A differenza dei veri negazionisti occidentali dell’Olocausto, i palestinesi vedono affinità tra le loro vittime e quelle della Germania nazista. In questo, non c’è alcun crimine su cui indagare.
Ciò che richiede davvero un’indagine e una condanna urgenti è il continuo sfruttamento e denigrazione della memoria dell’Olocausto da parte di Israele per segnare punti politici a buon mercato contro i palestinesi, mettere a tacere i critici e nascondere la vera portata dei suoi numerosi massacri, dell’occupazione militare criminale e del regime razzista di apartheid.
di Ramzy Baroud, 31 agosto 2022
Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas(sinistra)con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.(Photo: via Abbas FB Page)
“Non c’è stato nessun massacro a Jenin” era il titolo di un editoriale di Haaretz del 19 aprile 2002, una settimana dopo che Israele aveva posto fine al suo attacco mortale al campo profughi palestinese assediato nella Cisgiordania settentrionale.
La conclusione ingiustificata di Haaretz, di altri media israeliani e, in definitiva, di numerosi organi di stampa occidentali non è stata il risultato di un’indagine approfondita condotta da una commissione d’inchiesta indipendente.Il 9 aprile, infatti, Israele aveva impedito a un convoglio delle Nazioni Unite di raggiungere il campo di Jenin e, il 30 aprile, Israele ha ufficialmente bloccato un’inchiesta delle Nazioni Unite sulle uccisioni. L’affermazione apparentemente conclusiva di Haaretz è stata il risultato di due tipi di prove arbitrarie: l’affermazione dell’esercito israeliano di non aver commesso un massacro a Jenin e il fatto che il numero delle vittime palestinesi è stato declassato da una stima di centinaia di morti a decine di morti .
Nello stesso Israele, “molti temevano che Jenin venisse aggiunta alla lista nera dei massacri che hanno sconvolto il mondo”, ha riferito Haaretz con evidente sollievo. Sebbene Israele abbia commesso numerosi crimini e massacri contro palestinesi prima dell’aprile 2002, e molti altri dopo quella data, gli israeliani rimangono confortati dalla loro persistente illusione di essere ancora dalla parte giusta della storia.
Coloro che hanno insistito sull’uso della frase “massacro di Jenin” sono stati attaccati e diffamati, non solo dai media e dai funzionari israeliani, ma anche dai media occidentali. Accusare Israele di aver massacrato palestinesi era equiparato alla sempre prevedibile etichetta di “antisemitismo”.
Questa accusa era la stessa etichetta scatenata contro coloro che accusavano Israele di responsabilità per i massacri di Sabra e Shatila, che uccisero migliaia di palestinesi e libanesi nel settembre 1982. Commentando l’orribile bagno di sangue nei campi profughi del Libano meridionale, l’allora Primo Ministro israeliano , Menachem Begin, ribatté: “I goyim uccidono i goyim, e vengono per impiccare gli ebrei”.
Sebbene sia stato Begin a ordinare l’invasione del Libano che ha ucciso circa 17.000 palestinesi e libanesi, si sentiva ancora completamente innocente e riteneva che le accuse presumibilmente infondate fossero l’ennesima retorica antisemita, che prendeva di mira non solo Israele, ma tutti gli ebrei, ovunque. Ironia della sorte, la Commissione Kahan ufficiale israeliana ritenne il ministro della Difesa israeliano dell’epoca, il generale Ariel Sharon, “indirettamente responsabile del massacro”. Significativamente, Sharon in seguito divenne il Primo Ministro di Israele.
La recente furia mediatica generata contro il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per aver usato la parola “Olocausto” nel descrivere i crimini israeliani contro i palestinesi dovrebbe, quindi, essere collocata nel contesto di cui sopra, non nella parola stessa.
In effetti, molti israeliani hanno piena familiarità con l’uso della parola “olocausto” nei media arabi, poiché varie organizzazioni filo-israeliane monitorano i media arabi e palestinesi come d’abitudine. Devono aver già incontrato molti riferimenti simili all'”olocausto siriano”, all'”olocausto iracheno”, all'”olocausto palestinese” e così via.
In arabo, l’uso della parola “olocausto” finì per rappresentare qualcosa di equivalente a un orribile massacro, o molti massacri. A differenza di “mathbaha”, che significa “massacro”, l’olocausto ha un significato più profondo e straziante. Se non altro, l’uso della parola accentua ulteriormente la crescente comprensione che gli arabi provano nei confronti dell’uccisione di massa degli ebrei e di altre minoranze vulnerabili da parte dei nazisti tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Non nega, respinge né tenta di sostituire il riferimento agli spregevoli crimini di Adolf Hitler.
