GALLERIA FOTOGRAFICA: villaggi palestinesi prima della Nakba

Centinaia di villaggi, alcuni abitati fin dall’antichità, sono stati spopolati dei loro abitanti palestinesi per far posto allo stato di Israele.

Fonte:  english version

Staff Middle East Eye  – 24 giugno 2022

ayn karim, village, jerusalem

 

 

 

 

 

Nel periodo che precedette l’istituzione di Israele, il movimento sionista acquisì terre palestinesi da utilizzare nel nuovo stato, inizialmente mediante l’acquisto e poi con l’uso della forza. Nella maggior parte dei casi, in particolare durante l’anno precedente la dichiarazione di indipendenza israeliana, questo processo di acquisizione della terra ha comportato l’espulsione dei palestinesi indigeni. In alcuni casi, i villaggi in cui vivevano queste persone furono insediati da nuovi migranti ebrei e in altri furono rasi al suolo e ricostruiti. Questo saggio fotografico esplora alcuni dei villaggi storicamente significativi nei distretti della Palestina prima della Nakba.

È opinione diffusa che Giovanni Battista sia nato ad Ayn Karim e il villaggio ha quindi un’importanza biblica. La Chiesa di Giovanni Battista è una delle principali attrazioni del paese e meta di pellegrinaggio. Ayn Karim aveva anche una moschea intitolata a Umar Ibn Khattab, il secondo califfo musulmano, dopo che passò attraverso il villaggio e pregò lì durante la conquista musulmana di Gerusalemme nel VII secolo.

L’immagine sopra è di Ayn Karim nel 1934 quando era il villaggio più grande del distretto di Gerusalemme e ospitava più di 3.000 palestinesi, un misto di famiglie musulmane e cristiane. (Libreria del Congresso)

indur,village, nazareth

Indur era un villaggio palestinese nel distretto di Nazareth che prima del 1948 ospitava oltre 600 palestinesi. Il villaggio ha radici antiche in epoca biblica e il suo nome deriva probabilmente dalla città cananea di Ayn Dur, menzionata nella Bibbia come il luogo in cui Saul consultò un indovino prima di andare in battaglia contro i Filistei. Indur ospitò Shaykh Tawfiq Ibrahim, uno dei leader della rivolta palestinese tra il 1936 e il 1939. (Biblioteca del Congresso)

saffuriya, nazareth, palestine, israel

Saffuriya ospitava oltre 4.000 palestinesi ed era un villaggio arroccato su una collina alla periferia di Nazaret e della Bassa Galilea. Saffuriya ha ricoperto un significato strategico fin dai tempi antichi. Durante la conquista romana della Palestina, divenne il centro amministrativo della regione della Galilea. I crociati costruirono un castello a Saffuriya, che Saladino avrebbe poi rivendicato durante la sua conquista della Palestina. Molti eminenti studiosi islamici come Ibn al-Imad al-Hanbali hanno fatto riferimento a Saffuriya, esemplificando il suo status venerato. L’immagine sopra, così come quella in cima a questo saggio fotografico, sono state scattate a Saffuriya. (Entrambe le immagini provengono dalla Library of Congress)

Yibne, village, palestine

Yibna era un grande villaggio costruito in pietra e situato su una collina a circa 15 chilometri da al-Ramle. Il villaggio di Yibna ha una storia profonda che risale ai tempi antichi ed è stato descritto da molti geografi e cronisti arabi come una delle città più antiche della Palestina. Prima del 1948, Yibna ospitava oltre 5.400 palestinesi. L’immagine sopra raffigura Yibna tra il 1914 e il 1916. (Biblioteca nazionale israeliana)

Al-Nabi Rubin, Palestine

Uno dei villaggi storici più importanti della Palestina era al-Nabi Rubin. Questo villaggio era situato sul sito di un santuario del figlio del profeta Giacobbe, Ruben. Il santuario veniva onorato con un pellegrinaggio annuale in Palestina, durante il quale si svolgevano  grandi celebrazioni e i palestinesi delle aree circostanti si riversavano  nel villaggio per prendere parte alle celebrazioni.

