran numero di gruppi razzisti hanno iniziato una caccia al curdo in diverse città turche, dove sono stati attaccati, da ieri, 126 uffici del HDP (Partito Democratico del Popolo).

La polizia non ha preso provvedimenti contro gli assalitori che incolpavano l’HDP per l’attuale situazione in Turchia, senza mai menzionare il ruolo del AKP nonostante la chiara affermazione dei giorni scorsi che sosteneva che “niente di tutto ciò sarebbe successo se avessimo vinto 400 seggi nel parlamento”.

Ancora incapaci di accettare i risultati delle elezioni del giugno 7 e indicando l’HDP come il responsabile del conflitto in corso, i funzionari del governo, il presidente Recep Tayyip Erdoğan e il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu, in primo luogo, continuano a fare dichiarazioni che provocano attacchi vendicativi contro il partito, così come contro la popolazione curda nel paese e contro il movimento armato curdo, PKK, che ha espresso numerosi appelli alla pace e ai negoziati anche dopo la fine del processo di soluzione a causa del mancato rispetto da parte dell’AKP.

Gruppi razzisti locali sono anche promossi e supportati dall’AKP che ha affrontato una grande delusione nelle ultime elezioni in cui l’HDP ha ricevuto il 13 per cento dei voti in tutto il paese, impedendo, così, all’AKP di ottenere la maggioranza assoluta.

ANKARA: molti nazionalisti estremisti hanno attaccato in grandi gruppi le sedi del HDP e BDP e i quartieri abitati prevalentemente da popolazione curda in molti distretti di Ankara la scorsa notte.

Balgat: un folto gruppo di razzisti ha attaccato il quartier generale del DBP nel distretto di Balgat, ad Ankara, lanciando pietre e scandendo slogan razzisti contro i curdi intorno alle 20:00 di ieri sera. Mentre le forze di polizia non sono intervenuta a placcare l’attacco, l’insegna del partito è stata stradicata dal gruppo. L’azione dei razzisti di fronte all’edificio DBP è durata fino alle 02:00.

Beypazarı:
 nel quartiere Beypazarı di Ankara, un altro grande gruppo ha marciato dal centro del distretto di Zafer dove vivono principalmente curdi e hanno attaccato le case e negozi dei cittadini curdi, incendiando alcune case e veicoli. Mentre il popolo curdo del quartiere ha risposto agli attacchi con l’autodifesa, il gruppo razzista ha usato armi contro i curdi, lasciando 7 persone ferite. Mentre la polizia è intervenuta sulla scena solo nelle prime ore del mattino, resta alta la tensione nel distretto. Il co-presidente della sede del HDP a Beypazarı, Abdu Öner, ha detto che, anche se la situazione è relativamente calma, alcune famiglie curde stanno lasciando il quartiere in seguito alla minaccia continua.

Tuzluçayır:
 un folto gruppo di razzisti riuniti anche nel centro della città di Ankara la scorsa notte e ha marciato nel distretto Tuzluçayır della città conosciuto come un insediamento di sinistra. Il gruppo ha tentato di entrare nei quartieri in cui popolo curdo, alevi e di sinistra vivono, intensificando i loro attacchi principalmente sul quartiere Aktaş dove molte persone curde vivono, ma hanno dovuto affrontare una forte resistenza da parte del popolo organizzato in autodifesa. Gli attacchi razzisti sono stati respinti e il gruppo razzista ha dovuto lasciare il distretto. Nel frattempo, la polizia non è intervenuta assediare gli incidenti, ma piuttosto ha accompagnato il gruppo razzista dal centro della città sino a Tuzluçayır.

Keçiören: in un altro momento, un gruppo di razzisti ha attaccato l’ufficio HDP a Keçiören rompendo le finestre e prendendo i mira l’insegna del partito. Il gruppo ha tentato di entrare nel palazzo fino a tarda notte, e ha lasciato la scena dopo aver appeso una bandiera turca sull’edificio.

MERSIN: Organizzarti attraverso i social media, un gruppo di assalitori razzisti ha prima attaccato l’edificio HDP nel distretto Erdemli di Mersin e poi le case e negozi della popolazione curda nel quartiere. Due veicoli di proprietà di cittadini curdi sono stati dati alle fiamme davanti alle forze di polizia, mentre il gruppo ha anche tentato di bruciare tre case di curdi. Mentre i vigili del fuoco e la polizia non sono intervenuta sulla scena, i razzisti hanno minacciato il popolo curdo di ucciderli.

