INDAGINI SULLA VITTIMA: sull’”Olocausto” di Abbas e la depravazione dell’Hasbara israeliana

A differenza dei veri negazionisti occidentali dell’Olocausto, i palestinesi vedono affinità tra le loro vittime e quelle della Germania nazista. In questo, non c’è alcun crimine su cui indagare.

Ciò che richiede davvero un’indagine e una condanna urgenti è il continuo sfruttamento e denigrazione della memoria dell’Olocausto da parte di Israele per segnare punti politici a buon mercato contro i palestinesi, mettere a tacere i critici e nascondere la vera portata dei suoi numerosi massacri, dell’occupazione militare criminale e del regime razzista di apartheid.

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di Ramzy Baroud, 31 agosto 2022

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas(sinistra)con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.(Photo: via Abbas FB Page)

“Non c’è stato nessun massacro a Jenin” era il titolo di un editoriale di Haaretz del 19 aprile 2002, una settimana dopo che Israele aveva posto fine al suo attacco mortale al campo profughi palestinese assediato nella Cisgiordania settentrionale.

La conclusione ingiustificata di Haaretz, di altri media israeliani e, in definitiva, di numerosi organi di stampa occidentali non è stata il risultato di un’indagine approfondita condotta da una commissione d’inchiesta indipendente.Il 9 aprile, infatti, Israele aveva impedito a un convoglio delle Nazioni Unite di raggiungere il campo di Jenin e, il 30 aprile, Israele ha ufficialmente bloccato un’inchiesta delle Nazioni Unite sulle uccisioni. L’affermazione apparentemente conclusiva di Haaretz è stata il risultato di due tipi di prove arbitrarie: l’affermazione dell’esercito israeliano di non aver commesso un massacro a Jenin e il fatto che il numero delle vittime palestinesi è stato declassato da una stima di centinaia di morti a decine di morti .

Nello stesso Israele, “molti temevano che Jenin venisse aggiunta alla lista nera dei massacri che hanno sconvolto il mondo”, ha riferito Haaretz con evidente sollievo. Sebbene Israele abbia commesso numerosi crimini e massacri contro palestinesi prima dell’aprile 2002, e molti altri dopo quella data, gli israeliani rimangono confortati dalla loro persistente illusione di essere ancora dalla parte giusta della storia.

Coloro che hanno insistito sull’uso della frase “massacro di Jenin” sono stati attaccati e diffamati, non solo dai media e dai funzionari israeliani, ma anche dai media occidentali. Accusare Israele di aver massacrato palestinesi era equiparato alla sempre prevedibile etichetta di “antisemitismo”.

Questa accusa era la stessa etichetta scatenata contro coloro che accusavano Israele di responsabilità per i massacri di Sabra e Shatila, che uccisero migliaia di palestinesi e libanesi nel settembre 1982. Commentando l’orribile bagno di sangue nei campi profughi del Libano meridionale, l’allora Primo Ministro israeliano , Menachem Begin, ribatté: “I goyim uccidono i goyim, e vengono per impiccare gli ebrei”.

Sebbene sia stato Begin a ordinare l’invasione del Libano che ha ucciso circa 17.000 palestinesi e libanesi, si sentiva ancora completamente innocente e riteneva  che le accuse presumibilmente infondate fossero l’ennesima retorica  antisemita, che prendeva di mira non solo Israele, ma tutti gli ebrei, ovunque. Ironia della sorte, la Commissione Kahan ufficiale israeliana ritenne il ministro della Difesa israeliano dell’epoca, il generale Ariel Sharon, “indirettamente responsabile del massacro”. Significativamente, Sharon in seguito divenne il Primo Ministro di Israele.

La recente furia mediatica generata contro il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas per aver usato la parola “Olocausto” nel descrivere i crimini israeliani contro i palestinesi dovrebbe, quindi, essere collocata nel contesto di cui sopra, non nella parola stessa.

In effetti, molti israeliani hanno piena familiarità con l’uso della parola “olocausto” nei media arabi, poiché varie organizzazioni filo-israeliane monitorano i media arabi e palestinesi come d’abitudine. Devono aver già incontrato molti riferimenti simili all'”olocausto siriano”, all'”olocausto iracheno”, all'”olocausto palestinese” e così via.

In arabo, l’uso della parola “olocausto” finì per rappresentare qualcosa di equivalente a un orribile massacro, o molti massacri. A differenza di “mathbaha”, che significa “massacro”, l’olocausto ha un significato più profondo e straziante. Se non altro, l’uso della parola accentua ulteriormente la crescente comprensione che gli arabi provano nei confronti dell’uccisione di massa degli ebrei e di altre minoranze vulnerabili da parte dei nazisti tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Non nega, respinge né tenta di sostituire il riferimento agli spregevoli crimini di Adolf Hitler.