Caratterizzate da balli popolari come la dabka, spettacoli di magia, corse di cavalli, canti popolari e sermoni di predicatori e poeti. I pellegrini si accampavano in tende e in tutto il villaggio venivano allestiti per loro bar, ristoranti e negozi improvvisati. Il villaggio è stato un importante sito storico, religioso e culturale per i palestinesi, poiché il pellegrinaggio di Nabi Rubin è stato uno degli eventi annuali più importanti in Palestina. L’immagine sopra, datata 1930, raffigura pellegrini ad al-Nabi Rubin. (Libreria del Congresso)

Hattin, Tiberia, Palestine

Hattin si trovava alla periferia di Tiberiade. La storia della zona è ricca ed è famosa soprattutto per la battaglia di Hattin nel 1187, in cui Saladino sconfisse gli eserciti crociati e si assicurò l’intera regione della Galilea. Uno dei suoi punti di riferimento più significativi è il santuario del profeta Shuayb, sacro per le persone di fede drusa, che ogni anno si recavano in pellegrinaggio al sito. L’immagine sopra mostra l’area intorno a Hattin nel 1934. (Biblioteca del Congresso)

Qaqun, Palestine,

Qaqun è un villaggio palestinese situato a soli 6 km da Tulkarm. È considerato un importante sito storico poiché sulla sua terra fu costruita una fortezza crociata, oltre a una moschea mamelucca che poteva essere vista da lontano. L’immagine sopra raffigura Qaqun nel 1911. (Casa editrice Ariel)

Zirin, Palestine, library of Congress

Zirin, qui raffigurato nel 1900, è un villaggio palestinese 11 km a nord di Jenin. Il villaggio è anche la città natale del leader della rivolta del 1936, Mahmud Salim. Zirin era un umile villaggio che ospitava oltre 1.400 palestinesi. Le sue case erano costruite di fango e il villaggio aveva un piccolo mercato, una scuola ottomana e una piccola moschea. Il sito è storicamente significativo e contiene vari reperti di epoca medievale. (Libreria del Congresso)

Jubb Yusuf, Palestine

Il villaggio di Jubb Yusuf era anche storicamente significativo e conosciuto come punto di sosta per i viaggiatori arabi e occidentali. Nella foto sopra sono le storiche logge di viaggio del villaggio. Si noti che Saladino si fermò lì durante il viaggio per combattere i crociati nella battaglia di Hattin. Il villaggio si trova anche vicino al Pozzo di Giuseppe, da cui probabilmente ha preso il nome. Il piccolo villaggio ospitava quasi 200 palestinesi nel 1948. (Biblioteca nazionale israeliana)

Qisarya, Palestine

Qisarya è la forma arabizzata di Cesarea, l’antica città di Cesarea Marittima costruita da Erode il Grande. Nel 1884 i musulmani bosniaci si stabilirono nell’antica città e fondarono un piccolo villaggio di pescatori dopo essere fuggiti dall’occupazione austro-ungarica della Bosnia ed Erzegovina nel 1878. La foto sopra è stata scattata nel 1938. (Biblioteca del Congresso).

Traduzione di Nicole Santini -Invictapalestina.org

 

 

Resistenza imbrigliata: quando i morti danno vita ai vivi

Il dolore dilagante per Shireen Abu Akleh è servito come espressione della nostra  inevitabile “palestinità” (identità palestinese) nonostante gli sforzi intenzionali di Israele per frammentare il popolo palestinese.