Nel frattempo, un altro gruppo razzista ha chiuso l’autostrada tra Mersin e Antalya bloccando gli autobus appartenenti a compagnie di Amed, Van e Mardin al fine di controllare i documenti d’identità, nel tentativo di capire il popolo curdo. Gli aggressori hanno danneggiato gli autobus e anche attaccato gli autisti. Alcuni autisti che volevano far fuggire i passeggeri dalla scesa sono stati fermati dalla polizia, aprendo la strada a ulteriori attacchi sui bus.

ANTALYA: la sede del HDP nella città meridionale di Antalya è diventata anch’essa il bersaglio di gruppi razzisti turchi. Mentre cinque persone sono rimaste bloccate nell’edificio durante l’attacco, i membri del partito che arrivavano sul posto sono stati aggrediti dalla folla e dalle forze di polizia. 10 persone sono rimaste ferite negli incidenti, mentre una persona, O. Çakmak è stato gravemente ferito da un coltello dalla schiena. Çakmak rimane in condizione di pericolo di vita in ospedale dove è stato operato.

KONYA: gruppi razzisti a Konya anche attaccato gli edifici del HDP e Ronahi -der, un punto di ritrovo di studenti curdi nella città, mentre un altro gruppo ha preso di mira i lavoratori curdi nel quartiere Ilgın.

Un gruppo si è riunito nella stazione degli autobus di Konya nelle ore serali e ha marciato fino all’edificio HDP nel tentativo di appiccare le fiamme. Il gruppo ha rotto la porta per entrare nell’edificio mentre i dirigenti HDP erano all’interno. Il gruppo ha dovuto lasciare la scena dopo un intervento delle squadre di polizia. Un altro gruppo diretto a Ronahi-Der nel quartiere Karatay, con l’intento di appiccare il fuoco, prima di continuare a marciare nei quartieri dove la gente che ci vive è prevalentemente curda.

Nel quartiere Ilgın di Konya, gruppi razzisti hanno preso di mira circa 400-500 cittadini curdi, che sono venuti nel quartiere dalle città curde per lavorare nella costruzione di edifici. I lavoratori non hanno risposto agli attacchi per non infiammare maggiormente la situazione, ma sono stati costretti a difendersi quando gli attacchi sono aumentati. Due operai curdi sarebbero stati feriti negli attacchi che sono durati fino a tarda.

I lavoratori hanno chiesto di essere evacuati dal quartiere in seguito agli incidenti, ma il governatore distrettuale ha detto che sarebbe stato possibile procedere all’evacuazione solo in 3-4 giorni. I lavoratori hanno detto che non hanno percepito nessuna garanzia della loro vita, poiché sono state pressoché inesistenti le misure adottate dalle forze di sicurezza e dalle autorità interessate.

ISPARTA: un gruppo di circa duemila razzisti ha attaccato l’edificio HDP a Isparta, lasciando grande danno materiale all’interno. Il gruppo ha scaraventato a terra le sedie dentro dalle finestre e quindi appiccato le fiamme all’ufficio. Il gruppo è poi fuggito dalla scena cantando lo slogan “I martiri sono immortali, la nostra terra è indivisibile”.

MUĞLA: nella provincia occidentale di Muğla, uno studente universitario è stato attaccato da un gruppo razzista con coltelli, lasciandolo ferito in molte parti del suo corpo. Lo studente è stato portato all’ospedale pubblico Fethiye dopo l’attacco.

MALATYA: un gruppo di circa 100-150 assalitori razzisti ha tentato di incendiare l’edificio HDP a Malatya, entrando nel passaggio in cui si trova la sede del partito, e abbattendo le barriccate di ferro prima posizionate dalle forze di polizia, che hanno anche accompagnato il gruppo ad appendere le bandiere turche sull’edificio.

BALIKESIR: in un’altra città occidentale, a Balikesir, un gruppo di razzisti è entrato nell’edificio HDP e ha, prima, danneggiato l’arredamento interno, poi gettato le sedie dal balcone e quindi appiccato le fiamme all’edificio. Il gruppo si è poi disperso, mentre la polizia non è intervenuta.

İZMİR:
 gli uffici HDP nel centro di Smirne, nonché nei distretti di Bergama, Dikili, Kemalpaşa e Buca sono stati presi di mira da attacchi di folle razzisti con la scusa dell’incidente avvenuto a Dağlıca che ha causato la morte di 31 soldati, tra cui un tenente colonnello, e altri 6 feriti. Mentre gli assalitori non sono stati fermati dalla polizia nemmeno qui, i gruppi hanno fatto irruzione negli uffici HDP e bruciato le bandiere di partito, ma si sono, anche, radunate nei distretti di Selçuk e Atatürk da cui sono stati poi respinti dalle forze di autodifesa dei cittadini curdi.

