Iran, ayatollah e popolo rispondono a Trump

Enrico Campofreda, 10 febbraio 2017

Dopo l’intervento della Guida Suprema, anche il presidente iraniano Rohani ha risposto alle stoccate, accuse e minacce provenienti dalla Casa Bianca. Come suo solito l’ha fatto col sorriso sulle labbra, con lo stile diplomatico che lo caratterizza, comunque non tergiversando sugli argomenti.

Khamenei, parlando davanti a una platea di comandanti dell’aviazione, era stato ironico e tranciante: “Ringraziamo il nuovo venuto (il presidente Trump) perché ci ha mostrato i due volti dell’America. Lui è la prova di ciò che diciamo da più di trent’anni: ci sarebbe sempre da parlare di corruzione politica, economica, sociale e morale nelle amministrazioni statunitensi”. Rohani ha difeso la tela tessuta assieme al ministro degli Esteri Zarif con estrema pazienza e costanza: l’accordo sul nucleare.

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Un successo internazionale che rappresenta la sua migliore carta di credito per un secondo mandato. Il cosiddetto Piano d’azione globale (JCPOA) – che Trump e il suo staff considerano carta straccia, tranne doversi confrontare con gli altri sottoscrittori (gli alleati francese, inglese, tedesco e pesi massimi Russia e Cina) – viene considerato da Rohani come un pilastro per il superamento delle incomprensioni fra potenze mondiali e regionali, capace di garantisce stabilità, pace e cooperazione contro il terrorismo. Sul tema del terrorismo c’è stata la mina vagante gettata dal Segretario alla difesa che Trump s’è scelto, Jim Mattis, assertore d’un Iran grande sponsor del terrorismo di Stato. Un’uscita che riporta indietro le esternazioni della Casa Bianca di oltre un decennio, come, e peggio, di quanto sosteneva George W.

Bush anche prima dall’arrivo ai vertici della politica iraniana di Ahmeninejad. Il fidato uomo del presidente Usa ha puntato il dito sul corpo dei Guardiani della Rivoluzione, componente da tempo potentissima della scena iraniana, tanto d’aver proposto e poi imposto il citato presidente basji, l’unico Capo di Stato laico della recente storia della Repubblica Islamica.

Pur essendo politicamente un rivale del ‘partito dei Pasdaran’ che trova sponda sul clero conservatore dei Meshab Yazdi, Jannati e simili, Rohani ha elogiato quella che dai giorni della Rivoluzione (il cui 38° anniversario ricorre domani) rappresenta l’avanguardia dello Stato iraniano. Un difensore, armato come l’esercito, dei princìpi antimperialisti sostenuti con la caccia dello Shah, che coi suoi martiri ha tutelato della nazione dall’aggressione di Saddam e si mostra baluardo nei contrasti d’ogni genere che possono intervenire contro il popolo iraniano.

Il presidente iraniano rilancia al mittente: altro che terroristi i pasdaran sono i figli del nostro popolo totalmente investiti della difesa della stabilità, della pace e della cooperazione. Le celebrazioni festose di queste ore lo dimostrerebbero ampiamente. Insomma Rohani tiene botta, evitando di gettare benzina sul fuoco come certe voci interne hanno fatto nei giorni scorsi. La polemica ruotava, appunto, sul terrorismo. Da parte statunitense si sono ricordati i 444 giorni di assedio della propria ambasciata a Teheran durante la rivoluzione khomeinista, quindi l’attentato del 1983 agli alloggiamenti dei reparti di marines presenti in Libano (241 militari uccisi).

La stampa iraniana ha ricordato il sostegno e l’armamento americano di Saddam Hussein nel corso dell’aggressione lanciata contro il Paese confinante, nonché l’abbattimento nel Golfo d’un aereo civile delle linee iraniane (290 vittime) a opera d’un caccia dell’US Air Force. Insomma schermaglie sviluppatesi fra twitt trumpiani e dichiarazioni ufficiali che si sono inseguiti nei giorni scorsi, quando montava l’irritazione americana per il test missilistico.

Un test presunto “Montato ad arte dai media americani per incitare animosità, guerra psicologica e Iranofobia“ ha ribadito il ministro della Difesa Dehqan che ha smentito categoricamente qualsiasi manovra militare o addestramento balistico delle proprie truppe. Così pare che lo stile “minaccioso e sbraitante”, come l’ha definito la stessa Guida Suprema, ottenga l’effetto contrario: anziché intimorire “i nemici” li coagula, stimolandone l’orgoglio nazionale. E nei confronti (e contrasti) dell’urna, per le presidenziali di maggio, potrebbe risultare proprio la componente meno accomodante, quella di Pasdaran e clero conservatore, ad avvantaggiarsi di quest’aria minacciosa.

 

Dite al presidente della Fifa di mostrare il cartellino rosso a Israele

Israele consente a sei squadre con sede negli insediamenti illegali di giocare nel suo campionato nazionale di calcio.

Abbiamo l’opportunità di fare pressione sulla FIFA, l’organo di governo del calcio mondiale, perché agisca contro la Federcalcio israeliana per il suo sostegno alle squadre con sede negli insediamenti illegali israeliani.




Volete unirvi a noi e scrivere al presidente della   FIFA Gianni Infantino?


Le Nazioni Unite, Human Rights Watch, parlamentari, avvocati, attivisti e palestinesi hanno tutti chiesto alla FIFA di rispettare il diritto internazionale. Hanno chiesto alla FIFA di  rispettare le proprie norme e impedire alle  squadre che risiedono negli insediamenti illegali di partecipare nelle leghe ufficiali.


Omettendo di agire contro la Federcalcio israeliana per l’inclusione di queste squadre con sede negli insediamenti illegali, la FIFA diventa complice di Israele nella violazione del diritto internazionale, e permette a Israele di usare “il bel gioco” per coprire  i suoi crimini di guerra e la rimozione forzata dei palestinesi .


La FIFA può e deve esigere che la Federcalcio israeliana escluda squadre con sede negli insediamenti illegali, e sospenda l’associazione, qualora si rifiuti di obbedire.


Tokyo Sexwale, il presidente del Sud Africa del comitato di controllo della FIFA di Israele e Palestina, è in procinto di presentare una relazione al Presidente e al Consiglio della FIFA di migliorare le condizioni di calcio palestinese.


Questa è un’opportunità per noi  per costringere  la FIFA ad agire.

 

Grazie,

 

La Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI)

 

Trad. Carmela Ieroianni – Invictapalestina.org

I pazienti oncologici di Gaza: “Stiamo morendo lentamente”

 

Nella Striscia di Gaza non ci sono le risorse necessarie a garantire un trattamento adeguato, ma Israele nega loro il permesso di viaggiare.

di Mershila Gadzo, 5 FEBRUARY 2017

Gaza City – “Sono come un uccello in gabbia,” dice Hind Shaheen dal suo letto nell’ospedale Al-Rantisi a Gaza City, circondata dai suoi familiari. “Vedo acqua e cibo oltre le sbarre, ma non posso prenderli. È così che mi sento.”

Shaheen soffre di cancro al seno e le sue condizioni di salute sono peggiorate dopo che le è stato negato il permesso di uscire da Gaza per ricevere le cure.

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