Fonte:  english version 

di Ghada AlMadbouh, – 6 giugno 2022

Un epitaffio per Shireen Abu Akleh

Immagine di copertina: un collage del funerale di Shireen Abu Akleh  di Sharif Mosa( photo credit Maya Levin)

Per tre giorni consecutivi abbiamo vissuto il dolore del martirio di Shireen Abu Akleh, e con ogni rivelazione dalla scena dell’assassinio e ogni discussione al riguardo, il dolore aumentava e si moltiplicava. Sono passati tre giorni dal tuo omicidio, Shireen, ma il dolore persiste. Giorni di pianto e lutto hanno inghiottito la Palestina come non ho mai visto in vita mia! Il tuo corteo funebre continua mentre scrivo questo elogio. Ci sono state molte speculazioni sulle cause di un dolore così profondo e diffuso che ha sommerso tutti dopo la tua morte. Prima del suo omicidio, c’era la sensazione collettiva che la causa palestinese avesse raggiunto un punto morto e che fossimo diventati insensibili e abituati alla perdita, all’ingiustizia e all’oppressione nella nostra vita quotidiana. Tuttavia, la tua morte ci ha dissolto da tutto questo. Ci ha reso vivi e ha acceso la torcia; e per la prima volta abbiamo condiviso lo stesso livello di dolore, nello stesso modo.

Tutti noi, indipendentemente dai nostri approcci, idee, orientamenti o luoghi, abbiamo subito la traumatica e grave, amara perdita di un membro della famiglia. Questo non vuole ridurre il trauma e la tristezza per i palestinesi martirizzati prima di te, Shireen, ma piuttosto intensifica questo shock e questo dolore e ci permette di concederci un lungo momento di silenzio per tutti coloro che abbiamo perso. È stato come se la tua partenza avesse intensificato il significato del martirio e frantumato ciò che pensavamo fosse diventato normale. Ci ha ricordato ancora una volta che per chi vive sotto occupazione “niente è normale”, nemmeno per un istante.

Mia sorella, che vive in Germania, ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere: “Vedevamo Shireen sullo schermo più di quanto non vedessimo i nostri volti allo specchio”. Questo è ciò che Shireen ha significato, in particolare per la generazione degli anni ’90, quando i canali satellitari si sono infiltrati nelle nostre vite e quando abbiamo ascoltato per la prima volta i media che trasmettevano il messaggio palestinese come volevamo che fosse. Faccio parte della generazione degli anni ’70 e ’80, le cui fonti di notizie ufficiali erano le stazioni radio israeliane e giordane, così come la BBC, prima delle moderne tecnologie e della rivoluzione satellitare che ha portato con sé molte opzioni e fonti di notizie. Per noi, Shireen Abu Akleh, attraverso lo schermo di al-Jazeera, era la voce che ci si  strozzava in gola.”choking in our throats”

Allo stesso tempo, i media israeliani coprivano il tuo omicidio, Shireen, in un modo diverso. Ci sono stati diversi tentativi di inventare la storia dell’omicidio, creando scenari secondo cui i palestinesi erano responsabili della tua morte. Sono stato colto da una dichiarazione di un mio amico, un analista di affari israeliani, che ha affermato di sentirsi come se tutti gli israeliani si fossero uniti ai corrispondenti regolari e alle emittenti e fossero stati invitati a diffondere la stessa falsa storia sulla morte di Shireen sulle reti e sui social media. È come se gli israeliani sembrassero avere un accordo implicito e una complicità sociale inconscia contro “al-Aghyar” (i GentilI: utilizzato al plurale per riferirsi alle popolazioni non ebraiche) e contro la storia reale, poiché minaccia la loro identità e il tessuto della storia che gli israeliani si raccontano. Era come se si stessero accalcando per sostenere una specifica narrazione, indipendentemente dalla sua validità, per rimanere uniti.

Rimangono diverse domande: come abbiamo potuto provare così tanto dolore per Shireen? Da dove viene questa tragedia collettiva, che ci ha portato tutti al cuore di una donna di nome Shireen? Qual è il ruolo dei simboli nella vita e nella liberazione dei popoli?

