Cantante del Sahara occidentale e attrice, Aziza Brahim ha dichiarato di non avere più in programma di partecipare al Festival di Musica Sacra di Gerusalemme nel mese di settembre.
In un annuncio pubblicato sulla pagina Facebook della cantante, ha detto in spagnolo e in inglese: “Ho deciso di annullare il mio concerto al Festival di Gerusalemme di Musica Sacra. Apprezzo sinceramente la comprensione e il sostegno dei miei fan, e il rispetto che molti mi hanno dimostrato nell’esprimere le loro opinioni. “ Secondo un comunicato stampa di BDS Sud Africa, alcuni “sostenitori e fan di Aziza Brahim, in contatto con lei attraverso i social media, hanno invitato l’artista ad annullare il suo concerto israeliano in solidarietà con il popolo palestinese.”
Il comunicato prosegue dicendo che gli attivisti avevano fatto notare il parallelismo tra occupazione illegale del Marocco del Sahara occidentale e gli abusi di Israele verso i diritti dei palestinesi. In quanto tale, BDS Sud Africa ha definito la decisione di Aziza Brahim “un esempio di internazionalismo e la capacità di essere coinvolti dalla propria lotta, e allo stesso tempo prestare solidarietà agli altri.” (Segue video di approfondimento)
Ultima colonia dell’Africa
Aziza Brahim è nata nei campi profughi saharawi allestiti dopo l’occupazione marocchina del Sahara Occidentale nel 1975.
In parte educata a Cuba, ha vinto un concorso musicale nazionale sahrawi nel 1995 e ha intrapreso una carriera di canto e recitazione. Alcune delle sue canzoni sono basate su poesie di sua nonna, al-Khadra bint Mabruk, conosciuta nel movimento nazionale saharawi come il “poeta dei fucili”. Il Sahara occidentale è stato chiamato “ultima colonia africana.” Diviso tra il Marocco e la Mauritania, quando la Spagna si ritirò nel 1970, contro la volontà del movimento anti-coloniale del popolo saharawi, migliaia di persone saharawi hanno vissuto nei campi profughi in Algeria per quattro decenni. Le due parti del Sahara Occidentale sono divise da un muro, il secondo più lungo del mondo – un destino che è familiare ai palestinesi.
Come con la Palestina, la comunità internazionale non è riuscita a intervenire sulla questione del Sahara Occidentale, con un piano referendario annunciato nel 1991 e mai attuato.
VIDEO – Doaa el-Adl, vignettista egiziana, mostra come le vignette stiano diventando sempre più un mezzo d’espressione femminile.
In alcuni paesi arabi le donne devono ancora chiedere il permesso di un parente maschio per ottenere un passaporto, sposarsi o lasciare il paese. Anche se la pratica della “tutela maschile” non è sempre sancita dalla legge, persiste nella vita quotidiana all’interno di molte famiglie.
Nell’ambito di 100 Women season, la BBC ha chiesto a tre vignettiste del Nord Africa di prendere in mano le loro penne e illustrare come la tradizione continui ad influenzare la vita delle donne nei loro paesi.
Egitto
“L’aspetto che maggiormente simboleggia la tutela maschile nel nostro paese è la questione delle giovani spose”, dice la premiata cartoonist egiziana Doaa el-Adl.
“I ricchi uomini del Golfo puntano a viaggiare attraverso povere zone rurali egiziane alla ricerca di spose temporanee, molto più giovani di loro.”
Come vignettista dalla forte impronta politica che affronta questioni tabù come la mutilazione genitale femminile e le molestie sessuali, el-Adl è spesso esposta ad attacchi ed è stata anche accusata di blasfemia.
Per ‘giovani spose’ si intendono ragazze che in Egitto hanno appena raggiunto l’età legale per il matrimonio – che è 18 anni – che le famiglie fanno sposare in cambio di denaro a uomini stranieri più vecchi.