Basta infatti una semplice analisi discorsiva del riferimento di Abbas per chiarire le sue intenzioni. Parlando in arabo, il leader palestinese ha detto: “Dal 1947 ad oggi, Israele ha commesso 50 massacri in villaggi e città palestinesi… 50 massacri, 50 olocausti e fino ad oggi, e ogni giorno ci sono vittime uccise dall’esercito israeliano”.

È improbabile che Abbas si riferisse a 50 massacri specifici perché, francamente, se cosi fosse, allora si sbagliava di sicuro, poiché molti altri massacri sono stati commessi nel periodo da lui specificato. A parte la Nakba, Jenin e molte di queste uccisioni di massa, solo le guerre israeliane a Gaza nel 2008-9 e nel 2014 hanno assistito all’uccisione combinata di quasi 3.600 palestinesi, per lo più civili. Intere famiglie a Jabaliya, Beit Hanoun, Rafah, Khan Younis, Zeitun, Buraij e altrove hanno perso la vita in queste “guerre” unilaterali contro una popolazione assediata.

Abbas stava semplicemente spiegando che i crimini israeliani contro i palestinesi sono molti e non sono ancora finiti. Le sue osservazioni (di Abbas), pronunciate in una conferenza stampa a Berlino con il cancelliere tedesco Olaf Scholtz, erano una risposta a una strana domanda di un giornalista tedesco sul fatto che Abbas fosse pronto o meno  a scusarsi per l’uccisione di 11 atleti israeliani ai Giochi Olimpici di Monaco del 1972 .

La domanda era strana perché il gruppo che aveva compiuto l’attacco era un gruppo palestinese marginale che non rappresentava l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), la leadership palestinese in esilio all’epoca. Ma anche perché, circa una settimana prima dell’incontro Abbas-Scholz, Israele aveva ucciso 49 palestinesi, per lo più civili, inclusi 17 bambini nella sua ultima guerra non provocata a Gaza.

Sarebbe stato più appropriato per il giornalista curioso chiedere ad Abbas se avesse ricevuto scuse da parte di Israele per aver ucciso civili palestinesi; o, forse, chiedere a Scholz se Berlino è pronta a scusarsi con il popolo palestinese per il suo cieco sostegno militare e politico a Tel Aviv. Niente di tutto questo, ovviamente. Invece, è stato Abbas ad essere attaccato e svergognato per aver osato usare il termine “olocausto”, soprattutto in presenza del leader tedesco che, a sua volta, è stato anche rimproverato dai media e dai funzionari israeliani per non aver risposto ad Abbas in quel momento.

Per evitare una crisi politica con Israele, Scholz ha twittato il giorno seguente, di quanto fosse “disgustato” dalle “osservazioni oltraggiose” fatte da Abbas. Ha condannato il leader palestinese per il “tentativo di negare il crimine dell’Olocausto”, e così via.

Prevedibilmente, i leader israeliani hanno apprezzato il momento. Invece di essere ritenuti responsabili dell’uccisione di civili palestinesi, si sono trovati in una posizione in cui presumibilmente godevano di una superiorità morale. Il primo ministro israeliano Yair Lapid si è infuriato contro la “vergogna morale” e la “menzogna mostruosa” di Abbas. Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz si è unito, descrivendo le parole di Abbas come “spregevoli”. Anche l’inviata speciale del Dipartimento di Stato americano per monitorare e combattere l’antisemitismo, Deborah E. Lipstadt, si è lanciata nella mischia, accusando Abbas di “distorsione dell’Olocausto” che “alimenta l’antisemitismo”.

Nonostante le rapide scuse di Abbas, i tedeschi hanno inasprito la loro posizione  con  la polizia di Berlino che avrebbe “aperto un’indagine preliminare” contro Abbas per il suo uso del termine “50 olocausti”. Le ripercussioni di questi commenti sono ancora in corso.

In verità, i palestinesi – funzionari, accademici o giornalisti – non negano l’Olocausto, ma usano piuttosto il termine per sottolineare la loro continua sofferenza per mano di Israele. A differenza dei veri negazionisti occidentali dell’Olocausto, i palestinesi vedono affinità tra le loro vittime e quelle della Germania nazista. In questo, non c’è alcun crimine su cui indagare.

Ciò che richiede davvero un’indagine e una condanna urgenti è il continuo sfruttamento e denigrazione della memoria dell’Olocausto da parte di Israele per segnare punti politici a buon mercato contro i palestinesi, mettere a tacere i critici e nascondere la vera portata dei suoi numerosi massacri, dell’occupazione militare criminale e del regime razzista di apartheid.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”(La nostra visione per la liberazione: i leader palestinesi coinvolti e gli intellettuali parlano). Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

 

traduzione di Nicole Santini

Perchè Israele odia cosi tanto i palestinesi

L’odio israeliano per i palestinesi è forgiato e guidato da tre sentimenti principali.

Israele teme tutto ciò che è la fermezza palestinese, l’unità palestinese, la democrazia palestinese, la poesia palestinese e tutti i simboli nazionali palestinesi, inclusa la lingua, che ha declassato, e la bandiera, che sta cercando di bandire.

