I due co-sindaci della metropoli curda di Amed (Diyarbakir) Gültan Kışanak e Fırat Anlı sono stati arrestati la sera del 25.10.. L’arresto di Kışanak e Anlı sarebbe stato avviato dalla procura generale in base a un’indagine sul PKK. Mentre Kışanak è stata arrestata al suo ritorno da Ankara all’aeroporto di Amed, i poliziotti hanno arrestato il secondo co-sindaco della città, Anlı, a casa sua.
Al momento sono in corso le perquisizioni delle abitazioni dei due. Anche l’edificio dell’amministrazione è stato assaltato dalla polizia e al momento è ancora in corso la perquisizione.
I due co-sindaci di Amed nelle elezioni amministrative del 2014 erano stati eletti con una percentuale di voti del 55%. Anche se non è previsto dalla legislazione turca, il Partito per la Pace e la Democrazia (BDP), il partito antecessore dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli) per le elezioni amministrative aveva annunciato che nei comuni nei quali sarebbe stato eletto, nell’ambito della parità di genere sarebbero stati governati da un vertice costituito da una donna e da uomo. Questa impresa poi nei 97 comuni nei quali il BDP è stato eletto come forza maggioritaria, è stato anche praticato.
Attualmente l’AKP al governo procede in modo pesante contro tutte le amministrazioni locali curde. In complessivamente 25 comuni nei quali il BDP è stato eletto nel 2014, i sindaci in base alla legge sullo stato di emergenza in Turchia sono stati destituiti: I comuni sono stati poi sottoposti ad amministrazione forzata. Numerosi sindaci e numerose sindache a seguito di questo provvedimento sono stati arrestati. Gli arresti di Kışanak e Anlı al momento rappresentano il culmine della repressione da parte dello Stato turco.
Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia
Dichiarazione del HDP
The state will not be able to take the people’s will hostage…
Last night the Co-mayors of Diyarbakir City Council, Gultan Kisanak and Firat Anli, were taken under arrest while their homes and the City Council buildings were searched. This is an unlawful and arbitrary act.
The Erdogan-AKP government is continuing to abuse the will of the people. By attacking the political will of the Kurdish people the state is aiming to liquidate any meaningful democratic opposition in the country. The taking into custody of Gultan Kisanak and Firat Anli is an open declaration of war against democratic politics.
This unlawful and arbitrary act is against universal humanitarian values, democratic principles and contradicts the international agreements that Turkey itself is a signatory of.
This atmosphere of suppression, lawlessness and tyranny created by the state is unacceptable. The state is responsible for this historical mistake and chaotic atmosphere.
These arbitrary and unlawful arrests must end immediately. The Co-mayors of Diyarbakir City Council, who have been taken under arrest on fabricated evidence, must be freed at once.
We call upon all non-governmental organisations, political parties, the forces of democracy and peace, international institutions and parliaments: do not stay silent in the face of these unlawful attacks. Do not accept the immensely unlawful measures currently being implemented in Turkey.
HDP Executive Committee
26 October 2016
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UIKI Onlus
Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia
Via Ricasoli 16, 00185 Roma, Italia
Coloni israeliani stanno erigendo un nuovo avamposto nel nord della Valle del Giordano su terra proprietà privata palestinese.
Secondo l’articolo di Haaretz, anche se le autorità israeliane non hanno autorizzato la sua costruzione e sono consapevoli della sua esistenza, l’edificazione continua ad andare avanti senza ostacoli.
L’avamposto è vicino ad un altro avamposto non autorizzato, Givat Salit, costruito nel 2001.
Le autorità israeliane di occupazione hanno dichiarato di avere emesso un ordine per fermare i lavori dell’avamposto. Tuttavia, un sopralluogo di Haaretz ha rilevato che i coloni vanno avanti senza tenerlo in considerazione.
“La zona in cui era in corso la costruzione si estendeva su di una collina adiacente”, afferma Haaretz, “e comprendeva la posa di una tubazione dell’acqua e l’avvio della costruzione di un abbeveratoio per il bestiame. La collina, va notato, è considerata proprietà dello Stato e non terra proprietà privata palestinese”.
I coloni hanno minacciato e preso di mira palestinesi che vivono nella zona, impedendo, tra l’altro, ai pastori di “portare, come d’abitudine, le greggi al pascolo nelle loro terre sulla collina.”
Inoltre, “poco dopo che l’avamposto è stato creato”, le forze israeliane “hanno distrutto un intero accampamento di tende di una famiglia palestinese” che “viveva nel sito da molti anni.”
In un altro incidente “una jeep israeliana si è lanciata a tutta velocità contro un gregge di bestiame”, il veicolo è stato “identificato come appartenente ad un residente di Shadmot Mehola, un insediamento sull’altro lato della strada nella zona. L’insediamento è stato costruito su un terreno di proprietà di palestinesi costretti a fuggire all’estero nel 1967.”
Trad. Simonetta Lambertini-Invictapalestina.org
Chloé Rouveyrolles, à Shilo — 21 octobre 2016 à 17:26
A Shilo, colonia illegale situata a nord di Gerusalemme, 2.000 israeliani hanno partecipato alla seconda edizione di una maratona per rivendicare il possesso delle terre.