In molti casi gli uomini intendono questi matrimoni come accordi di breve durata e abbandonano le ragazze subito dopo.
El-Adl sottolinea che, paradossalmente, una legge introdotta per cercare di fermare questa pratica in realtà l’ha incoraggiata.
Se un uomo straniero vuole sposare una ragazza di 25 anni più giovane di lui è obbligato a pagare alla sua famiglia l’equivalente di poco più di 6.000 dollari USA (£ 4.800).
Se per un ricco uomo degli stati del Golfo questo è un prezzo relativamente piccolo da pagare, per le famiglie povere egiziane, che lottano per far fronte a tempi economicamente sempre più disperati, si è dimostrato essere un forte incentivo.
“In poche parole, gli uomini in queste società vendono ragazze all’estero”, dice el-Adl. “E lo stato non è riuscito a fare in modo che ciò non accada.”
Che cos’è 100 donne?
BBC 100 Women riporta ogni anno i nomi delle 100 donne più influenti e ispiratrici in tutto il mondo. Creiamo documentari, lungometraggi e interviste sulla loro vita, dando maggior spazio alle storie che mettono le donne al centro.
Tunisia
“Quando ho iniziato a disegnare, l’ho fatto in modo anonimo e tutti hanno creduto che fossi un uomo”, dice la vignettista tunisina Nadia Khiari.
“Non potevano immaginare che una donna potesse anche disegnare, tanto meno ritrarre personaggi pieni di spirito e humor.”
Khiari è l’autrice di ‘Willis da Tunisi’ – un cartoon in cui le avventure di un gatto offrono un commento ironico della vita nella Tunisia post-rivoluzionaria.
Il tema scelto per questa vignetta – in cui figura anche Willis – è la continua pressione che viene esercitata sulle vittime di stupro affinché sposino i loro aggressori per evitare il disonore alle loro famiglie.
L’idea di disegnare la vignetta le è venuta in risposta alle controverse osservazioni fatte alla TV tunisina, in un talk show, da un ospite sospeso in ottobre dal lavoro dopo che aveva suggerito che una ragazza, vittima per anni degli abusi sessuali di tre uomini suoi parenti, rimasta incinta sposasse uno di loro.
Atteggiamenti come questo persistono, dice Khiari, nonostante la nuova normativa che è stata introdotta nel 2014 per sancire nella nuova costituzione del paese post-primavera araba l’uguaglianza di genere.
“Il corpo di una donna appartiene alla sua famiglia e anche se subisce violenza sessuale, è l’onore della famiglia che va preservato al di sopra di tutto, dice.
“L’amministrazione tunisina non riconosce lo stupro per quello che è. E non è visto come un reato grave.”
Marocco
Riham Elhour è stata la prima donna vignettista che sia mai stata pubblicata dalla stampa marocchina.
Compie gli anni nella Giornata internazionale della donna, l’8 marzo, e dice di essere “nata femminista.”
Quello che era iniziato da bambina come un hobby, è diventato la sua professione quando ha vinto più di 15 anni fa un premio Unesco.
Il tema che ha scelto per la sua vignetta sono i viaggi all’estero e il numero di uomini marocchini che fanno ricorso alla legge per impedire alle loro mogli di viaggiare all’estero.
Anche se molte delle leggi della tutela maschile del Marocco sono state annullate con le riforme del 2004 e del 2014, le donne hanno ancora legalmente bisogno del permesso formale del marito per lasciare il paese se vogliono portare i figli con sé.
“Gli uomini in questo modo possono controllare la vita delle donne”, dice Elhour.
Riham Elhour è tuttora l’unica disegnatrice del suo giornale.
Ma rimane fermamente convinta che attraverso la sua arte potrà cambiare il modo in cui le donne sono viste in Marocco.
“Voglio che i miei disegni spingano le donne a lottare per i loro diritti”, dice. “Non voglio che si lamentino di essere vittime. Io sono una combattente. Tutte le donne sono combattenti”.