Fonte: english version

di Marwan Bishara -Analista politico senior di Al Jazeera – 8 agosto 2022

Immagine di copertina: Una donna cammina tra le macerie di un edificio distrutto dall’ultimo bombardamento israeliano a Gaza [Mahmud Hams/AFP] (AFP)

I palestinesi hanno tutte le ragioni per odiare Israele; è uno stato di apartheid coloniale eretto sulle rovine della loro patria. Ma perché Israele odia così tanto i palestinesi? Li ha terrorizzati, bloccati e imprigionati sadicamente e sistematicamente dopo aver preso il controllo delle loro vite e dei loro mezzi di sussistenza, negando loro i diritti e le libertà fondamentali

La risposta ovvia potrebbe non essere la risposta giusta. Sì, Israele detesta la violenza e il terrorismo palestinese che hanno toccato più di qualche israeliano, ma non è nulla in confronto alla violenza all’ingrosso e al terrore di stato imposto da Israele ai palestinesi, alle guerre vendicative e preventive che periodicamente intraprende nei loro confronti, come ha fatto lo scorso fine settimana.

A mio avviso, l’odio di Israele per i palestinesi è modellato e guidato da tre sentimenti fondamentali: paura, invidia e rabbia.

La paura è un fattore importante: può essere irrazionale ma anche strumentale.

Non dovrebbe sorprendere che Israele abbia continuato a temere i palestinesi anche dopo che ha occupato tutte le loro terre ed è diventata una super potenza regionale e nucleare. Perché la sua paura dei palestinesi non è solo fisica o materiale, è esistenziale.

Sotto il titolo appropriato: “Perché tutti gli israeliani sono codardi”, un editorialista israeliano si è chiesto nel 2014 che tipo di società produce soldati codardi che sparano a giovani palestinesi disarmati da una lunga distanza. Circa quattro anni dopo, nel 2018, è stato davvero surreale vedere i soldati israeliani nascondersi dietro le difese fortificate mentre sparavano a centinaia di manifestanti disarmati per giorni e giorni.

Fondamentalmente Israele è fuggito da Gaza per la paura nel 2005, imponendo un blocco disumano ai due milioni di persone , per lo più rifugiati, che vivono lì.

Israele teme tutto ciò che è la fermezza palestinese, l’unità palestinese, la democrazia palestinese, la poesia palestinese e tutti i simboli nazionali palestinesi, inclusa la lingua, che ha declassato, e la bandiera, che sta cercando di bandire. Israele teme in particolare le madri palestinesi che partoriscono nuovi bambini, che definisce una “minaccia demografica”. Facendo eco a questa ossessione nazionale israeliana per la procreazione palestinese, 12 anni fa uno storico ha avvertito che la demografia è una minaccia alla sopravvivenza dello stato ebraico proprio come un Iran nucleare, ad esempio, perché a suo avviso, i palestinesi potrebbero diventare la maggioranza entro il 2040-2050 .

La paura è anche determinante per uno stato presidio come Israele, noto come “un esercito con un paese annesso”. In un libro che riassume la sua decennale esperienza in Israele, un giornalista americano ha osservato che: “Il governo di oggi vive di paure, la maggior parte delle quali immaginarie o almeno selvaggiamente esagerate, dipingendo Israele come un piccolo paese isolato, solitario, minacciato, sempre sulla difensiva, sempre alla ricerca del prossimo segno di odio da qualche parte, desiderosa di reagire in modo esagerato.

Insomma, la paura genera odio perché, nelle parole di un altro osservatore israeliano, uno Stato che ha sempre paura non può essere libero; nemmeno uno Stato che è plasmato dal messianismo militante e dal razzismo più estremo  contro gli indigeni della terra, non può essere veramente indipendente.

Israele è anche arrabbiato, sempre arrabbiato con i palestinesi per essersi rifiutati di arrendersi e capitolare, per non essere andati via; lontano. Israele, a tutti gli effetti, ha vinto tutte le sue guerre dal 1948 ed è diventata una superpotenza regionale, costringendo i regimi arabi a inchinarsi per l’umiliazione. Eppure i palestinesi continuano a negare la vittoria agli israeliani, non si sottometteranno; non si arrenderanno, anzi, continueranno a resistere, qualunque cosa accada.

Israele ha le potenze mondiali dalla sua parte, con gli Stati Uniti in tasca, l’Europa al seguito  e i regimi arabi che gli fanno la corte. Ma i palestinesi isolati – e persino dimenticati – si rifiutano ancora di cedere i loro diritti fondamentali, per non parlare della sconfitta. Deve essere irritante per Israele avere così tanto sangue innocente sulle sue mani, inutilmente. Uccide, tortura, sfrutta e deruba i palestinesi di tutto ciò che è caro, ma loro non abbasseranno la testa. (Israele) Ha imprigionato più di un milione di loro nel corso degli anni, ma i palestinesi si rifiutano di capitolare. Continuano a bramare e lottare per la libertà e l’indipendenza, con molti che insistono sulla fine di Israele come stato coloniale.

