Habima Theater e la necessità di un boicottaggio culturale di Israele

L’imminente esibizione del teatro nazionale nella colonia di Kiryat Arba dimostra che il boicottaggio contro l’attività israeliana in Cisgiordania da solo non potrà mai destabilizzare l’occupazione.‭

teatro

30 ottobre 2016 Scritto da Michel Warschawski

Quante volte siamo stati attaccati come sostenitori del movimento di Boicottaggio,‭ ‬Disinvestimento e Sanzioni‭ (‬BDS‭) ‬per aver sostenuto il boicottaggio accademico e culturale di Israele‭? ‬Decine di volte,‭ ‬anche dai cosiddetti attivisti di sinistra.‭

Leggi tutto “Habima Theater e la necessità di un boicottaggio culturale di Israele”

Speed Sister: incrociare la vita nella Palestina occupata

 

Dorgham Abusalim Novembre 2016

“L’odore del gas lacrimogeno mi ricorda la mia infanzia”, dice Maysoon Jayyusi, la coach della squadra palestinese di auto da corsa tutta al femminile nel film documentario intitolato Speed Sisters. E’ con queste parole che la regista Amber Fares pone le basi per l’eccitante giro delle quattro compagne di squadra attraverso la Cisgiordania, incrociando gli stereotipi di uno sport dominato dagli uomini con quelli di una società sotto occupazione straniera.

Le Speed Sisters, Marah, Noor, Mona e Betty sono la prima squadra femminile nelle corse automobilistiche in Medio Oriente e star del film. Anche se condividono una comune passione per le auto da corsa, lo sport, per ognuna di loro, ha un significato diverso. “I miei genitori mi danno tutto quello che hanno. Sento di avere una responsabilità.”, dice Mara, il cui impegno di principio nello sport è che non può non essere una sfida. Suo nonno, tanto per fare un esempio, si lamenta del fatto che “la gente parla.” Come in ogni società in cui le donne devono affrontare ruoli di parità di genere, il nonno di Marah considera la sua carriera con le auto da corsa come insignificante rispetto al fare qualcosa di “più prezioso.” Ciò nonostante, Marah gode del sostegno del padre che ritiene che il disagio che i palestinesi affrontano sotto occupazione li costringe a innovarsi, anche se questo comporta un impegnativo cambio di certe vedute profondamente radicate.

3

Il team deve lottare anche con uno spazio limitato per correre e provare: con i posti di blocco israeliani che attraversano la Cisgiordania, trovare strade adatte su cui provare e competere non è compito facile. Spostarsi può diventare un incubo logistico, come spiega Maysoon, soprattutto quando “i bambini tirano pietre e i soldati [israeliani] tirano pallottole.” Il racconto e le inquadrature ironiche sanno riassumere l’intera dinamica dell’occupazione israeliana e la determinazione palestinese a vivere una vita normale: le Sisters spesso fanno girare le loro ruote in un’area adiacente alla famigerata prigione israeliana di Ofer dove si stima che 1.250 palestinesi, tra cui dei bambini, siano imprigionati, il più delle volte senza accusa né processo. Capita anche che durante le loro prove nei pressi di Ofer, Betty venga colpita e leggermente ferita da una bomboletta di gas sparata a distanza ravvicinata da un soldato israeliano di pattuglia nella zona.

Emerge anche la rivalità tra Mara e Betty, che smaschera i favoritismi da parte della tutta al maschile Federation Motor Sports palestinese. La coach Maysoon è pienamente consapevole del fatto che la sua squadra “può essere vista come una minaccia” che può dirottare opportunità e sponsorizzazioni verso le Sisters. Spesso “scende a compromessi” per far sì che gli uomini “si sentano come se fossero al comando.” A un certo punto durante il film, la carriera sportiva di Marah arriva ad una battuta d’arresto a causa dell’inosservanza da parte della federazione dei suoi stessi regole e regolamenti. “I giudici pensano solo allo spettacolo”, si lamenta dopo che le regole sono state piegate per favorire un’altra concorrente. Nonostante la battuta d’arresto, torna alle sgommate in pista per riconquistare il suo titolo di campionessa nella categoria femminile.

