250 studenti delle scuole superiori dichiarano appoggio alle obiettrici di coscienza

Gli studenti dell’Ironi Alef di Tel Aviv firmano una petizione a sostegno di Tamar Alon e Tamar Ze’evi, che rifiutano di servire nell’esercito in opposizione all’occupazione.

foto copertina: Tamar Alon e Tamar Ze’evi fuori dalla base di reclutamento Tel Hashomer dell’IDF mentre aspettano di dichiarare il loro rifiuto di servire nell’esercito ed essere condannate al carcere, Tel Aviv, 16 novembre 2016. (Haggai Matar)

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Smantellamento di una cellula di spionaggio al soldo d’Israele

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Foto: https://www.algerie1.com/actualite/une-cellule-despionnage-au-profit-d-israel-demantelee-a-ghardaia

Per tentativo di minare la sicurezza dello Stato algerino, dieci africani stranieri giovedì sono stati posti in stato di detenzione dal giudice istruttore presso il tribunale di Ghardaia, su raccomandazione del pubblico ministero nella stessa istanza, si è appreso da fonti giudiziarie.

Secondo le prime informazioni, questo gruppo di stranieri comprende una cellula di spionaggio al soldo di Israele con base a Ghardaia. Per gli investigatori della sicurezza di Ghardaia, ci sono volute diverse settimane di pedinamenti e informazioni, al termine delle quali questa rete è stata smantellata. L’operazione di perquisizioni ha permesso di recuperare una grande partita di apparecchiature per comunicazioni e trasmissione di ultima generazione. L’dentificazione degli accusati ha permesso di stabilire la loro nazionalità e il modo in cui sono entrati in territorio algerino.

Originarie del Mali, Kenya, Liberia, Nigeria, Etiopia e Ghana, queste presunte spie sono potute entrare in Algeria nel quadro dell’accoglienza dei rifugiati maliani. “Sono stati reclutati dai servizi segreti israeliani prima di entrare in territorio algerino”, dice uno degli investigatori in questo caso di spionaggio.

Traduzione Invictapalestina.org

Fonte: http://www.elwatan.com/actualite/demantelement-d-une-cellule-d-espionnage-au-profit-d-israel-14-01-2017-337092_109.php

La storica controversia tra Benetton e i mapuche in Patagonia si aggrava con 14 feriti

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Poliziotti inviati a cacciare una comunità mapuche che rivendica terre ancestrali. RETE DI SUPPORTO COMUNITÀ IN CONFLITTO

La polizia caccia con violenza una comunità indigena che occupava una ferrovia

RAMIRO BARREIRO – Buenos Aires 13 ENE 2017 – 00:48 CET

I conflitti per la proprietà dei territori nella Patagonia argentina tornano a scrivere un’altra pagina sanguinosa nella storia. Questa settimana, forze della polizia sono entrate due volte in una comunità mapuche nella provincia di Chubut (a 1.700 chilometri da Buenos Aires) e represso i suoi appartenenti con pestaggi e sparatorie, secondo le testimonianze dei nativi. La Provincia afferma invece che sono stati questi a sparare alla polizia. Il risultato è di nove nativi feriti, dieci arrestati e cinque poliziotti infortunati.

La controversia nasce dall’uso che fa la Provincia del noto treno La Trochita, oggi destinato al solo  sfruttamento turistico, la cui linea attraversa terreni che da anni si disputano nei tribunali la comunità e l’uomo d’affari italiano Luciano Benetton, che possiede più di 800.000 ettari in Patagonia. I primi segnali di allarme sono arrivati lo scorso fine settimana, quando la comunità Resistenza Cushamen informò attraverso i social network dell’attività incessante di forze e mezzi di polizia che si muovevano nella zona situata tra la strada nazionale 40 e la provinciale 258, una strada di collegamento tra i villaggi di Esquel e Maitén dove passa anche la linea ferroviaria secondaria del treno La Trochita.