Israele è anche invidioso del potere interiore palestinese e dell’orgoglio esteriore. È invidioso delle loro forti convinzioni e della loro prontezza al sacrificio, che presumibilmente ricorda agli israeliani di oggi i primi sionisti. I coscritti israeliani di oggi, trasformati in Robocop, affrontano il coraggio palestinese a torso nudo da dietro i loro veicoli blindati, sparando codardi per vendetta.

Israele è molto invidioso dell’appartenenza storica e culturale dei palestinesi alla Palestina; del loro attaccamento alla terra, un attaccamento che il sionismo ha dovuto fabbricare per indurre gli ebrei a diventare coloni. Israele odia i palestinesi per essere così parte integrante della storia, della geografia e della natura del paesaggio che rivendica come propri. Israele ha fatto ricorso a lungo alla teologia e alla mitologia per giustificare la sua esistenza, quando i palestinesi non hanno bisogno di tale giustificazione;il loro senso di appartenenza è naturale , spontaneo e istintivo.

Israele ha cercato di cancellare o seppellire ogni traccia dell’esistenza palestinese, cambiando anche i nomi di strade, quartieri e città. Nelle parole di uno storico israeliano, “per trovare accurati parallelismi per la riconsacrazione dei luoghi di culto da parte di un conquistatore, bisogna risalire alla Spagna o all’impero bizantino a metà della fine del XV secolo”.

Israele odia i palestinesi per essere la prova vivente che le fondamenta del sionismo – un popolo senza terra che si stabilisce in una terra senza popolo – sono nella migliore delle ipotesi mitiche, violente e colonialiste in realtà. Israele li odia per aver impedito la realizzazione del sogno sionista su tutta la Palestina storica. E odia soprattutto coloro che vivono a Gaza, per aver trasformato il sogno in un incubo.

Tuttavia, sarebbe sbagliato glorificare tutto questo. L’amore è sempre meglio dell’odio. L’odio è distruttivo e alimenta altro odio. L’odio è devastante per l’odioso e l’odiato. Israele potrebbe ancora trasformare tutto quell’odio in tolleranza, invidia in apprezzamento e rabbia in empatia, se solo avesse il coraggio di espiare il suo passato violento, scusarsi per i suoi crimini, risarcire i palestinesi per le loro sofferenze e iniziare a trattarli con il rispetto e l’onore che meritano come uguali, anche privilegiati eguali nella loro patria. L’odio di Israele non scaccerà i palestinesi, ma potrebbe anche scacciare gli ebrei.

traduzione di Nicole Santini – Invictapalestina.org

 

Senza conseguenze, Israele continuerà ad uccidere palestinesi

I palestinesi non sono ucraini di cui il mondo si preoccupa. Non è la Russia che ci bombarda perché il mondo ci mandi armi sofisticate per difenderci. Non siamo per lo più biondi con gli occhi azzurri. Non siamo ebrei. E per essere il tipo sbagliato di persone, a quanto pare, dobbiamo morire di fame, vivere nella paura e nel terrore, e morire senza che nessuno muova un dito.

Fonte: English version

di Refaat Alareer  The Electronic Intifada  – 7 agosto 2022

Nessuno si abitua mai a essere bombardato ogni anno o giù di lì. I bambini in particolare vivono nella paura costante. Ma diventa parte della vita.

Mentre i missili israeliani piovevano su Gaza City venerdì, mia figlia Amal, 6 anni, ha chiesto a sua madre( i ricordi dell’orrore dell’anno scorso sono ancora freschi): “Ci sarà un’altra guerra?”

Durante l’aggressione, i miei figli, in particolare Linah, 9 anni, e Amal, sono stati per lo più silenziosi. Amal ha cercato di dormire e Linah si è sdraiata in soggiorno. Di notte, come la maggior parte dei bambini a Gaza, strillano di paura ogni volta che sentono un’esplosione. Un rapporto pubblicato da EuroMed ha rilevato che circa il 91% dei bambini palestinesi vive in un costante trauma e terrore a causa dei ricorrenti attacchi israeliani.

Niente può prepararti a questo. Israele ha bombardato Gaza sin dalla seconda intifada. Non ci abituiamo mai alle bombe. E non sappiamo mai come affrontare il puro terrore e l’assoluta ferocia israeliana. Nessuna bugia, abbraccio o dolcezza può calmare i bambini. Quando le bombe cadono, i bambini strilleranno sempre di paura. Le bugie che le cose andranno bene e che questi sono fuochi d’artificio non funzionano più.

Già domenica mattina, Israele aveva ucciso almeno 30 palestinesi, inclusi due leader della Jihad islamica, e una bambina, Alaa Qaddum, 5 anni. Ben oltre 250 palestinesi sono stati feriti e diverse case ed edifici sono stati distrutti o danneggiati. Mentre stavo scrivendo questo articolo sabato mattina, Israele aveva appena stroncato un matrimonio nella Striscia di Gaza settentrionale, secondo quanto riferito, uccidendo la madre dello sposo.

