Circa il 70% di tutte le città che si trovano all’interno di Israele – territori palestinesi occupati dal 1948 – sono “per soli ebrei”; ai cittadini arabi dello stato è vietato viverci. Questa è la politica sostenuta fin dalla creazione dello stato d’Israele sulla terra palestinese. I mezzi e i metodi possono anche essere cambiati, ma non l’obiettivo di Israele; creare città “arabo-free”, cioè esclusivamente per chi sia di etnia ebraica, è l’intenzione ufficiale. Questa è ordinaria discriminazione a favore di un gruppo di cittadini; questo è apartheid. Nonostante questo fatto sia ovvio, è un problema che la comunità internazionale preferisce non affrontare e così Israele continua a farla franca.
L’Unione europea ha denunciato Israele per la sua ostinazione nel detenere amministrativamente palestinesi senza colpa.
In una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio nella Gerusalemme occupata, l’UE ha espresso preoccupazione per l’uso eccessivo che Israele fa della detenzione amministrativa contro i palestinesi senza che vi sia una accusa qualsiasi.
Nella dichiarazione si parla di una particolare preoccupazione per il peggioramento delle condizioni di salute dei prigionieri Anas Shadeed e Ahmed Abu Fara, che hanno portato avanti uno sciopero della fame per due mesi e mezzo in segno di protesta contro la loro detenzione amministrativa.
I dati presentati parlano di più di 700 detenuti amministrativi palestinesi nelle carceri israeliane, tra cui tre minorenni.
L’UE ha chiesto a Israele di rispettare i suoi obblighi internazionali per quanto riguarda i diritti umani nei confronti di tutti i detenuti e di consentire loro di avere accesso all’assistenza legale ed essere oggetto di un processo equo.
Sarah Algherbawi (*) The Electronic Intifada, Striscia di Gaza 5 dic 2016
Khuloud Abu Qamar ha parlato con calma, ma le sue parole continuano a sconvolgere. “Israele mi sta uccidendo lentamente”, ha detto. “E sta uccidendo anche i miei figli.”
Dopo aver subito un intervento chirurgico per il tumore al seno l’anno scorso, Abu Qamar ha necessità di un ulteriore trattamento che non è stata in grado di ricevere a Gaza. Ha chiesto a Israele il permesso di viaggiare. Le sue richieste sono state finora respinte.
Khuloud Abu Qamar ha 40 anni, sei figli, il più giovane dei quali è ancora un bambino.
La sua situazione è condivisa da molti altri a Gaza. Le stime del Ministero della Sanità locale indicano che quest’anno diverse centinaia di donne con cancro al seno sono state ostacolate da Israele per curarsi fuori dalla Striscia.
Uscire da Gaza per il trattamento è di vitale importanza, gli ospedali della striscia costiera non sono adeguatamente attrezzati per fornire servizi come la radioterapia.
Come parte della propaganda dello Stato, Israele si ritrae come leader globale nel trattamento e nella ricerca sul cancro. Per promuovere la consapevolezza del cancro al seno nel mese di ottobre, l’aviazione israeliana ha dipinto i suoi aerei da guerra rosa.
L’espediente non ha dato conforto alle donne di Gaza.
“Io non voglio morire”
Alaa Masoud è una mamma di 25 anni che vive nel campo profughi di Jabaliya, anche a lei è stato diagnosticato un cancro al seno. Recentemente le è stato rimosso il seno destro all’ospedale al-Shifa di Gaza City.
I suoi medici hanno dichiarato che lei ha bisogno di consultare gli specialisti che lavorano in Israele o in Cisgiordania. Finora, ha fatto cinque richieste per il permesso di viaggiare attraverso Erez, il posto di blocco militare israeliano sul confine settentrionale di Gaza. Tutte e cinque le sue richieste sono state respinte.
Il rifiuto ha esacerbato la sua sofferenza. Il cancro l’aveva costretta a smettere di allattare il suo bambino Amir.
“Io non voglio morire”, ha detto. “Voglio vedere il mio bambino crescere fino a diventare un bel giovane uomo.”
Viaggiare attraverso Erez è praticamente l’unica possibilità per i residenti di Gaza che necessitano di cure che non possono ricevere negli ospedali e nelle cliniche della Striscia.
Fino a poco tempo fa, molti pazienti si curavano in Egitto. Adesso con la quasi costante chiusura del valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto c’è stato un netto calo del numero di palestinesi che possono recarsi in Egitto per le cure.