Anche se al di fuori delle loro famiglie e degli ambienti professionali le reazioni al team sono in gran parte positive, le Sisters si trovano comunque a dover affrontare detrattori. In una scena Noor legge ad alta voce da Facebook. “Tu sei un segno della fine dei tempi”, dice un commento. Un altro consiglia alle Sisters di “resistere [all’occupazione] con le pietre, non con lo sport e la moda.” Nonostante queste osservazioni, le Sisters sono sicure di sé nel tracciare il loro percorso.

Il film è accompagnato dalla musica di una compilation dinamica di artisti mediorientali dagli stili e backgrounds diversi. Caratterizzato da colonne sonore di Apo and the Apostles, DAM e altri, il documentario di Fares utilizza canzoni che rendono realisticamente una piacevole e divertente storia a lieto fine , senza mai perdere di vista gli ostacoli sullo sfondo. Ostacoli che non solo sono limitati all’occupazione. In realtà, gli spettatori che hanno familiarità con i recenti sviluppi palestinesi non possono non vedere la connessione con lo stato generale delle politiche palestinesi in tutte le controversie su norme e regolamenti.

Questa combinazione di una buona storia di vita vissuta e un contesto politico oscuro è abbastanza rara e nel caso di Speed Sisters lo spettatore è invitato a guardare i palestinesi come un qualsiasi altro gruppo di persone con sogni, ambizioni e gli innumerevoli ostacoli che si incontrano sulla strada per la loro realizzazione. Come ripete Maysoon i palestinesi, semplicemente, non possono portare la loro vita a una battuta d’arresto perchè c’è l’occupazione. Il documentario è un delizioso ritratto di straordinaria determinazione e redenzione.

 

 

 

Trad.  Invictapalestina.org

Fonte: http://blog.palestine-studies.org/2016/10/12/speed-sisters-cruising-through-life-in-occupied-palestine/

Video: La bandiera gigante in onore della Palestina che ha infiammato l’Estadio Monumental

28 ottobre 2016 • Fuente: El Desconcierto – Chile

La squadra a questo punto è diventata molto più di un club e per molti rappresenta la lotta palestinese contro il giogo di Israele. Tanto che centinaia di tifosi di altre squadre, anche con le magliette del Colo Colo o altre, sono venuti a sostenere il Palestino.

bandiera

Palestino, la squadra di calcio cilena, è diventata un simbolo per tutti coloro che, in Cile e nel mondo, desiderano la liberazione del popolo palestinese.

Anche in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza, alcuni palestinesi hanno seguito le campagne internazionali del club de La Cisterna, particolarmente positive negli ultimi tempi.

Così, la bandiera srotolata giovedì allo stadio Monumental ha acquistato un sapore speciale. Il gigantesco emblema di cinquanta metri ha infiammato le 12.000 persone presenti che hanno applaudito all’impazzata durante la partita di ritorno dei quarti di finale della Coppa Sudamericana.

Le immagini sono state trasmesse su vari social legati al movimento filopalestinese nel mondo, mettendo in evidenza l’omaggio dei tifosi cileni.

La squadra, a questo punto, è diventata molto più di un club e per molti rappresenta la lotta palestinese contro il giogo di Israele. Tanto che centinaia di appassionati di altre squadre, anche con le magliette del Colo Colo o altre, sono venuti a sostenere il Palestino.

Purtroppo, non ce l’hanno fatta a passare la semifinale del torneo internazionale con la vittoria di solo 1-0 contro la squadra vincente Trasandino, che si era guadagnata un vantaggio di due gol nella gara di andata.

 

Trad. Simonetta Lambertini

Fonte: http://www.palestinalibre.org/articulo.php?a=62532

Facebook “ha deliberatamente preso di mira” gli account palestinesi dopo l’incontro con il governo di Israele, dicono gruppi per i diritti

palestine-facebook
Immagine usata dagli attivisti che si oppongono ai recenti blocchi e restrizioni degli account Facebook di attivisti e giornalisti palestinesi

Bethan McKernan Beirut, Tuesday 25 October 2016

Il gigante dei social media è accusato di avere disattivato gli account di attivisti e giornalisti dopo i colloqui tenuti il mese scorso con ministri israeliani su come affrontare il problema dell’ ‘incitamento’ sulla piattaforma.