Poco convincente e omicida

Il pretesto di Israele questa volta è più debole che mai. Dopo aver arrestato un leader della Jihad islamica nella Cisgiordania occupata, Israele ha affermato di essere impegnato in una “operazione preventiva” per fermare i presunti attacchi missilistici prima che iniziassero.

È come la guerra di Israele a Gaza nel maggio 2021 e il suo massiccio attacco del 2014 e le numerose escalation tra le due guerre.. E riporta alla memoria le campagne di bombardamento israeliane nel 2012, 2008-09, 2006 e molte altre, molte delle quali hanno coinciso con le elezioni israeliane.

I combattenti della resistenza palestinese, come previsto, alla fine hanno reagito lanciando raffiche di missili fatti in casa contro obiettivi militari israeliani. Così facendo, stanno affermando il diritto palestinese all’autodifesa e alla liberazione.

Molti palestinesi hanno visto innumerevoli dei loro cari assassinati nel sonno, o mentre riposavano o più semplicemente si facevano gli affari propri. Se Israele ci ucciderà indipendentemente da chi siamo o da cosa stiamo facendo, allora, come ritengono molti palestinesi, perché non morire combattendo e difendendo la nostra stessa esistenza?

Non c’è nessuno più determinato o pericoloso di una persona che non ha nulla da perdere.

Durante l’aggressione del maggio 2021, secondo Airwars, in oltre il 70% degli attacchi israeliani che hanno ucciso civili palestinesi, non ci sono state notizie di vittime della resistenza. In altre parole, i civili erano le uniche vittime. Secondo B’Tselem, un gruppo israeliano per i diritti, quasi due terzi degli oltre 2.200 palestinesi uccisi da Israele a Gaza nel 2014 erano civili.

Si noti che tali statistiche di solito contano la polizia civile palestinese o i combattenti della resistenza uccisi nelle loro case mentre dormivano come militanti.

Date queste realtà, sono certo che i civili, principalmente bambini, donne e anziani, non sono un danno collaterale, piuttosto sono i principali obiettivi di Israele.

Dolci e sensi di colpa

Ma nonostante tutto ciò, voglio che le cose sembrino a posto per i miei figli. Non posso impedire ai loro occhi di vedere ciò che vedono, o alle loro orecchie di sentire le bombe. Non posso proteggere i loro cuori dal caos israeliano.

Quindi, esco a comprare i dolci. Ma avventurarsi fuori è mettersi in grave pericolo. Si potrebbe essere uccisi semplicemente stando per strada, non che rimanere a casa sia molto più sicuro.

Non prendo l’ascensore se è acceso. Non che le scale siano più sicure.Mi assicuro di non camminare vicino agli edifici o sotto gli alberi per non apparire sospettoso ai droni israeliani. Non che camminare in mezzo alla strada sia più sicuro. E poi c’è il senso di colpa. Il senso di colpa di poter uscire mentre centinaia di migliaia non possono. La colpa di poter comprare pane e altri beni essenziali mentre centinaia di migliaia di persone non possono permettersi tali necessità. Mentre mi prendo il mio tempo per ricontrollare che non sto acquistando prodotti israeliani, compro diverse cose: biscotti, patatine, budino al cioccolato e dolci. Quando torno a casa, Amal non ha fretta di salutarmi come fa di solito. Non ha fretta di saccheggiare le borse per strappare e divorare i suoi dolci preferiti. Rimane immobile, quasi senza vita.

Israele ha il “diritto di difendersi”, afferma l’amministrazione americana. E così dicono anche i comunicati  britannici ed europei.

Diversi funzionari, tra cui le Nazioni Unite e la Mezzaluna Rossa, hanno aspettato per ore che la resistenza palestinese reagisse per emettere condanne docili chiedendo a “tutte le parti di evitare un’ulteriore escalation”.

Tor Wennesland delle Nazioni Unite ha annunciato di essere “[d] profondamente preoccupato per l’escalation in corso tra militanti #palestinesi e #Israele” … ovviamente solo dopo che la resistenza palestinese ha reagito con quel poco che ha a disposizione.

Queste feroci bugie di Israele che si difende tentano di creare una falsa equivalenza morale di cui entrambe le parti sono da biasimare. Questo oscura piuttosto che fare luce.

Non è davvero difficile capire perché questo continua a succedere, perché mia figlia più piccola ha già due guerre alle spalle. L’immunità israeliana dalle critiche e dalle conseguenze, insieme al sostegno politico e finanziario che riceve incondizionatamente dall’Occidente (e persino dai paesi arabi), sono le ragioni per cui si sente sicuro di continuare ad assassinare palestinesi.

Vite e voti

In effetti, comprendiamo che quando Israele si inasprisce contro di noi, i suoi leader politici non solo ricevono più voti alle elezioni, ricevono anche più sostegno dai paesi occidentali.