Un tempo la linea ferroviaria secondaria aveva uno scopo sociale, trasportando la gente di città in città, ma da 20 anni il servizio non viene effettuato ed è utilizzato esclusivamente per scopi turistici con  pacchetti che girano intorno ai 700 pesos ($ 44). Gli abitanti vogliono che la Provincia li avvisi ogni volta che la linea deve essere utilizzata in modo che si capisca che queste terre appartengono a loro. Il disappunto è arrivato con la sospensione del tavolo di dialogo dopo due tentativi di accordo. Quindi i Mapuche hanno bloccato le strade.

“Martedì alle sei di mattina i poliziotti hanno completato un accerchiamento di quasi 5 chilometri che ha compreso tutti i tre possibili accessi e con 200 soldati sono entrati nella comunità con un ordine firmato dal giudice Guido Otranto”, dice a EL PAÍS Soraya Maicoño, portavoce della comunità. “L’ordine del giudice li autorizzava a entrare, prendere le cose e identificare, ma sono entrati sparando proiettili di gomma. Sette dei nostri guerrieri li hanno affrontati, ma erano in svantaggio e sono scappati, tre comunque sono stati arrestati,” aggiunge la donna, “Li hanno colpiti selvaggiamente e messi su un’ambulanza dalle otto di mattina fino alle tre del pomeriggio, senza assistenza medica. La polizia ha circondato la casa in cui si trovavano le donne e distrutto porte, pareti e finestre. Hanno preso le donne per i capelli e tirato, le hanno gettate a terra, picchiate e ammanettate. I  bambini giravano intorno alle loro madri assistendo a tutta la scena”. Verso le tre un avvocato ha presentato un habeas corpus a nome della comunità, le donne sono state rilasciate e sono tornate a casa.

Il governatore di Chubut, Mario Das Neves, se ne è venuto fuori in dichiarazioni alla stampa locale contro i mapuche. Ha detto che “hanno lanciato pietre contro un elicottero che doveva spegnere un incendio sul posto che occupano” e ha assicurato che quando la polizia provinciale si è ritirata dal luogo “è stata colpita con armi da fuoco, non con fionde, e le pietre sono sempre più grandi.” Inoltre ha dichiarato che (il giudice) “Otranto ha ritrattato, ed è stato lui ad emettere l’ordine di sgombero.” “Non permetteremo nessun abuso. Continueremo a denunciare i violenti”, ha detto il rappresentante della provincia.

Mercoledì scorso, i mapuche avevano denunciato una nuova repressione contro la comunità. “Si è fermata una camionetta da cui sono scesi dieci soldati con fucili e carabine e hanno iniziato a sparare al grido ‘uccidiamone qualcuno'”, dice Maicoño. E’ stato gravemente ferito Emilio Jones, un mapuche che vive nella città di Bariloche, ma che ha la famiglia nella zona di Chubut. Un proiettile di piombo è entrato dal collo e ha provocando la rottura della mascella. “Lo hanno mandato due volte prima che venisse assistito all’ospedale di El Bolson, ora ha bisogno della ricostruzione della mandibola con una placca di titanio, ma costa più di 50.000 pesos (US $ 3.135), non può parlare o mangiare, anche se per fortuna è già a Bariloche con la sua famiglia”, riferisce la portavoce.

La comunità mapuche sostiene di avere i domini delle terre in questione, parte del vasto territorio che detiene la Compagnia delle terre del sud argentino, proprietà di Benetton dal 1991. La società si dichiara proprietaria di un territorio oggetto di controversia dal 1891, poco dopo la fine della cosiddetta Campagna del Deserto, che mise fine ai possessi indigeni nella zona tra il 1878 e il 1885. Secondo la sua versione, non c’erano mai stati reclami da parte dei nativi prima che la società passasse nelle mani della società italiana, che oggi è uno dei più grandi proprietari terrieri stranieri in Patagonia.