Un nuovo rapporto di un’organizzazione palestinese per i diritti ha rivelato che il numero di casi in cui persone – tra cui molti giornalisti – sono state arrestate a causa di loro post sui social media è drasticamente aumentato nel corso dell’ultimo anno, provocando preoccupazioni per il giro di vite israeliano praticato contro la libertà di espressione.

“I siti dei social media sono… una finestra efficace che permette a giornalisti e palestinesi in genere, di aumentare le loro possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni,” ha detto Mousa Rimawi, autore del rapporto e direttore del Centre for Development and Media Freedoms – Mada, (Centro palestinese per lo sviluppo e le libertà sui media).

“[Ma] le sistematiche sorveglianza e osservazione da parte delle autorità di occupazione israeliane [dimostra che sono diventati] piattaforme aperte alla persecuzione e all’oppressione delle opinioni degli utenti.”

Sebbene non vi sia alcun precedente legale nel diritto israeliano di accuse a persone per reati connessi ai post online, lo stato, preoccupato che accesi contenuti online possano aver potuto alimentare il picco di violenza israelo-palestinese degli ultimi 12 mesi, nell’ottobre del 2015  ha creato un’unità di crimine informatico per monitorare e controllare ciò che viene pubblicato su Internet.

Inoltre, le autorità israeliane stanno facendo pressione sulle società di social media perché aumentino il loro impegno nell’eliminare post che possano incitare alla violenza, oltre a redigere leggi – che gruppi per i diritti digitali affermano essere impraticabili – per costringere le piattaforme ad abbattere i contenuti che potrebbero incitare alla violenza.

Una delegazione di Facebook si era incontrata a settembre con i funzionari del governo per quelli che il ministro dell’Interno, Gilad Erdan, aveva definito colloqui ‘riusciti’.  “L’estremismo online può essere affrontato solo con una forte collaborazione tra i responsabili politici, la società civile, il mondo accademico e le imprese, e questo vale per tutto il mondo”, disse un rappresentante di Facebook, aggiungendo che la società si incontra con i governi di tutto il mondo per combattere l’istigazione all’odio e l’incitamento alla violenza.

Questa settimana, il collettivo di attivisti del Palestinian Information Centre (PIC) ha riferito che almeno 10 degli account di loro amministratori sulle pagine Facebook in arabo e in inglese – seguite da più di due milioni di persone – sono stati sospesi – sette in modo permanente – e dicono che questo è il risultato delle nuove misure messe in atto in seguito all’incontro di Facebook con Israele.

“Facebook non ha dato alcuna spiegazione in che cosa i nostri membri avessero violato i ‘Community Standards’ di Facebook,” ha riferito a The Independent Rami Salaam, membro del PIC. La mossa è stata fatta per  “impedire alla nostra voce di raggiungere il mondo, l’incitamento non c’entra,” ha detto.

Rami Salaam ha detto che è stato rimosso il video di un laureato di Gaza che sta avviando una piccola impresa, perché contenente scene di nudo – cosa non vera. “Sembrerebbe che il video sia stato segnalato da israeliani e che Facebook non si sia nemmeno preso la briga di andare a controllare”, ha aggiunto. Un rappresentante di Facebook ha detto a The Independent di stare verificando il reclamo presentato dal PIC.

“Abbiamo a cuore le voci, le opinioni e i diritti di tutte le diverse comunità che si trovano su Facebook”, ha aggiunto. “Le voci palestinesi saranno al sicuro su Facebook come ogni altra comunità che si trova sulla nostra piattaforma.”

Un rapporto del 2015 ha rivelato che il 96 % dei palestinesi ha detto di usre Facebook  principalmente per seguire le notizie. Il Mada afferma che questo dimostra quale sia l’estrema importanza delle piattaforme di social media e quale potrebbe essere il potenziale impatto prodotto dalla disattivazione degli account degli attivisti e dei giornalisti sulla diffusione delle informazioni che riguardano gli interessi palestinesi.

Dallo scorso ottobre ci sono stati almeno 150 arresti con l’accusa di ‘incitamento’, ma i palestinesi e il monitoraggio dei diritti digitali dicono che in molti casi i post non sono pertinenti, oppure esprimono critiche alla politica del governo di Israele, non chiamate dirette alla violenza.