Gruppi per i diritti umani hanno a lungo documentato come Israele ha, in effetti, cercato di ricattare i palestinesi che sono gravemente malati. A numerosi pazienti è stato proposto il permesso a viaggiare per le potersi curare a condizione di diventare informatori per lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna di Israele.
Dalia Abu Skhaila, una donna malata di cancro al seno di 34anni proveniente dal sud della zona di Khan Younis di Gaza, ha riferito che gli agenti israeliani a Erez hanno cercato di reclutarla come un informatrice su una serie di eventi. Lei ha rifiutato di accettare tale ricatto e le è stato bloccato il viaggio.
“Morire a Gaza è molto più facile che tradire il mio popolo e il mio paese”, ha detto.
Educazione
Nonostante gli ostacoli che Israele ha creato per il trattamento, gli operatori sanitari a Gaza stanno cercando di sensibilizzare per aumentare la consapevolezza del cancro al seno.
Secondo Khaled Thabet, che dirige il dipartimento di oncologia di al-Shifa, una delle principali sfide che si devono affrontare è che quando viene rilevato il cancro al seno è spesso in fase avanzata, rendendo il trattamento difficile. Per aiutare la diagnosi precoce, lei e altri medici stanno incoraggiando le donne a sottoporsi a test periodici.
“C’è una mancanza di una cultura di prevenzione”, ha detto.
Hala al-Talmas, una trentacinquenne che vive nel campo di Jabaliya, è stata riluttante ad avere un check-up quando, soprattutto di notte, ha cominciato ad avvertire lievi dolori al suo seno destro.
Un’ amica con la quale si era confidata, l’aveva spronata a vedere un medico. Eppure Hala ha evitato di farlo fino a un paio di mesi più tardi. Quando i dolori sono diventati più forti, ha notato un piccolo nodulo nel suo seno. Hana si confidò con la madre, Hania, e fu allora visitata all’ospedale al-Shifa. Il personale scoprì così che aveva un piccolo nodulo nel suo seno e diagnosticò un cancro.
Quando un medico chiese ad Hala perché avesse aspettato così a lungo, lei rispose che aveva avuto paura.
Con l’aiuto della sua famiglia allargata, riuscì a raccogliere abbastanza denaro per l’operazione e le fu asportato il seno. Hala dopo l’operazione iniziò la chemioterapia. Dopo poche settimane di trattamento fu colpita da un ictus e morì.
“Avrei voluto che mia figlia fosse stata più consapevole e che fosse stata visitata da un medico nelle prime fasi della sua malattia”, ha detto Hania, la madre di Hala.
Medicina sotto assedio
Il cancro al seno è una delle principali cause di morte tra le donne di Gaza, secondo il ministero della salute. Quasi 750 casi di cancro al seno sono stati rilevati nel 2015.
Le autorità di Gaza promuovono campagne di sensibilizzazione per educare le donne sul cancro al seno.
The Electronic Intifada ha chiesto ad un campione di 200 donne di Gaza se avessero frequentato campagne. Circa il 90 per cento delle donne – di età compresa tra 25-65 anni- ha risposto di no.
“Ho una paura di queste campagne e non le frequento”, ha detto Doaa al-Shami, una donna di 31 anni. “Ho partecipato una sola volta da quando mi sono sposata.”
Le autorità sanitarie di Gaza stanno lottando per far fronte agli effetti dell’assedio che Israele ha imposto sul territorio da quasi un decennio.
Le attrezzature sanitarie sono state spesso bloccate alla frontiera di Gaza, i farmaci vitali scarseggiano.
Ahmed El Shorafa, capo del dipartimento di oncologia presso l’ European Hospital a Rafah, una città nel sud di Gaza, ha detto che “I problemi che affliggono il ministero della salute qui sono evidenti. Essi sono causati da scarsità di denaro e attrezzature. Abbiamo bisogno di più presidi sanitari e più personale per fornire l’educazione alla salute in tutta Gaza.”
(CNN) L’ex presidente Jimmy Carter invita l’amministrazione Obama a riconoscere lo Stato Palestinese prima di lasciare l’incarico previsto per il 20 gennaio 2017.
Carter, forte sostenitore per i diritti dei palestinesi e di una soluzione a due stati tra israeliani e palestinesi, lunedì in un editoriale su New York Times ha elogiato l’amministrazione Obama per il suo sostegno alla “negoziazione per la fine del conflitto basata sui due Stati,” ma ha avvertito che questo lavoro potrebbe essere vanificato dalla nuova amministrazione repubblicana.
