Le donne kurde, appartenenti a uno dei più forti e radicali movimenti delle donne nel mondo, stanno subendo un violento attacco dallo Stato turco, che resta impunito poiché l’Europa fa finta di non vedere. “Noi resisteremo e resisteremo fin quando vinceremo!” ripeteva Sebahat Tuncel prima che la sua bocca fosse serrata con la forza da mezza dozzina di poliziotti che l’hanno trascinata lungo il pavimento e imprigionata nei primi di novembre. Nove mesi fa un convoglio di cartelli di vittoria, slogan ottimisti e fiori accolse Tuncel quando venne liberata dal carcere, affinché potesse entrare in Parlamento essendo stata eletta quando ancora era reclusa. Tuncel, di nuovo in prigione, è una delle decine di politici kurdi del Partito Democratico dei Popoli (HDP) o al Partito delle Regioni Democratiche (DPB), arrestati dalle forze di sicurezza turche dall’ultimo ottobre, a seguito delle operazioni antiterrorismo avviate dal Presidente Erdoğan contro coloro che sfidano la sua autorità. Questo giro di vite segue il tentato golpe di luglio e rappresenta, dall’estate del 2015, una nuova escalation nella guerra fra lo Stato e il movimento kurdo, ponendo fine al processo di pace durato due anni e mezzo. Come il consiglio suggerito al nucleo antiterrorismo tedesco negli anni Ottanta “Prima sparate alle donne !”, la tossica mascolinità dello Stato è diventata palese nella sua dichiarazione di guerra alle donne. La forza del movimento militante delle donne kurde costituisce la più grande minaccia al sistema. E il caso di Sebahat Tuncel non è l’unico.
Circa il 70% di tutte le città che si trovano all’interno di Israele – territori palestinesi occupati dal 1948 – sono “per soli ebrei”; ai cittadini arabi dello stato è vietato viverci. Questa è la politica sostenuta fin dalla creazione dello stato d’Israele sulla terra palestinese. I mezzi e i metodi possono anche essere cambiati, ma non l’obiettivo di Israele; creare città “arabo-free”, cioè esclusivamente per chi sia di etnia ebraica, è l’intenzione ufficiale. Questa è ordinaria discriminazione a favore di un gruppo di cittadini; questo è apartheid. Nonostante questo fatto sia ovvio, è un problema che la comunità internazionale preferisce non affrontare e così Israele continua a farla franca.
L’Unione europea ha denunciato Israele per la sua ostinazione nel detenere amministrativamente palestinesi senza colpa.
In una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio nella Gerusalemme occupata, l’UE ha espresso preoccupazione per l’uso eccessivo che Israele fa della detenzione amministrativa contro i palestinesi senza che vi sia una accusa qualsiasi.
Nella dichiarazione si parla di una particolare preoccupazione per il peggioramento delle condizioni di salute dei prigionieri Anas Shadeed e Ahmed Abu Fara, che hanno portato avanti uno sciopero della fame per due mesi e mezzo in segno di protesta contro la loro detenzione amministrativa.
I dati presentati parlano di più di 700 detenuti amministrativi palestinesi nelle carceri israeliane, tra cui tre minorenni.
L’UE ha chiesto a Israele di rispettare i suoi obblighi internazionali per quanto riguarda i diritti umani nei confronti di tutti i detenuti e di consentire loro di avere accesso all’assistenza legale ed essere oggetto di un processo equo.
Sarah Algherbawi (*) The Electronic Intifada, Striscia di Gaza 5 dic 2016
Khuloud Abu Qamar ha parlato con calma, ma le sue parole continuano a sconvolgere. “Israele mi sta uccidendo lentamente”, ha detto. “E sta uccidendo anche i miei figli.”
Dopo aver subito un intervento chirurgico per il tumore al seno l’anno scorso, Abu Qamar ha necessità di un ulteriore trattamento che non è stata in grado di ricevere a Gaza. Ha chiesto a Israele il permesso di viaggiare. Le sue richieste sono state finora respinte.
Khuloud Abu Qamar ha 40 anni, sei figli, il più giovane dei quali è ancora un bambino.
La sua situazione è condivisa da molti altri a Gaza. Le stime del Ministero della Sanità locale indicano che quest’anno diverse centinaia di donne con cancro al seno sono state ostacolate da Israele per curarsi fuori dalla Striscia.
Uscire da Gaza per il trattamento è di vitale importanza, gli ospedali della striscia costiera non sono adeguatamente attrezzati per fornire servizi come la radioterapia.
Come parte della propaganda dello Stato, Israele si ritrae come leader globale nel trattamento e nella ricerca sul cancro. Per promuovere la consapevolezza del cancro al seno nel mese di ottobre, l’aviazione israeliana ha dipinto i suoi aerei da guerra rosa.
L’espediente non ha dato conforto alle donne di Gaza.
“Io non voglio morire”
Alaa Masoud è una mamma di 25 anni che vive nel campo profughi di Jabaliya, anche a lei è stato diagnosticato un cancro al seno. Recentemente le è stato rimosso il seno destro all’ospedale al-Shifa di Gaza City.
I suoi medici hanno dichiarato che lei ha bisogno di consultare gli specialisti che lavorano in Israele o in Cisgiordania. Finora, ha fatto cinque richieste per il permesso di viaggiare attraverso Erez, il posto di blocco militare israeliano sul confine settentrionale di Gaza. Tutte e cinque le sue richieste sono state respinte.