Dal 2014, 61 giornalisti palestinesi e 9 giornalisti israeliani sono stati processati per post messi online, ha rivelato il nuovo rapporto del Mada.

In agosto a Hebron, cinque giornalisti della start-up Sanabel Radio sono stati arrestati durante un raid all’alba in quello che un portavoce dell’esercito israeliano ha detto essere un “continuo impegno contro l’incitamento”.

Il mese scorso, diversi autorevoli giornalisti delle agenzie di stampa Shehab e Quds in Cisgiordania, hanno segnalato che i loro account di Facebook – utilizzati per aggiornare pagine professionali che raggiungono milioni di persone – erano stati temporaneamente sospesi; facendo poi marcia indietro, Facebook ha più tardi detto che si era trattato di un errore.

Anche i ‘mi piace’ e le ‘condivisioni’ su Facebook sono stati presentati come prova nei processi militari per incitamento; in Cisgiordania l’associazione di assistenza legale Addameer ha riferito a The Independent, come all’inizio di questo mese un professore palestinese di astrofisica sia stato condannato per supporto al gruppo militante di Hamas.

sanabel-radi-palestine
L’ufficiodella radio Sanabel dopo il raid dell’esercito israeliano

“I pubblici ministeri utilizzano i numeri di ‘Mi piace’ e le ‘condivisioni’ di precisi post, senza collegare questi post o questi individui ad atti di violenza. La tendenza è allarmante “, disse all’epoca a The Independent il direttore di Addameer, Sahar Francis. La Forza di Difesa israeliana non rispose subito ad una richiesta di commento.

Molti palestinesi hanno chiesto il boicottaggio della società in considerazione della sua complicità con le autorità israeliane e preoccupati che l’attività di Facebook possa essere utilizzata per colpire gli attivisti.

Rami Salaam del PIC ha detto che Facebook è una piattaforma troppo importante  perché il gruppo la abbandoni.

“Anche se ci sentiamo frustrati e confusi, siamo ancor più determinati a continuare il nostro attivismo per la Palestina … Utilizziamo tutte le piattaforme disponibili, anche quelle che cercano di metterci a tacere; per rendere sicura la voce della Palestina occorre che si senta forte e chiara”, ha detto.

 

Trad. Invictapalestina.org

Fonte: http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/israel-palestine-facebook-activist-journalist-arrests-censorship-accusations-incitement-a7377776.html

Il papiro con la più antica citazione di Gerusalemme è probabilmente un falso, dicono gli esperti

papyrus
Netanyahu mostra il papiro: “Una cartolina dal passato all’UNESCO” – credit: Ilan Assayag

Nir Hasson, 28 ottobre  2016 – 10:00 AM
Gli archeologi sono soliti diffidare di eventuali reperti che non siano stati ritrovati in uno scavo sorvegliato, anche se il Dipartimento israeliano delle antichità insiste a dire che l’antica pergamena è autentica.

Gli studiosi stanno mettendo in discussione l’autenticità di ciò che il Dipartimento israeliano delle antichità (Israel Antiquities Authority) dice essere un documento su papiro di 2.800 fa che riporta la parola “Gerusalemme” in ebraico, presentato mercoledì dal dipartimento.

Il papiro è stato trovato quattro anni fa mentre si seguivano dei ladri di antichità nel deserto della Giudea e datato al settimo secolo B.C.E. (Bachelor of Chemical Engineering), a dire del dipartimento dell’antichità; fatto che ne farebbe la prima citazione  conosciuta di Gerusalemme in ebraico al di fuori della Bibbia. Il frammento sembra essere un documento riguardante una spedizione di vino da Na’arat, nella Valle del Giordano, al re di Gerusalemme.

Parlando mercoledì presso il Centro Interdisciplinare, Herzliya, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha lodato il ritrovamento, definendolo “una cartolina dal passato all’Unesco”, riferendosi alla recente risoluzione dell’organizzazione che ignora il collegamento fra giudaismo e Monte del Tempio.

Non si sa bene dove i ladri abbiano trovato il documento, anche se sembra provenire da una grotta lungo l’Hever Stream nel deserto della Giudea. Gli archeologi sono soliti diffidare di eventuali reperti non ritrovati in uno scavo sorvegliato.