Durante l’ultima sessione plenaria del Parlamento Europeo di Strasburgo sono intervenuto nel corso della discussione sulla situazione negli insediamenti palestinesi in Cisgiordania. Riprendendo l’impostazione presentata dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Sicurezza Federica Mogherini, ho sottolineato che soltanto l’Unione europea ha la forza politica e la credibilità per costruire un’iniziativa della comunità internazionale che porti al riconoscimento dei due Stati e, dunque, alla pace in quei territori.
Perché questo processo si avvii e perché il lavoro dell’UE abbia un effetto positivo, ho sottolineato che è indispensabile, nell’immediato, realizzare alcuni importanti obiettivi. Il primo è quello di fermare l’espansione delle demolizioni e delle colonie esistenti; il secondo è quello di chiedere un risarcimento, soprattutto dove le demolizioni hanno coinvolto strutture realizzate tramite progetti dell’Unione europea.
Dall’inizio del 2016, il numero delle strutture palestinesi demolite da Israele nell’Area C rispetto al 2015 è praticamente raddoppiato, arrivando a 891 strutture. Purtroppo la “moratoria immediata” di demolizioni e confische chiesta all’inizio del 2016 dall’UE non ha prodotto i risultati sperati, tanto che da maggio a ottobre sono state distrutte 352 strutture palestinesi di cui 106 costruite con fondi ricevuti dalla UE. E non va dimenticato che Israele è accusato di violare le leggi del diritto umanitario internazionale con queste demolizioni, dal momento che, secondo la convenzione di Ginevra, la distruzione di proprietà personali è proibita, come anche i trasferimenti forzati di masse di persone.
Senza un risultato concreto ravvicinato nel tempo, anche il tentativo nobilissimo di creare un’iniziativa comune della comunità internazionale rischia di essere una buona intenzione che si infrange contro il muro eretto, questa volta politicamente, da parte di Israele.
Dal sito web di Cofferati: http://www.sergiocofferati.eu/cisgiordania-servono-interventi-immediati-contro-le-demolizioni-degli-insediamenti-palestinesi-da-parte-di-israele/
L’ambasciatrice israeliana in Uruguay, Nina Ben Ami, ha detto che l’Uruguay l’ha delusa con il sostegno dato alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Nina Ben Ami, ambasciatrice israeliana in Uruguay, si riferisce alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha dichiarato illegali le colonie israeliane nei territori palestinesi.
L’Uruguay fa parte dell’organismo, e dunque la risoluzione ha avuto ripercussioni in questo paese.
Ben Ami si è detta delusa per il sostegno dato dall’Uruguay alla risoluzione Onu. Ha detto che “attacca Israele, l’unico paese democratico del Medio Oriente.” Il giudizio dell`Onu, per la prima volta dal 1979, ha definito come illegali gli insediamenti ebraici nei territori occupati della Cisgiordania e Gerusalemme Est.
La diplomatica ritiene che la risoluzione “premia il terrorismo palestinese” e “crea la falsa illusione che sia possibile raggiungere un accordo senza negoziati diretti fra le parti”, e che perció “allontana ancor di più il vero processo di pace.”
“Riteniamo che con questo voto l’Uruguay si è allontanato dal ruolo tradizionale di amicizia e di sostegno che ha caratterizzato le relazioni tra le nostre nazioni”, ma ha riconosciuto che l’Uruguay è stato il quarto paese al mondo a riconoscere Israele.
Immagine di copertina: Giugno 2015 Netanyahu accusa le Nazioni Unite per aver riconosciuto l’ONG Palestinian Return Center (PRC).
Wellington: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato personalmente al Ministro degli Esteri della Nuova Zelanda, Murray McCully, per avvertirlo che la risoluzione delle Nazioni Unite cosponsorizzata dal suo paese è stata una “dichiarazione di guerra”, come riporta un importante quotidiano israeliano.
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