Due giorni prima della partenza di Shireen, stavo insegnando ai miei studenti i concetti di “violenza controllata” e “violenza esplosiva”, il loro significato e i loro molteplici usi nel contesto coloniale israeliano. Un posto di blocco senza soldati o una torre di guardia senza telecamere o soldati sono esempi di “violenza controllata”. Trasmette una vera violenza esplosiva anche se non vengono usate pistole né ci siamo fermati al posto di blocco, anche se non sapendo se c’è un guardiano nella torre o meno. Anche il computer con i nostri nomi e le informazioni archiviate presso l’ufficiale di sicurezza israeliano è un esempio di violenza imbrigliata. Anche se la violenza imbrigliata non si traduce in abusi fisici e materiali immediati e diretti, la sua continua esistenza e la possibilità che in qualsiasi momento possa trasformarsi in violenza esplosiva diretta contro tutte le regole della probabilità e dell’aspettativa la rende più minacciosa e violenta rispetto alla violenza esplosiva. Tale violenza a volte può funzionare in modo più “efficace” della violenza esplosiva e della guerra diretta, nel controllare le persone per un periodo di tempo. Anche se sospesa, resta presente la probabile anticipazione di questo tipo di violenza.

Due giorni dopo, l’articolo accademico che ho letto con i miei studenti è diventato realtà quando la violenza imbrigliata di Israele, che ha preso di mira i giornalisti in molte occasioni, si è improvvisamente trasformata in violenza esplosiva quando Shireen è stata uccisa. La sua uccisione, senza che ci sia stato alcun tipo di scontro, armato o disarmato, faceva parte della preparazione israeliana per fare irruzione nel campo profughi di Jenin ed eliminare la resistenza lì. Anche se non è stata la prima giornalista palestinese uccisa da Israele, lo shock è stato che il suo omicidio ha superato tutte le aspettative, anche per coloro che si aspettano la violenza dell’occupazione.

I palestinesi non sentono quasi mai di avere elementi di prevedibilità nella loro vita quotidiana mentre affrontiamo costantemente domande come: quale strada prendere, a che ora attraversare le aperture (buchi nel muro di separazione), quando non farlo, a che ora attraversare il checkpoint, a che ora chiude quest’ultimo, quando apre, chi sta arrestando Israele, chi non sta arrestando, chi sta uccidendo e chi non sta uccidendo? Ogni giorno siamo sorpresi dal fatto che non ci sia prevedibilità nell’occupazione e non ci sia spazio per la routine: i soliti momenti “noti” e “normali”. Qualunque cosa tu faccia, non importa quanto tu sia lontano dalla preoccupazione generale, non sei lontano dalla morte.

Siamo tutti presi di mira in ogni momento, ogni minuto, in ogni modo, ovunque e con ogni pretesto. Lo shock di una lontana violenza controllata che si è trasformata in una certa violenza esplosiva, senza una spiegazione, senza scontri armati, anche se Shireen indossava chiaramente la sua uniforme PRESS, ha sconvolto tutti i palestinesi. Ci ha messo faccia a faccia con la nostra umiliazione e il completo sfruttamento. Sì, l’umiliazione è l’espressione più chiara di ciò che i palestinesi hanno sentito e hanno dovuto trattenere dentro di sé. E’ stato  un ovvio assassinio; il soldato israeliano, che era già stato davanti a Shireen in occasioni simili, ha sparato questa volta! Questa ferita sanguinante indugia, mentre tutti sono inchiodati davanti agli schermi TV, ai funerali; e ora, giorni dopo, le nostre vene sono ancora congelate e lo shock è ancora profondo. Questo martirio, dopo che si è verificato, si è trasformato di nuovo in una violenza contenuta per i palestinesi, laddove aveva lo scopo di violare e soffocare la memoria collettiva e la vita emotiva dei palestinesi.