Ma in questo caso, gli studiosi che lo hanno studiato – il Prof. Shmuel Ahituv della Hebrew University, il dottor Klein Eitan e Amir Ganor del Dipartimento delle antichità – sono convinti che sia autentico. La datazione al Carbonio14 ha dimostrato che il papiro è stato realizzato da 2.500 a 2.800 anni fa e un esame epigrafico ha concluso che le lettere sono tipiche della scrittura ebraica del VII secolo B.C.E.

L’intero papiro con la prima menzione di Gerusalemme al di fuori della Bibbia. La sua provenienza non è chiara, ma gli esperti credono che sia un vero e proprio ed estremamente raro documento databile al regno di Giuda Shai Halevi. Dipartimento israeliano delle antichità.

Ma giovedì, in occasione della riunione di una conferenza del dipartimento delle antichità sulle Innovazioni nell’archeologia di Gerusalemme e della sua regione, l’archeologo Prof. Aren Maeir della Bar-Ilan University ha messo in dubbio l’autenticità del documento. Ha inoltre attaccato il dipartimento per la sua decisione di renderlo pubblico, anche se “era già chiaro in anticipo che avrebbe suscitato polemiche.”

Maeir ha detto che ci sono troppe domande senza risposta circa il papiro. “Come facciamo a sapere che non è un falso destinato al mercato antiquario?» Ha domandato, aggiungendo che i falsari potrebbero avere “sacrificato” deliberatamente questo documento per preparare la strada alla vendita di altri papiri che avrebbero “scoperto” più avanti.

Il fatto che la datazione al  carbonio14 abbia dimostrato l’età del papiro “non è sufficiente”, ha aggiunto. “Dopo tutto, ci sono casi noti in cui la scrittura è stata falsificata su un antico supporto”, ha detto. “Ci sono grandi probabilità che solo il papiro in sé sia antico.”

“A mio modesto parere, è lampante la necessità di ulteriori test, soprattutto se è un ente governativo che lo pubblica e gli dà un marchio di approvazione. Perché attendere le argomentazioni e solo dopo fare i test supplementari? Si sarebbero dovuti fare prima.”

Anche il Prof. Christopher Rollston della George Washington University ha espresso scetticismo, scrivendo sul suo blog di credere che il documento sia falso.

“Il fatto che il papiro stesso sia stato datato col carbonio al 7° secolo BCE, di certo non vuol dire che la scrittura sul papiro sia antica,” ha scritto. “Anzi, in realtà non significa nulla. Dopo tutto, un antico papiro si può facilmente trovare disponibile per l’acquisto online (controllare il web e vedere!), in tal modo, nessun falsario moderno con un po’ di sale in zucca si metterebbe a realizzare una scritta su un papiro moderno”.

Ahituv, ha comunque respinto gli argomenti dei suoi critici. In primo luogo, ha detto, il papiro era ripiegato quando è stato trovato, il che sembrerebbe rendere improbabile la contraffazione. “Potrebbe un falsario comprare un papiro antico, asciutto, fragile, scriverci sopra un testo tipico del VII secolo e poi piegarlo e legarlo con una corda e, quindi, mettere in pericolo tutto il suo lavoro?» ha domandato.

Anche lo stesso testo suggerisce che non è un falso, ha continuato. Lui e i suoi colleghi hanno letto il testo come “[me-a]mat. ha-melekh. me-Na’artah. nevelim. yi’in. Yerushalima,” che significa
“Dalla serva del re, da Na’arat, giare di vino, a Gerusalemme “.

Ma sia “Na’artah” che “Yerushalima” sono parole molto rare e quindi è improbabile che si tratti di un falsario”, anche se fosse un esperto della Bibbia”, ha detto Ahituv. “Se fossi un falsario, sceglierei un testo più impressionante”, ha aggiunto.

Anche Ganor ha respinto le critiche. “Abbiamo cercato in ogni modo possibile di controllare il papiro”, ha detto. “Abbiamo utilizzato gli stessi metodi usati per controllare i Rotoli del Mar Morto. Se qualcuno ha un altro metodo è invitato ad applicarlo. Noi, come Paese, siamo stati obbligati a mettere le mani su questo papiro e sono certo che sia autentico”.

 

trad. Simonetta Lambertini

Fonte:http://www.haaretz.com/jewish/archaeology/.premium-1.749603