Le forze israeliane lunedì a mezzogiorno hanno messo sotto assedio il cimitero palestinese di Bab al-Rahma, fuori dalla città vecchia di Gerusalemme Est occupata, negando l’ingresso ai palestinesi che tentatavano di seppellire il corpo di una donna recentemente scomparsa.
Testimoni oculari hanno riferito a Ma’an che le forze israeliane hanno improvvisamente circondato il cimitero dopo le preghiere del primo pomeriggio e hanno impedito la sepoltura con il pretesto che il cimitero si trova su un terreno dello stato di Israele, confiscato per rendere possibile la realizzazione di un “parco nazionale”.
La gente del posto ha aggiunto che in precedenza, lunedì mattina, le forze israeliane avevano arrestato due membri della famiglia della donna deceduta mentre stavano cercando di aprire una tomba nel cimitero per prepararla per la sepoltura.
Un portavoce della polizia israeliana ha detto di non essere a conoscenza degli incidenti.
Bab al-Rahma, che significa Porta della Misericordia, corre lungo la parete orientale della Città Vecchia di Gerusalemme ed è in uso da più di 1.000 anni.
Il cimitero è stato luogo di crescenti tensioni e polemiche negli ultimi mesi, da quando sembra che le autorità israeliane abbiano applicato politiche che risalgono a settembre 2015 per il sequestro di parti del cimitero da utilizzare per un sentiero del parco nazionale.
Il capo del comitato per la conservazione dei cimiteri islamici a Gerusalemme, Mustafa Abu Zahra, all’epoca disse a Ma’an che una zona del cimitero, tra cui delle tombe, era stata recintata come parte della confisca.
Abu Zahra ha detto che le autorità israeliane “hanno dichiarato di stare attuando una decisione del giudice”, ma le autorità non hanno presentato alcuna prova di una sentenza del tribunale a sostegno dei loro piani di sequestro di parti del cimitero per il parco nazionale proposto.
Abu Zahra ha aggiunto che esistono documenti che provano che la terra appartiene all’Islamic Endowment che controlla il complesso di Al-Aqsa. Ha detto che i documenti mostrano chiaramente gli esatti confini del cimitero.
Nel settembre di quest’anno, Israeli Nature and Parks Authority hanno sigillato due tombe inutilizzate già scavate nel cimitero.
Nel mese di novembre, le forze dell’Israeli Nature and Parks Authority hanno fatto irruzione nel cimitero e demolito sei tombe e altre lapidi che, a quanto riferito, si stavano sgretolando.
Lo sceicco Omar al-Kiswani, direttore del complesso della moschea Al-Aqsa, ha detto a Ma’an che le autorità hanno sostenuto che le sei tombe si trovavano in una parte del 40% del cimitero che il governo aveva confiscato per il parco.
Al-Kiswani ha contestato l’argomentazione, citando documenti ufficiali che stabiliscono che le tombe che sono state demolite erano di proprietà delle famiglie al-Husseini e al-Ansari.
Nessun portavoce dell’Israeli Nature and Parks Authority è stato immediatamente disponibile per un commento a caldo.
Mahmoud al-Habbash, un consigliere dell’Autorità Palestinese (PA) per gli affari religiosi e islamici, in una dichiarazione ha condannato le gravi demolizioni, definendo le demolizioni un segno della “confusione politica israeliana” dopo che la recente risoluzione dell’Unesco ha denunciato le violazioni israeliane nel complesso della moschea Al-Aqsa.
La risoluzione ha causato un tumulto politico e mediatico in Israele, con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha sostenuto che l’agenzia delle Nazioni Unite ha “negato l’oltre 3.000 anni di legame tra il popolo ebraico e il suo luogo più sacro a Gerusalemme,” per il fatto che la risoluzione riporta il solo nome musulmano per il luogo sacro e non quello ebraico, Monte del Tempio.
Al-Habbash ha aggiunto che le demolizioni sono “un crimine per il quale Israele deve essere punito in conformità con il diritto internazionale”. Ha sottolineato la sacralità del cimitero di Bab al-Rahma, in quanto considerato patrimonio islamico e parte del complesso di Al-Aqsa.
Il direttore al-Kiswani aveva precedentemente detto a Ma’an che “non solo l’occupazione israeliana perseguita i musulmani in vita, ma nemmeno i morti sono al sicuro.”
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