EDIRNE: un gruppo di razzisti ha attaccato l’ufficio HDP di Edirne alle 03:00 del mattino. Dopo essersi incontrati di fronte all’ufficio del partito, il gruppo è entrato nell’edificio rompendo la porta e danneggiando tutto l’arredamento interno. Il gruppo ha anche issato una bandiera turca all’esterno dell’edificio.

BERGAMA: un gruppo di circa un migliaio di assalitori ha attaccato l’ufficio HDP nel distretto di Bergama a Smirne ieri sera intorno alle 03:00. Dopo essere entrati nel palazzo, il gruppo ha bruciato le bandiere HDP all’interno e ha abbattuto il cartello del partito. Il gruppo poi si è diretto verso i quartieri abitati prevalentemente da curdi avviando una provocazione, mentre le unità di polizia sono rimaste in silenzio e non hanno preso alcuna azione contro in gruppo razzista.

ESKİŞEHİR: in un altro caso, un gruppo di persone razziste accompagnati dalla polizia ha attaccato il quartier generale HDP a Eskişehir, lasciando grande danni materiali all’edificio. Il gruppo ha attaccato l’edificio con pietre e bastoni, mentre ha rotto la porta con mazze e saccheggiato i mobili dentro.

Il membro del HDP della sede di Eskişehir, Izzettin Altın, ha riferito che la polizia ha agito insieme al gruppo razzista in attacco e ha aggiunto che tutti i curdi della provincia sono in pericolo e che attacchi simili potrebbero continuare ad avvenire nel caso in cui non venissero presi seri provvedimenti.

UiKi ONLUS

Furto a mano armata: la politica dell’esercito israeliano in Cisgiordania

Il ben noto video del soldato israeliano che strangola un ragazzo di 12 anni mostra solo uno dei modi in cui l’esercito terrorizza i residenti dei villaggi palestinesi per rubare la loro terra.

 

Palestinians fight to free a Palestinian boy held by an Israeli soldier during clashes on August 28, 2015 in the West Bank village of Nabi Saleh.AFP
Palestinians fight to free a Palestinian boy held by an Israeli soldier during clashes on August 28, 2015 in the West Bank village of Nabi Saleh.AFP

Di Amira Hass, 2 settembre 2015-09-05

Il soldato che la settimana scorsa ha preso per il collo il dodicenne Mohammad Tamimi fa parte dell’organizzazione che attua e garantisce il continuo furto di terra a Nabi Saleh, utilizzando diversi metodi per terrorizzare i residenti. Non è il primo e non è l’ultimo; il furto a mano armata non è perpetrato solamente sulle terre di questo villaggio, e la sorgente d’acqua a Nabi Saleh non è la sola in Cisgiordania ad essere stata sottratta dai coloni ebrei.

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Previste proteste questa settimana a Londra per la visita di Netanyahu

Importanti leader sindacali e persone di sinistra chiedono che Israele sia sanzionato, piuttosto che accolto dal primo ministro David Cameron.

British PM David Cameron (L) and Israeli PM Benjamin Netanyahu meet in London in May 2011. Amos Ben Gershom/GPO
British PM David Cameron (L) and Israeli PM Benjamin Netanyahu meet in London in May 2011.  Credit Amos Ben Gershom/GPO

Oltre 100.000 firme nel Regno Unito per una petizione che chiede l’arresto di Netanyahu a Londra
La prevista visita del primo ministro Benjamin Netanyahu al Regno Unito questa settimana ha suscitato nel paese ospitante una tempesta . Oltre  100.000 persone hanno firmato una petizione che chiede il suo arresto per crimini di guerra ed è prevista   una grande manifestazione  a Londra in concomitanza con la visita.
Con una lettera pubblicata sul quotidiano Guardian lunedi, un gruppo di dirigenti sindacali, i parlamentari del Partito Laburista e importanti uomini di sinistra hanno invitato il primo ministro David Cameron a “imporre sanzioni immediate e un embargo sulle armi a Israele finché non ottemperi al diritto internazionale e ponga fine al blocco di Gaza e all’occupazione “.