Ma come possiamo resistere a questa umiliazione, questo sfruttamento e questa violenza controllata ed esplosiva alla nostra integrità palestinese in patria e all’estero? Come possiamo sanare la ferita e non dimenticarla, ma superarla per poter produrre mille Shireen? Come superiamo il trauma di vivere come un cadavere in ogni momento della nostra vita? Come plasmiamo le nostre vite senza aspettative chiare sul nostro vivere o morire? Come possiamo resistere con amore e aspettativa giovanile e crescere quando la violenza imbrigliata ci deruba e la violenza esplosiva ci uccide?

Questo è stato un momento molto onesto, in cui i cuori di tutti i palestinesi in patria e nella diaspora si sono uniti al cuore degli arabi e di coloro che sono solidali con noi. E in esso abbiamo riscontrato un grande messaggio che c’è sempre stato ma che non abbiamo visto: un messaggio che la nostra lotta nel secolo scorso non è andata sprecata.

Tutti i martiri che se ne sono andati, tutti i prigionieri che hanno languito nelle carceri o nei “congelatori” israeliani, tutte le persone che hanno sofferto, tutte le terre confiscate, tutte le voci che hanno gridato nei vicoli dei campi profughi, tutte le le lacrime versate dai nostri figli, tutte le arti, gli scritti, gli articoli e le creazioni che abbiamo prodotto, e tutti i sacrifici sono stati raccolti e intensificati in un momento. Hanno prodotto collettivamente questa chiara manifestazione della nostra identità unificata nonostante tutta la frammentazione, i gemiti, le frustrazioni e la distruzione di cui Israele ci ha circondato. E nonostante l’appassimento dei partiti e delle istituzioni nazionali, nonostante tutto ci siamo tutti alzati per dirti addio, Shireen, icona ed espressione della nostra inevitabile “palestinità”. La tua dipartita ci ha chiarito ed ha incarnato per noi, nelle nostre anime e nella nostra visione, e contro le aspettative di molti, una visione avvincente della nostra salda identità. Nell’intensificarsi del nostro dolore, ti abbiamo dato alla luce di nuovo, nostra amata, e ti abbiamo fatto rivivere dopo che ti avevano ucciso. Congratulazioni a te e congratulazioni a noi per quello che siamo!

Eppure questo era solo il primo punto. Il secondo torna di nuovo alla violenza “controllata”. Non è solo il colonizzatore che usa tale violenza percondurci alla  sconfitta e cacciarci dai nostri luoghi  e reprimere la resistenza palestinese, una violenza che rendono esplosiva a loro piacimento. Anche noi palestinesi abbiamo gli strumenti per sospendere la violenza imbrigliata che loro creano per fermare la nostra vita e anche la nostra morte. Abbiamo quella che vorrei chiamare una resistenza controllata che capovolge anche la violenza del colonialismo controllato ed esplosivo. È la resistenza silenziosa, a volte invisibile e a volte apertamente visibile, con la quale rispondiamo alla violenza del colonizzatore in ogni momento e ogni giorno.

Questa resistenza controllata a volte sembra inesistente o insignificante, e sentiamo palestinesi che esprimono paure come quella che potremmo dimenticare la morte di Shireen o che il martirio potrebbe non portare a un risultato. Ma la costante resistenza contenuta che si accumula e minaccia di esplodere da un momento all’altro, inaspettatamente, è il nostro strumento più essenziale di un’azione effettiva e morale.