Con i sondaggi israeliani che prevedono che Benjamin Netanyahu vincerà una maggioranza di oltre 60 seggi alle imminenti elezioni, l’attuale governo di coalizione ad interim, considerato “moderato” da molti liberali in Occidente, deve aver pensato che una guerra rapida a Gaza avrebbe potuto attrarre l’elettorato israeliano .

I palestinesi si sono abituati alla carneficina di Israele quando si avvicinano le elezioni. I leader israeliani sanno che il modo migliore per ottenere voti è mostrare i muscoli. Il nostro problema, in altre parole, non è  Netanyahu o il Likud, ma  la stessa occupazione israeliana.

Eppure è sbagliato presumere che Israele uccida i palestinesi solo quando ci sono elezioni all’orizzonte. Le milizie israeliane e sioniste massacrano palestinesi da circa 100 anni. Israele non è soddisfatto di nient’altro che della vittoria totale del suo dominio coloniale.

I palestinesi non sono ucraini di cui il mondo si preoccupa. Non è la Russia che ci bombarda perché il mondo ci mandi armi sofisticate per difenderci. Non siamo per lo più biondi con gli occhi azzurri. Non siamo ebrei. E per essere il tipo sbagliato di persone, a quanto pare, dobbiamo morire di fame, vivere nella paura e nel terrore, e morire senza che nessuno muova un dito.

Bugie e domande

I dolci e il budino preferito dai bambini rimangono intatti. Linah e Amal si rannicchiano contro le pareti del soggiorno. Si rifiutano di mangiare o di essere intrattenuti. Nusayba, mia moglie, racconta loro un’altra serie di piccole bugie: i bombardamenti sono lontani, i missili sono “nostri” e anche questo passerà.

Ci saranno più guerre israeliane e più massacri israeliani. I criminali di guerra israeliani pagheranno mai per i loro crimini? I paesi arabi che si affrettano a normalizzare i legami con Israele lo vedranno per quello che è: un’entità costruita sulla violenta espropriazione e dislocazione dei palestinesi? Le organizzazioni per i diritti civili e le persone libere, ovunque si trovino, possono esercitare maggiore pressione sui loro governi affinché boicottino e ritengano Israele responsabile?

In caso contrario, le bugie, piccole e grandi, continueranno. Israele continuerà a versare sangue palestinese, per divertimento o per guadagno politico, o per consolidare la sua occupazione.

O semplicemente perché può.

Refaat Alareer è l’editore di Gaza Writes Back: Short Stories from Young Writers in Gaza, Palestine. Insegna letteratura mondiale e scrittura creativa all’Università islamica di Gaza.

 Twitter: @itranslate123

 

traduzione di Nicole Santini – Invictapalestina.org

Limitare i diritti umani dei palestinesi e il diritto alla salute: politiche di apartheid israeliane

Vi è un crescente consenso sul fatto che i comportamenti del governo israeliano soddisfino la definizione di regime di apartheid. C’è anche un crescente consenso sul fatto che i palestinesi che sono cittadini israeliani o apolidi nei territori palestinesi occupati o nei campi profughi non godano di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali come manifestazione del colonialismo che caratterizza lo stato israeliano. Queste questioni strutturali, fondate sul colonialismo e sul razzismo dell’impero britannico dell’inizio del XX secolo e sull’ideologia sionista, sono una chiara minaccia per i diritti umani dei palestinesi e il loro diritto alla salute.

Fonte: english version

Alice Rothchild – 26 luglio 2022

Immagine di copertina: Ali, malato di cancro di 11 mesi, al checkpoint militare di Qalandiya. (Foto: Tamar Fleishman, The Palestine Chronicle)

Questo diritto alla salute è messo in pericolo quando il potere dominante è in grado di utilizzare rischi infondati per la sicurezza ed etichette di terrorismo come arma  per chiudere le organizzazioni della società civile, soprattutto quando questa inquadratura è accettata e incontrastata da attori esterni. La falsa designazione dell’ottobre 2021 di sei importanti gruppi palestinesi per i diritti umani e della società civile come organizzazioni “terroristiche” con legami militanti con il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, utilizzando “prove segrete” raccolte dal Ministero della Difesa israeliano, è una manifestazione di quella violenza coloniale su scala nazionale.

Questa designazione ha conseguenze sia dirette che indirette per la salute fisica e mentale, in particolare durante la pandemia di Covid-19, con Israele che ha  rafforzato le sue politiche di chiusura già restrittive. Più del 60% delle famiglie nei territori palestinesi occupati ha riportato una diminuzione del reddito e sia la violenza di genere che gli attacchi dei coloni, questi ultimi commessi nella quasi totale impunità, a volte incoraggiati dall’esercito israeliano, sono aumentati notevolmente.

Le sei organizzazioni palestinesi hanno lavorato nei territori occupati per documentare le violazioni dei diritti fondamentali, fornire assistenza e advocacy e rafforzare la resilienza della popolazione. La soppressione dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali diminuisce la capacità della popolazione di far fronte ai comportamenti di apartheid del governo e dei militari israeliani e accelera l’eliminazione e la cancellazione della società palestinese, un obiettivo chiave del colonialismo israeliano.