Per l’azienda, l’operazione di polizia è estranea alle cause promosse da Benetton in tribunale contro la comunità, ma “per garantire il passaggio di un treno impedito da questi gruppi violenti.” Fonti della società affermano che il popolo mapuche occupa illegalmente il luogo di Vuelta del Rio da due anni e ci sono stati numerosi atti di violenza contro la proprietà e diversi dipendenti della società, come incendi, furto di bestiame, taglio di recinzioni di filo spinato e colpi intimidatori. “Siamo in una situazione di violenza reiterata, senza limitazioni, non c’è modo di fermarli e si sentono fieri delle loro violenze” sottolineano.

La repressione della polizia contro la comunità Resistenza Cushamen è stata condannata da Amnesty International. L’agenzia considera sproporzionato l’invio di 200 poliziotti per liberare la ferrovia e denuncia la violenza esercitata contro tutti i presenti, tra i quali c’erano donne e bambini. L’unico punto in comune tra le parti è la necessità di un coinvolgimento dello Stato per raggiungere una soluzione pacifica. “La comunità è stata spogliata e tenta di recuperare le proprie terre. Occorre ripensare le forme di coordinamento con le comunità”, dice Paola Rey Garcia, direttrice di Protezione e Promozione dei diritti umani di Amnesty International Argentina. “Oggi non si sta discutendo la questione di fondo, che è quello che facciamo con le terre originarie. E’ una richiesta che potrebbe anche essere giusta, ma la risposta è limitata, deve darla lo Stato”, dice Benetton. Senza l’intervento del governo, la vertenza resterà aperta.

Il gruppo di artiste tessili Puntadas Ranquelas ha cominciato a inviare mail all’indirizzo email di Benetton in Italia. Dicono:

“L’idea è far sentire che qui non ci piace quello che stanno facendo e che ognuno scriva quello che preferisce.” Nelle loro email, fra l’altro, hanno scritto: “Benetton complice. Benetton contraddice la sua politica a favore della diversità, che è pura apparenza e strategia di marketing visto che è complice e causa principale della repressione dei popoli indigeni nel Chubut, Patagonia argentina.  Che il mondo intero sappia, ed è quello che faremo. Benetton fuori dall’Argentina.”

L’indirizzo email è press@benetton.it

Si prega di diffondere.

Traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte: http://internacional.elpais.com/internacional/2017/01/12/argentina/1484245950_028758.html

Prima e dopo L’Autorità palestinese.

FOTO Copertina – Lo stemma palestinese, l’Aquila di Saladino, prima (a destra) e dopo (a sinistra) l’Autorità Palestinese, trasformato in un uccello pelle e ossa.

2Il 4 gennaio, gli utenti palestinesi di Facebook hanno lanciato una tempesta di messaggi satirici in arabo contro l’Autorità Palestinese (AP) in risposta ad un post di Jamal Nazzal, membro del Consiglio rivoluzionario e portavoce dell’OLP. Il funzionario aveva condiviso una foto che metteva a confronto strade locali, prima e dopo l’istituzione dell’Autorità Palestinese. La metà superiore della foto, datata 1989, mostra combattenti della resistenza mascherati in marcia lungo una strada scarsamente sviluppata mentre il pubblico applaude. La metà inferiore della fotografia mostra una strada ben sviluppata, probabilmente in un quartiere elegante a Ramallah.

La giustapposizione delle due immagini fatta da Nazzal aveva lo scopo di lodare l’AP. Nella didascalia della fotografia si leggeva: “il sacrificio di quegli eroi [1989] ha aperto la strada  all’Autorità Palestinese, la cui leadership ha assicurato le nostre realizzazioni.” Molti palestinesi hanno contestato la sua affermazione, perché nel giustapporre queste due immagini suggerisce un dubbio scambio: diritti umani palestinesi in cambio di sviluppo economico.

L’Autorità Palestinese è da tempo considerata un corpo che ha soffocato la resistenza palestinese attraverso “il coordinamento di sicurezza” con le forze di occupazione israeliane, perno centrale degli accordi di Oslo. Due pratiche emblematiche di questo rapporto sono la detenzione da parte dell’Autorità Palestinese di prigionieri rilasciati dai loro carcerieri israeliani e il monitoraggio e  soppressione delle voci critiche.