Secondo l’appello che  include tra i firmatari  Len McCluskey dirigente sindacale, il regista Ken Loach e lo storico di origine israeliana Ilan Pappe, “Il nostro primo ministro non dovrebbe dare il benvenuto all’uomo che presiede l’occupazione israeliana e l’assedio di Gaza”.

Israele, la lettera accusa, ha creato “l’inferno” a Gaza, e tra i profughi  annegati nel Mediterraneo quest’anno c’erano palestinesi in fuga da questa situazione”.
Il governo britannico non ha risposto alla lettera, anche se in una dichiarazione pubblicata Domenica in risposta alla petizione ha detto che Netanyahu, come capo del governo in visita, avrebbe l’immunità.

Palestine Solidarity Campaign (PSC) con un comunicato ha chiesto:
“Vogliamo sapere perché David Cameron accoglie nel Regno Unito un uomo direttamente responsabile di crimini di guerra, così definiti dalle Nazioni Unite. L’ Accoglienza di Netanyahu da parte di Cameron invia un messaggio molto negativo circa l’atteggiamento del governo britannico nei confronti delle quotidiane violazioni dei diritti umani di Israele e dei crimini di guerra commessi a Gaza lo scorso anno.”
il servizio di stampa palestinese WAFA ha segnalato che manifestanti provenienti da tutto il Regno Unito si riuniranno Mercoledì a Londra  per esprimere il loro rifiuto all’accoglienza del governo di Netanyahu,.

trad. Invictapalestina

fonte. http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/1.675009

Obama deve porre fine al supporto all’apartheid israeliano contro gli studenti palestinesi

The Electronic Intifada 3 Settembre 2015

Palestinian protesters climb a ladder at Israel's controversial barrier that separates the West Bank town of Abu Dis from Jerusalem November 17, 2014. Photo by Muammar Awad
Palestinian protesters climb a ladder at Israel’s controversial barrier that separates the West Bank town of Abu Dis from Jerusalem November 17, 2014. Photo by Muammar Awad

Con i contributi di: Radhika Balakrishnan, Karma R. Chávez, Dworkin Ira, Erica Caple James, J. Kehaulani Kauanui, Doug Kiel, Barbara Lewis e Soraya Mekerta

Il presidente Usa Barack Obama, in una recente intervista con Jeffrey Goldberg a The Atlantic, ha ribadito il suo sostegno e l’amore per Israele, perché, come egli sostiene, “è una vera democrazia dove puoi esprimere le tue opinioni.”

Egli ha inoltre espresso il suo impegno a proteggere Israele come “stato ebraico”, garantendo una “maggioranza ebraica”.

Il sostegno del governo degli Stati Uniti per lo “stato ebraico” è sempre stato molto più che retorico, sostenuto da miliardi di dollari di finanziamenti militari e con veti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a favore di Israele.

Noi siamo un gruppo di accademici statunitensi, che rappresentano diverse origini etniche, razziali e culturali, così come una vasta gamma di origini nazionali, che di recente ha visitato la Palestina. Siamo stati in grado di vedere in prima persona  ciò che Obama ha descritto nell’intervista come “democrazia ebraica” di Israele e quali tipi di infrastrutture le nostre tasse contribuiscono a sostenere – muri, posti di blocco  e armi moderne.

Abbiamo avuto il privilegio di viaggiare attraverso parte dei territori palestinesi occupati – Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est – dove ci siamo incontrati con i palestinesi.

Doppi standard

Ci sentiamo in dovere di condividere alcuni esempi di quello che abbiamo visto durante la nostra visita con studiosi palestinesi, responsabili politici, attivisti, artisti e altri che lavorano in Cisgiordania. Abbiamo osservato numerosi doppi standard per quanto riguarda i diritti dei palestinesi, che ci spingono a mettere in discussione l’affermazione che Israele è una vera democrazia.

Noi crediamo che le affermazioni del nostro governo che descrivono Israele come una democrazia, oscura le condizioni da essa imposte al popolo palestinese attraverso l’occupazione e con  altre condizioni che si sommano all’apartheid sotto il colonialismo.

Le nostre preoccupazioni sono iniziate ancor prima del nostro arrivo,  una ricerca sul sito web del Dipartimento di Stato per le informazioni sul viaggio in Israele ha dato risultati che fanno riflettere.

Il governo degli Stati Uniti mette in guardia i viaggiatori a fare il back up del proprio computer perché i funzionari di controllo alla frontiera israeliana possono cancellare quello che vogliono. Questo infatti è successo a uno di noi dopo aver lasciato Tel Aviv per tornare negli Stati Uniti.