La distruzione delle organizzazioni per i diritti umani è un assalto a tutto ciò che sono state progettate per proteggere: il diritto alla salute personale e un ambiente sano, la libertà di movimento ei diritti all’istruzione e al lavoro. Al-Haq, Addameer, Bisan Center for Research and Development, Defense of Children International-Palestine, Union of Agricultural Work Committees e Union of Palestine Women’s Committees, affrontano una debilitante perdita di fondi, ulteriori attacchi delle forze di sicurezza israeliane al personale e agli uffici e una capacità decrescente di sopravvivere e fornire servizi. Una perdita di servizi ha gravi implicazioni, tra cui più donne, bambini e prigionieri con traumi permanenti per la salute fisica e mentale e più minacce per i lavoratori agricoli e la loro capacità di produrre cibo in una regione nutrizionalmente insicura.

Il caso israeliano dimostra una strategia decennale per restringere la capacità dei palestinesi di vivere e prosperare attraverso ripetuti attacchi militari e politici, frammentando e controllando la vita quotidiana e le istituzioni che sono essenziali per il funzionamento della società palestinese. Questo rappresenta anche un esempio di “epistemicidio”, la cancellazione della conoscenza delle realtà della vita palestinese, perché la loro stessa vita è visto come una minaccia all’esistenza degli ebrei israeliani.

Inoltre, l’uso improprio delle giustificazioni di sicurezza si manifesta nella negazione dell’accesso all’assistenza sanitaria che è stata ben documentata da numerose organizzazioni. I pazienti provenienti dai territori che necessitano di cure di alto livello devono recarsi a Gerusalemme Est e negli ospedali israeliani a causa delle politiche israeliane che impediscono l’espansione e lo sviluppo delle istituzioni mediche e la negazione della formazione del personale a livello internazionale (de-sviluppo). I permessi medici per viaggiare sono spesso ritardati o negati in base ai limiti di età e a valutazioni irrazionali e punitive del “rischio per la sicurezza” dei pazienti o dei familiari del paziente.

Il marchio di un’intera popolazione come una minaccia alla sicurezza e il rifiuto di cure mediche disperatamente necessarie è una forma di razzismo che si traduce in un maggior carico di malattie e morti inutili nella popolazione oppressa e punisce anche collettivamente intere famiglie e minaccia i diritti fondamentali, salute e dignità delle persone.

È particolarmente ironico che le designazioni istituzionali e individuali di “terrorismo” da parte delle autorità israeliane seguano anni di attacchi israeliani contro organizzazioni per i diritti umani, molestie e imprigionamento del loro personale, e negazioni di permessi medici, tutto in nome della protezione della società israeliana. L’impatto sui palestinesi è stato quello di ridefinire la violenza e la sovversione come endemiche della cultura e della società palestinese, piuttosto che centrali per Israele e il suo dominio su un popolo colonizzato, e di rafforzare gli stereotipi israeliani sugli “arabi”.

Quando le forze militari israeliane prendono d’assalto e distruggono gli uffici, arrestano e trattengono difensori dei diritti umani e coinvolgono i lavoratori delle ONG che sostengono i bambini palestinesi nei tribunali militari israeliani, è chiaro chi è l’aggressore e chi è il bersaglio disarmato. Quando i bambini malati di cancro muoiono da soli in un reparto medico dell’ospedale Al Makassed di Gerusalemme est perché ai loro genitori non è stato concesso il permesso di lasciare Gaza per mantenere i propri figli, questa è una forma di tortura psicologica e una profonda tragedia umana. Gli operatori della salute mentale potrebbero chiamare questa una forma di “formazione della reazione sociale” in cui il comportamento degli accusatori viene proiettato sulle loro vittime.

Il mondo della sorveglianza è un’altra area in cui l’impatto delle politiche di apartheid israeliane progettate per intimidire e soggiogare un’intera popolazione è chiaramente evidente. Il gruppo NSO, una società israeliana di sorveglianza informatica autorizzata, regolamentata e supportata dal governo israeliano, è considerata un elemento chiave della sicurezza nazionale e della politica estera. Il suo spyware Pegasus, una tecnologia senza clic, consente al governo israeliano di hackerare gli iPhone e raccogliere vaste quantità di dati, rendendo i palestinesi una delle popolazioni più sorvegliate al mondo.

Questo è solo un esempio dei sistemi militari, di intelligence e di sicurezza israeliani sviluppati e “testati in battaglia” sui palestinesi occupati. A livello internazionale, l’associazione della NSO con i governi reazionari e l’uso del software per violare i diritti civili ha creato un tale clamore che è stato inserito nella lista nera dal governo degli Stati Uniti. Coloni e soldati israeliani raccolgono e registrano inoltre le foto dei palestinesi attraverso le iniziative Blue Wolf e White Wolf, un’ampia rete di tecnologia che alimenta le informazioni in un enorme database di riconoscimento facciale. Tutti i telefoni importati a Gaza contengono anche un bug del software militare israeliano impiantato; a questo punto, la sicurezza israeliana può ascoltare ogni telefonata che fanno i palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. I palestinesi sono sorvegliati non solo dalle società tecnologiche, ma anche dal governo israeliano e dall’Autorità Palestinese che monitorano i social media.