Abbiamo versato le nostre lacrime, per la prima volta l’uno di fronte all’altra, il giorno in cui te ne sei andata, sotto forma di una vera e propria epopea palestinese di resistenza controllata come risposta umana allo sfruttamento. Portare la bandiera palestinese a Gerusalemme e insistere per farlo è resistenza imbrigliata; prendere tutti i tipi di percosse con manganelli e bastoni, e continuare a tenere la tua bara, Shireen, impedendo che toccasse terra è una resistenza imbrigliata; insistere nel radunarsi in gran numero a Gerusalemme, e la solenne processione in marcia per  Shireen attraverso la Porta di Giaffa fino al suo luogo di sepoltura è una resistenza imbrigliata, insistere sul fatto che la tua bara dovesse passare attraverso ogni città palestinese da Jenin a Gerusalemme è una resistenza imbrigliata; il giovane che è saltato dal muro dove il corpo di Shireen è caduto sotto i proiettili israeliani al momento del suo martirio è  resistenza imbrigliata; La persistenza di Guevara al-Budairi nel condurre la diretta del  funerale mentre lei e gli altri membri dello staff  di al-Jazeera si consolavano a vicenda  è una resistenza imbrigliata; Le parole e le lacrime di Elias Karram, le sue mani piene di sporcizia della tomba di Shireen sono una resistenza imbrigliata; Walid al-Omari che porta il giubbotto PRESS di Shireen che indossava al momento del suo assassinio, è una resistenza imbrigliata; le borse di studio annunciate da università e istituzioni a nome di Shireen sono una resistenza imbrigliata; le canzoni, i cartelli, i video, le caricature, i manifesti, gli articoli ei resoconti su Shireen che sono usciti pochi minuti dopo il suo martirio sono una resistenza imbrigliata; i nostri studenti che sono tornati sui banchi di scuola e persistono nonostante tutti gli orrori, la loro presenza è una resistenza imbrigliata; e altri esempi abbondano.

I milioni di giovani donne e uomini feriti da questo martirio, queste sono le menti e i corpi di una resistenza imbrigliata che un giorno, a un certo punto, si intensificherà e si compirà di fronte alla violenza imbrigliata ed esplosiva di Israele. I vivi possono essere migliori dei morti, o almeno così si dice, eppure a volte i morti danno vita ai vivi, non solo una volta, ma molte, molte volte.

Ghada alMadbouh è assistente professore alla Birzeit University.

Nota del redattore: questo articolo è stato pubblicato per la prima volta dall’Institute for Palestine Studies il 24 maggio 2022 ed è stato tradotto e ripubblicato con il loro permesso.Tradotto da Nina AbuFarha

Traduzione di Nicole Santini – Invictapalestina.org

Perché Israele ha rifiutato la solidarietà palestinese per le vittime dell’olocausto

Dalla seconda guerra mondiale e dalla fondazione  dello stato di Israele nel 1948, la storia araba palestinese e quella israeliana sono state ineluttabilmente legate . I sionisti israeliani si sono  appropriati di eventi nella storia ebraica, olocausto compreso, per scopi propagandistici per asserire il loro “diritto” sulla Palestina-una terra su cui avevano avanzato la loro sospetta pretesa coloniale mezzo secolo prima del genocidio. Appropriandosi dell’Olocausto, Israele afferma che qualsiasi riconoscimento del genocidio è un riconoscimento del “diritto di Israele a esistere come stato ebraico”, mentre qualsiasi tentativo di negare questo diritto è negare l’Olocausto.

Fonte: english version

di Joseph Massad, 29 Maggio 2022 Leggi tutto “Perché Israele ha rifiutato la solidarietà palestinese per le vittime dell’olocausto”

Costantemente sull’orlo del collasso: come i palestinesi sono diventati un fattore nella politica israeliana

Per la prima volta in molti anni, Israele si trova in una posizione in cui non è più l’unico partito che sta plasmando gli eventi o determinando i risultati nel paese. I palestinesi stanno finalmente diventando un fattore nella politica israeliana e, attraverso la loro resistenza popolare, possono mobilitarsi per fare pressione su Israele come è avvenuto negli ultimi anni.

Fonte: english version

Ramzy Baroud – 18 maggio 2022 Leggi tutto “Costantemente sull’orlo del collasso: come i palestinesi sono diventati un fattore nella politica israeliana”