Il sito mette anche in guardia i viaggiatori che possono essere controllate le loro e-mail o gli  account personali dei social network, e così i viaggiatori “non dovrebbero avere alcuna aspettativa di privacy per tutti i dati memorizzati su tali dispositivi o nei loro account”. Le  attrezzature possono anche essere confiscate.

Il Dipartimento di Stato inoltre riconosce che i cittadini americani che sono musulmani e/o di origine araba palestinese o altro possono avere una notevole difficoltà a entrare o uscire attraverso le frontiere controllate da Israele. E anche questo è successo a uno di noi che ha ricevuto una chiamata telefonica appena arrivato a Tel Aviv.

Trattamenti

Poche preoccupazioni in entrata e in uscita  rispetto alle restrizioni imposte ai cittadini americani di origine palestinese, insieme a tutti gli altri palestinesi in possesso di documenti d’identità della Cisgiordania e di Gaza.

Prima di partire, la maggior parte di noi non erano a conoscenza che per i palestinesi sotto occupazione, ci sono diversi tipi di identificazione e trattamenti con particolari restrizioni alla mobilità.

I palestinesi di Gerusalemme hanno carte d’identità  in un libretto blu, mentre quelli che vivono nel resto della Cisgiordania occupata sono in possesso di una carta d’identità in un libretto verde, rilasciato a loro dall’Autorità Palestinese con il permesso del governo israeliano.

Le persone anche se in possesso di un documento d’identità in genere non possono entrare a Gerusalemme o odierna Israele senza previa autorizzazione, anche per un colloquio per il visto per partecipare a una riunione accademica negli Stati Uniti. Molte persone che abbiamo incontrato hanno potuto  visitare, una volta nella vita, solo Gerusalemme, sede di molti luoghi sacri,  pur essendo a pochi minuti di auto.

Nel resto della Cisgiordania, un cittadino statunitense di origine palestinese che vuole vivere lì a lungo termine deve ottenere un visto che specifica la residenza soltanto nella West Bank. Essi non sono autorizzati a viaggiare dentro e fuori della Cisgiordania e sono soggetti agli stessi posti di blocco, come altri palestinesi. Essi non possono lasciare i territori occupati come  cittadini degli Stati Uniti, come il Dipartimento di Stato mette in guardia sul suo sito web.

Un palestinese nella West Bank che ha la cittadinanza americana non può semplicemente prendere un aereo da Tel Aviv come qualsiasi altro cittadino degli Stati Uniti, semplicemente perché lui o lei è palestinese e detiene una carta d’identità palestinese. Questo fatto è impresso sul passaporto degli Stati Uniti.

Essi non sono autorizzati a passare nei posti di blocco in Gerusalemme o altri posti di controllo, come altre persone possono fare con un passaporto. Questa restrizione non è affatto applicato ai coloni ebrei che stanno crescendo di numero – migliaia di loro sono cittadini statunitensi che scelgono di vivere nella Cisgiordania occupata all’interno di insediamenti illegali finanziati in parte da organizzazioni esentasse statunitensi.

La libertà accademica

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Come studiosi, tra le tante cose inquietanti alle quali abbiamo assistito è stata la libertà accademica limitata e la libertà di espressione imposto ai palestinesi (e molti israeliani, il cui viaggio nella West Bank è limitato) da parte del governo israeliano.

Abbiamo scoperto che c’è un divieto sulla maggior parte dei libri pubblicati in Siria, Iran e Libano, anche se Beirut è un hub centrale di pubblicazione di materiali letterari arabi della regione. Indipendentemente da ciò, vietare i libri è, a nostro avviso, un atto profondamente antidemocratico.

Il muro israeliano che circonda la Cisgiordania inclusa Gerusalemme – e che si snoda in profondità la Cisgiordania in molte delle citta – funziona anche per limitare la libertà accademica.

Uno degli esempi più crudi è a Betlemme, dove il muro taglia la città, rendendo l’accesso all’istruzione presso l’Università di Betlemme molto difficile per chi capita di essere, per alterne vicende, dalla parte sbagliata  del muro.

Inoltre, il campus di Abu Dis di Al-Quds University è completamente circondata dal muro, rendendo il viaggio da e per il campus incredibilmente arduo nonostante sia nella stessa Gerusalemme.

Un collega accademico ci ha descritto le difficoltà che sperimenta al campus in una giornata tipica. Si deve passare attraverso posti di blocco e sopportare le perquisizioni e una miriade di forme di molestie da parte dei soldati israeliani.