L’apparato fisico e tecnologico dell’occupazione, che è la manifestazione e la forza trainante dell’apartheid israeliano, produce un processo di discriminazione che si estende a politiche sociali come l’opposizione del governo israeliano al ricongiungimento familiare. Le leggi vietano esplicitamente ai coniugi di palestinesi che vivono in Israele o a Gerusalemme est di ottenere la cittadinanza o la residenza legale in Israele e affermano che lo scopo della legge è garantire una maggioranza demografica ebraica. Lo stato israeliano sta tentando di controllare chi e come i palestinesi si sposano e creano una famiglia, tutto in nome del dominio demografico ebraico dello stato, una politica chiaramente razzista.

Allo stesso modo, Israele limita severamente i permessi di costruzione per i palestinesi che vivono sotto occupazione e demolisce case costruite “illegalmente” o come punizione per presunti crimini da parte di familiari, specialmente a Gerusalemme est e nelle comunità beduine del Naqab. Questo rappresenta un altro esempio di discriminazione, di percepire ogni palestinese come una minaccia da controllare e potenzialmente espropriare. L’obiettivo è in definitiva il trasferimento attivo o passivo, sempre per proteggere la demografia ebraica.

Questi tipi di atteggiamenti possono estendersi anche alla pratica della psichiatria. Il processo di “alterizzazione”(trattare gli altri come diversi, discriminare) non riguarda solo la realtà fisica, ma può anche essere implicato nella capacità degli psichiatri ebrei israeliani, che fanno parte dell’apparato di sicurezza dello stato, di valutare i prigionieri palestinesi che presentano sintomi di malattia mentale. La psichiatra, la dott.ssa Ruchama Marton, fondatrice di Physicians for Human Rights – Israel, ha chiesto:

Qual è la posizione dello psichiatra quando il paziente è un palestinese, non solo uno straniero, ma un nemico? Lo psichiatra è consapevole della sua posizione soggettiva, che percepisce il suo paziente come un “terrorista”, cioè come una vera minaccia alla sicurezza della società? Tale visione potrebbe essere così comprensiva da nascondere tutte le altre parti dell’umanità del paziente. Il ruolo specifico attribuito alla psichiatria israeliana, quello di proteggere la “pubblica sicurezza”, può oscurare i confini tra il giudizio professionale dello psichiatra e le sue convinzioni politiche, e ciò può avvenire senza una sufficiente consapevolezza di sé.

Gli psichiatri sionisti probabilmente non sono consapevoli del loro bisogno di vedere il palestinese come un nemico, un terrorista, un criminale arabo, e quindi negano al prigioniero anche il “diritto alla follia”. I prigionieri palestinesi malati di mente sono stati ripetutamente diagnosticati come “impostori” o “manipolatori”. Questa accusa di “fingere” sintomi si vede anche nei referti medici. Questa colonizzazione inconscia degli atteggiamenti è una minaccia per la valutazione e il trattamento della salute fisica e mentale dei palestinesi nel contesto israeliano.

Le implicazioni dell’integrazione di un quadro che comprenda una consapevolezza dell’apartheid, del colonialismo  e del razzismo strutturale con un approccio basato sui diritti umani alla salute e al benessere dei palestinesi sono profonde. Tale integrazione non richiederebbe solo che i palestinesi siano trattati come esseri umani a pieno titolo con diritti uguali ai loro vicini ebrei, ma che Israele sia ritenuto responsabile del degrado decennale del sistema sanitario palestinese e dei conseguenti alti tassi di morbilità e mortalità . Questi cambiamenti non verranno dall’interno del sistema dell’apartheid.

È responsabilità di nazioni, organizzazioni internazionali, donatori, attivisti e accademici identificare e documentare chiaramente le politiche sociali e politiche che creano il sistema oppressivo di “separazione”. È anche responsabilità di questi gruppi fare pressione sullo stato coloniale  israeliano affinché onori il diritto dei palestinesi alla salute nella sua definizione più ampia per includere l’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità, un ambiente sicuro, cibo, posti di lavoro e alloggi adeguati e una vita con l’opportunità di speranza e di possibilità.

 

Alice Rothchild è una dottoressa, autrice e regista. I suoi libri includono “Broken Promises, Broken Dreams: Stories of Jewish and Palestine Trauma and Resilience”, “On the Brink: Israel and Palestine on the Eve of the 2014 Gaza Invasion” e “Condition Critical: Life and Death in Israel/Palestine .’ Ha anche diretto un film documentario, ‘Voices Across the Divide’. Visita il suo sito web www.alicerothchild.com

 

traduzione di Nicole Santini -Invictapalestina.org