Analogamente, i vantaggi economici promessi dall’Autorità Palestinese si sono dimostrati sfuggenti. La verità è che le disposizioni economiche degli accordi di Oslo, come sancito nel Protocollo di Parigi e dall’accordo del Cairo, hanno paralizzato l’innovazione palestinese con la costruzione di un quadro favorevole alla sicurezza di Israele, ignorando palesemente le elementari esigenze palestinesi come la libera circolazione e l’accesso alle risorse naturali. Il risultato è stato disastroso.L’economia palestinese dipende in gran parte dagli aiuti stranieri con una disoccupazione che si aggira intorno al 30%. Al di fuori di enclave come Ramallah, la povertà è prevalente. In queste condizioni, la corruzione dilaga in entrambi i settori, pubblico e privato. Non è una sorpresa che il 79% dei palestinesi creda che le istituzioni dell’Autorità Palestinese siano corrotte,come rileva il più recente sondaggio dell’opinione pubblica del Centro palestinese per la politica e la ricerca. Questa percezione è rafforzata in una lieve maggioranza che, contrariamente al post di Nazzal, crede che l’AP sia un peso piuttosto che una conquista per i palestinesi.

Questi fatti non li hanno dimenticati i molti palestinesi che sui social media hanno contestato la sfacciata valutazione dell’Autorità palestinese fatta da Nazzal usando l’hashtag # قبل_وبعد_السلطة (#pre_post_PA). Il popolare autore satirico Ali Qaraqe, fuggito in Turchia a causa della repressione subita dall’AP a causa della sua graffiante satira della leadership palestinese, ha invitato quasi 170K fan sui social media a prendere in giro la foto di Nazzal. Gli utenti hanno raffigurato il passaggio all’Autorità palestinese come banane che marciscono e un’aquila trasformata in pollo. Altri hanno preso di mira funzionari di Hamas e celebrità palestinesi.

Con l’hashtag diventato virale, Nazzal ha rimosso il post e lo ha poi ripubblicato in una versione modificata. Nel tentativo di allontanare le critiche, Nazzal ha modificato la didascalia quattro volte, a quanto dice la cronologia del post. Non è chiaro se l’Autorità palestinese abbia reagito all’attività on-line, anche se non è improbabile una ritorsione contro alcuni degli utenti con il blocco dei loro conti o la detenzione.

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Lo stemma palestinese, l’Aquila di Saladino, prima (a destra) e dopo (a sinistra) l’Autorità Palestinese, trasformato in un uccello pelle e ossa.
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Importante leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, prima (a destra) e dopo (a sinistra) l’AP.

“Prima della AP c’erano caos e corruzione, dopo l’AP la corruzione è stata organizzata, grazie a Dio.”

“Prima della AP Nael Barghouti era prigioniero, dopo l’AP è ancora prigioniero.”

“Prima della AP ero chiamata palestinese, dopo l’AP sono chiamata una ‘rimpatriata.'”

“Prima della AP per i combattenti della resistenza c’era una prigione, dopo l’AP ce ne sono due.”

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Le banane prima e dopo l’AP

“Prima della AP un chilo di Falafel costava 1 NIS, dopo l’AP un panino costa 5 NIS”.

“Prima della AP era OLP, dopo che l’AP è diventata una ONG.”

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Mohammed Assaf, il famoso Arab Idol, prima (in alto) e dopo (in basso) l’AP.
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Mahmoud Habbash, Ministro degli affari Religiosi, prima (in alto) e dopo (in basso) l’AP.

“Prima della AP c’erano 120 mila coloni, dopo l’AP il loro numero è salito a 750 mila”.

“Prima della AP i palestinesi erano uguali sotto occupazione, dopo l’AP abbiamo palestinesi sotto occupazione e VIP.”

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“Il cittadino palestinese” prima (a sinistra) e dopo (a destra) l’AP.

traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

fonte http://blog.palestine-studies.org/2017/01/11/before_after_pa/