Il rifiuto ha esacerbato la sua sofferenza. Il cancro l’aveva costretta a smettere di allattare il suo bambino Amir.
“Io non voglio morire”, ha detto. “Voglio vedere il mio bambino crescere fino a diventare un bel giovane uomo.”
Viaggiare attraverso Erez è praticamente l’unica possibilità per i residenti di Gaza che necessitano di cure che non possono ricevere negli ospedali e nelle cliniche della Striscia.
Fino a poco tempo fa, molti pazienti si curavano in Egitto. Adesso con la quasi costante chiusura del valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto c’è stato un netto calo del numero di palestinesi che possono recarsi in Egitto per le cure.
Gruppi per i diritti umani hanno a lungo documentato come Israele ha, in effetti, cercato di ricattare i palestinesi che sono gravemente malati. A numerosi pazienti è stato proposto il permesso a viaggiare per le potersi curare a condizione di diventare informatori per lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna di Israele.
Dalia Abu Skhaila, una donna malata di cancro al seno di 34anni proveniente dal sud della zona di Khan Younis di Gaza, ha riferito che gli agenti israeliani a Erez hanno cercato di reclutarla come un informatrice su una serie di eventi. Lei ha rifiutato di accettare tale ricatto e le è stato bloccato il viaggio.
“Morire a Gaza è molto più facile che tradire il mio popolo e il mio paese”, ha detto.
Educazione
Nonostante gli ostacoli che Israele ha creato per il trattamento, gli operatori sanitari a Gaza stanno cercando di sensibilizzare per aumentare la consapevolezza del cancro al seno.
Secondo Khaled Thabet, che dirige il dipartimento di oncologia di al-Shifa, una delle principali sfide che si devono affrontare è che quando viene rilevato il cancro al seno è spesso in fase avanzata, rendendo il trattamento difficile. Per aiutare la diagnosi precoce, lei e altri medici stanno incoraggiando le donne a sottoporsi a test periodici.
“C’è una mancanza di una cultura di prevenzione”, ha detto.
Hala al-Talmas, una trentacinquenne che vive nel campo di Jabaliya, è stata riluttante ad avere un check-up quando, soprattutto di notte, ha cominciato ad avvertire lievi dolori al suo seno destro.
Un’ amica con la quale si era confidata, l’aveva spronata a vedere un medico. Eppure Hala ha evitato di farlo fino a un paio di mesi più tardi. Quando i dolori sono diventati più forti, ha notato un piccolo nodulo nel suo seno. Hana si confidò con la madre, Hania, e fu allora visitata all’ospedale al-Shifa. Il personale scoprì così che aveva un piccolo nodulo nel suo seno e diagnosticò un cancro.
Quando un medico chiese ad Hala perché avesse aspettato così a lungo, lei rispose che aveva avuto paura.
Con l’aiuto della sua famiglia allargata, riuscì a raccogliere abbastanza denaro per l’operazione e le fu asportato il seno. Hala dopo l’operazione iniziò la chemioterapia. Dopo poche settimane di trattamento fu colpita da un ictus e morì.
“Avrei voluto che mia figlia fosse stata più consapevole e che fosse stata visitata da un medico nelle prime fasi della sua malattia”, ha detto Hania, la madre di Hala.
Medicina sotto assedio
Il cancro al seno è una delle principali cause di morte tra le donne di Gaza, secondo il ministero della salute. Quasi 750 casi di cancro al seno sono stati rilevati nel 2015.
Le autorità di Gaza promuovono campagne di sensibilizzazione per educare le donne sul cancro al seno.
The Electronic Intifada ha chiesto ad un campione di 200 donne di Gaza se avessero frequentato campagne. Circa il 90 per cento delle donne – di età compresa tra 25-65 anni- ha risposto di no.
“Ho una paura di queste campagne e non le frequento”, ha detto Doaa al-Shami, una donna di 31 anni. “Ho partecipato una sola volta da quando mi sono sposata.”
Le autorità sanitarie di Gaza stanno lottando per far fronte agli effetti dell’assedio che Israele ha imposto sul territorio da quasi un decennio.
Le attrezzature sanitarie sono state spesso bloccate alla frontiera di Gaza, i farmaci vitali scarseggiano.
Ahmed El Shorafa, capo del dipartimento di oncologia presso l’ European Hospital a Rafah, una città nel sud di Gaza, ha detto che “I problemi che affliggono il ministero della salute qui sono evidenti. Essi sono causati da scarsità di denaro e attrezzature. Abbiamo bisogno di più presidi sanitari e più personale per fornire l’educazione alla salute in tutta Gaza.”
(CNN) L’ex presidente Jimmy Carter invita l’amministrazione Obama a riconoscere lo Stato Palestinese prima di lasciare l’incarico previsto per il 20 gennaio 2017.
Carter, forte sostenitore per i diritti dei palestinesi e di una soluzione a due stati tra israeliani e palestinesi, lunedì in un editoriale su New York Times ha elogiato l’amministrazione Obama per il suo sostegno alla “negoziazione per la fine del conflitto basata sui due Stati,” ma ha avvertito che questo lavoro potrebbe essere vanificato dalla nuova amministrazione repubblicana.
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