Basta infatti una semplice analisi discorsiva del riferimento di Abbas per chiarire le sue intenzioni. Parlando in arabo, il leader palestinese ha detto: “Dal 1947 ad oggi, Israele ha commesso 50 massacri in villaggi e città palestinesi… 50 massacri, 50 olocausti e fino ad oggi, e ogni giorno ci sono vittime uccise dall’esercito israeliano”.
È improbabile che Abbas si riferisse a 50 massacri specifici perché, francamente, se cosi fosse, allora si sbagliava di sicuro, poiché molti altri massacri sono stati commessi nel periodo da lui specificato. A parte la Nakba, Jenin e molte di queste uccisioni di massa, solo le guerre israeliane a Gaza nel 2008-9 e nel 2014 hanno assistito all’uccisione combinata di quasi 3.600 palestinesi, per lo più civili. Intere famiglie a Jabaliya, Beit Hanoun, Rafah, Khan Younis, Zeitun, Buraij e altrove hanno perso la vita in queste “guerre” unilaterali contro una popolazione assediata.
Abbas stava semplicemente spiegando che i crimini israeliani contro i palestinesi sono molti e non sono ancora finiti. Le sue osservazioni (di Abbas), pronunciate in una conferenza stampa a Berlino con il cancelliere tedesco Olaf Scholtz, erano una risposta a una strana domanda di un giornalista tedesco sul fatto che Abbas fosse pronto o meno a scusarsi per l’uccisione di 11 atleti israeliani ai Giochi Olimpici di Monaco del 1972 .
La domanda era strana perché il gruppo che aveva compiuto l’attacco era un gruppo palestinese marginale che non rappresentava l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), la leadership palestinese in esilio all’epoca. Ma anche perché, circa una settimana prima dell’incontro Abbas-Scholz, Israele aveva ucciso 49 palestinesi, per lo più civili, inclusi 17 bambini nella sua ultima guerra non provocata a Gaza.
Sarebbe stato più appropriato per il giornalista curioso chiedere ad Abbas se avesse ricevuto scuse da parte di Israele per aver ucciso civili palestinesi; o, forse, chiedere a Scholz se Berlino è pronta a scusarsi con il popolo palestinese per il suo cieco sostegno militare e politico a Tel Aviv. Niente di tutto questo, ovviamente. Invece, è stato Abbas ad essere attaccato e svergognato per aver osato usare il termine “olocausto”, soprattutto in presenza del leader tedesco che, a sua volta, è stato anche rimproverato dai media e dai funzionari israeliani per non aver risposto ad Abbas in quel momento.
Per evitare una crisi politica con Israele, Scholz ha twittato il giorno seguente, di quanto fosse “disgustato” dalle “osservazioni oltraggiose” fatte da Abbas. Ha condannato il leader palestinese per il “tentativo di negare il crimine dell’Olocausto”, e così via.
Prevedibilmente, i leader israeliani hanno apprezzato il momento. Invece di essere ritenuti responsabili dell’uccisione di civili palestinesi, si sono trovati in una posizione in cui presumibilmente godevano di una superiorità morale. Il primo ministro israeliano Yair Lapid si è infuriato contro la “vergogna morale” e la “menzogna mostruosa” di Abbas. Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz si è unito, descrivendo le parole di Abbas come “spregevoli”. Anche l’inviata speciale del Dipartimento di Stato americano per monitorare e combattere l’antisemitismo, Deborah E. Lipstadt, si è lanciata nella mischia, accusando Abbas di “distorsione dell’Olocausto” che “alimenta l’antisemitismo”.
Nonostante le rapide scuse di Abbas, i tedeschi hanno inasprito la loro posizione con la polizia di Berlino che avrebbe “aperto un’indagine preliminare” contro Abbas per il suo uso del termine “50 olocausti”. Le ripercussioni di questi commenti sono ancora in corso.
In verità, i palestinesi – funzionari, accademici o giornalisti – non negano l’Olocausto, ma usano piuttosto il termine per sottolineare la loro continua sofferenza per mano di Israele. A differenza dei veri negazionisti occidentali dell’Olocausto, i palestinesi vedono affinità tra le loro vittime e quelle della Germania nazista. In questo, non c’è alcun crimine su cui indagare.
Ciò che richiede davvero un’indagine e una condanna urgenti è il continuo sfruttamento e denigrazione della memoria dell’Olocausto da parte di Israele per segnare punti politici a buon mercato contro i palestinesi, mettere a tacere i critici e nascondere la vera portata dei suoi numerosi massacri, dell’occupazione militare criminale e del regime razzista di apartheid.
Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”(La nostra visione per la liberazione: i leader palestinesi coinvolti e gli intellettuali parlano). Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net
traduzione di Nicole Santini