In Cisgiordania, siamo rimasti scioccati nello scoprire strade separate per Palestinesi e Israeliani in base al colore della propria targa automobilistica e di identità.

In teoria, esistono queste strade per la protezione dei coloni israeliani che vivono negli insediamenti costruiti in Cisgiordania illegalmente secondo il diritto internazionale. In pratica, queste strade creano un sistema di di apartheid  in cui i palestinesi viaggiando incontrano diversi posti di blocco nello stesso giorno, alcuni dei quali possono essere mobili,  e imprevedibilmente presenti come “posti di blocco volanti”.

Come una nostra collega ci ha spiegato, quello che prima era un viaggio molto breve tra il suo villaggio e l’università ora richiede spesso più di un’ora e mezza e ci si aspetta di attraversare almeno tre posti di blocco. Lei è spesso in ritardo per le lezioni  e alcuni giorni deve mandare tutti  a casa perché non in grado di fare il suo lavoro.

I suoi studenti sono spesso arrestati e incarcerati con la copertura legale della detenzione amministrativa – detenzione senza accusa né processo a tempo indefinito – per la loro partecipazione a qualsiasi attività politica, o semplicemente per essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Abbiamo sentito che questa procedura si intensifica durante le sessioni d’esame.

Ciò crea un ambiente accademico straordinariamente stressante in quanto i soldati israeliani possono detenere studenti e docenti che semplicemente si recano all’università.

Impunità

Noi riconosciamo il desiderio di ogni popolo ad essere sicuro – e i sostenitori di Israele che difendono le proprie politiche e azioni in nome della sua sicurezza nazionale. Quello che abbiamo visto durante la nostra visita è che la “sicurezza” si presta  come  base razionale per quasi altro  comportamento politico.

Quello che abbiamo visto è stata una lenta espansione, ma deliberata dell’occupazione israeliana, l’aumento degli insediamenti, la confisca dei terreni agricoli e la diffusione di insediamenti industriali in Cisgiordania comprese  parti sostanziali di Gerusalemme Est – tutto in nome della “sicurezza”.

Gli Stati Uniti, come stato coloniale e le sue occupazioni, la violenza della polizia, l’ingiustizia carceraria, di fatto, l’apartheid e il proprio marchio di brutalità sui confini – ha certamente le sue debolezze come  democrazia, carenze che continuiamo ad affrontare nel nostro lavoro intellettuale e politico.

Non rivendichiamo quindi alcuna superiorità morale. Ma un etnocrazia non è una democrazia; lo Stato di Israele impone dominazione violenta sul popolo palestinese attraverso il colonialismo, l’occupazione e l’apartheid – tre poli di oppressione brutale che sono l’antitesi della democrazia.

Come accademici, osservando i tentativi di soffocare le critiche ad Israele – come nel caso del nostro collega, il professor Steven Salaita – e visitando la Cisgiordania, ci ha spinto a parlare pubblicamente delle ingiustizie di Israele. E’ imperativo parlarne in questo modo.

Noi imploriamo il Presidente Obama a riconsiderare la sua retorica e la sua politica – e il bilancio degli stanziamenti – che sostengono l’impunità di Israele.

Radhika Balakrishnan is professor of Women’s and Gender Studies at Rutgers University.

Karma R. Chávez is associate professor of Communication Arts at the University of Wisconsin, Madison.

Ira Dworkin is assistant professor of English at Texas A&M University.

Erica Caple James is associate professor of Anthropology at Massachusetts Institute of Technology.

J. Kēhaulani Kauanui is associate professor of American Studies and Anthropology at Wesleyan University.

Doug Kiel is assistant professor of American Studies at Williams College.

Barbara Lewis is associate professor of English at the University of Massachusetts, Boston.

Soraya Mekerta is director of the African Diaspora and the World Program, and associate professor of French and Francophone Studies at Spelman College.

trad. Invictapalestina

fonte: https://electronicintifada.net

Grandi sogni a Gaza per la squadra di karate dei non vedenti.

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GAZA CITY, Striscia di Gaza – Mu’min Bitar sposta il braccio e la gamba dopo aver sentito le istruzioni del suo allenatore. Le sue mosse sono perfettamente sincronizzate con quelle del suo compagno Mohamed Mahaty. Insieme, hanno messo su un grande spettacolo. I giocatori non vedenti hanno imparato le loro mosse affidandosi al tatto e  all’udito. Leggi tutto “Grandi sogni a Gaza per la squadra di karate dei non vedenti.”