“Sono venuta a correre perché, oggi più che mai, dobbiamo dimostrare che questa è la nostra terra, per combattere contro la pressione internazionale”, annuncia con orgoglio Yael Snil residente di Psagot, una colonia a nord di Gerusalemme, venuta per partecipare alla seconda edizione della maratona della Bibbia, in Cisgiordania. Gli organizzatori dell’evento dicono che 2.000 persone hanno partecipato alla corsa – un po’ meno rispetto al 2015 – in gran parte israeliani e, tra loro, molti dei 400.000 abitanti degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, ritenuti illegali dalla comunità internazionale.
I coloni sono disinvolti. Civili armati vagano sulla terra color ocra – da un anno il porto d’armi è più facile da ottenere, dopo una serie di attacchi con coltello e di violenza. Da allora, gli scontri tra palestinesi e israeliani restano frequenti. Ma qui l’atmosfera è gioiosa: battaglioni di passeggini scivolano attraverso atelier per bambini e bancarelle che reclamizzano i vini prodotti dalle colonie. “E’ vero, è divertente, ma siamo qui anche per inviare un messaggio,” sintetizza Yael. Come molti altri coloni-maratoneti, è delusa dal suo governo. “Devono essere più forti e sostenerci.” Per lei, le colline su cui ha corso questa mattina “appartengono per l’eternità al popolo ebraico.” Non capisce la critica alla presenza israeliana in Cisgiordania.
“Io non ho paura”
Nelle ultime settimane, diversi eventi hanno preoccupato i coloni. Mercoledì, i palestinesi hanno chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di “assumersi le proprie responsabilità” e di costringere Israele a porre fine alla colonizzazione. I precedenti tentativi si erano scontrati con il veto degli Stati Uniti. La sera stessa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu espresse la preoccupazione che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, potesse avvalersi delle ultime settimane del suo mandato per sostenere iniziative contro gli interessi israeliani, come potrebbe essere una risoluzione di condanna degli insediamenti.
I coloni si sono mobilitati anche per difendere la loro causa, in particolare quella di Amona, dove vivono circa 300 israeliani. La Corte Suprema israeliana ha stabilito che questa colonia sperduta, illegale secondo il diritto internazionale e israeliano, debba essere distrutta prima della fine dell’anno, dato che è stata costruita su terreni privati palestinesi. “Io non ho paura. Chi ha collegato Amona alla corrente elettrica, all’acqua, alla rete viaria? È lo stato! Anche se è un investimento che può sembrare complicato per lo stato israeliano, gli insediamenti sono la scelta migliore da fare”, ritiene Israël Ganz, capo aggiunto del Consiglio regionale di Binyamin (insieme di colonie nella Cisgiordania centrale). Indica le centinaia di uomini, polizia e esercito, che forniscono la sicurezza alla maratona per dimostrare il legame esistente tra le autorità e i coloni.
“Noi siamo uniti “
Il traguardo della maratona si trova ai piedi dell’insediamento di Shilo. Recentemente, le autorità israeliane hanno approvato la costruzione di 98 nuove abitazioni al suo confine. Una decisione condannata (tra gli altri) dalla Francia. Ma per Lorraine Skupsky, la piccola città di 3.400 abitanti evoca qualcosa di diverso. Termina con un po’ di fiatone la maratona, questa sessantenne di origine americana che vive a Gerusalemme da dieci anni, ma si sente legata alla colonia perché “Shilo è stata una capitale del regno di Israele.”
Residente della colonia, Elisheva Poodiack tempera la portata politica della maratona. Venuta per incoraggiare il marito, la figlia e il figlio che partecipano alla corsa, ha trovato l’evento molto toccante: “Prima della gara, hanno parlato della vita degli ebrei di tremila anni fa su queste colline. Hanno raccontato la storia dell’uomo di Benjamin che ha corso fino a Shilo come i maratoneti di oggi: mi sono venute le lacrime agli occhi perché questo dimostra che siamo uniti, tutti, intorno a questa terra, ieri e come oggi”, conclude.
L’occupazione non è una questione interna israeliana e i diritti umani sono sempre una questione che riguarda l’intera comunità internazionale.
Michael Sfard (*), 24 ott 2016 20:18
Molto tempo fa, quando ero uno studente di liceo a Gerusalemme, ho avuto un insegnante di educazione civica che spiegò alla mia classe qualcosa di sorprendente. Lo Stato è un mezzo, disse, e gli esseri umani sono sempre il fine. L’organizzazione sociale è destinata a servire le persone e solo le persone e, di conseguenza, non esiste una cosa come “il bene dello Stato” distinto dal benessere dei suoi cittadini.
Questo è successo moltissimi anni fa, quando il ministro dell’Istruzione era Zevulon Hammer, leader del Partito nazionale religioso, di estrema sinistra secondo gli attuali termini di paragone , ed era ancora possibile esprimere le proprie idee ad alta voce senza mettere l’insegnante sul quella Via del Dolore che , circa tre anni addietro, l’insegnante di educazione civica Adam Verete si trovò a dover percorrere per aver espresso in classe idee di sinistra.
E questo accadeva anche prima che la nazione che ha ispirato i valori fondanti della cultura occidentale proibisse i suddetti valori all’interno dei suoi confini nazionali e prima che i discepoli di Rabbi Zvi Yehuda Kook ottenessero il monopolio della “coscienza ebraica.”
A causa di questo insegnate e dei miei genitori, che erano d’accordo con lui, mi sono ritrovato danneggiato- un bambino innocente corrotto dalla convinzione che per rispetto dello Stato non si intende il rispetto di un’entità metafisica, organica con valori intrinsechi, ma piuttosto il rispetto dei diritti umani di tutti coloro che sono sotto il suo controllo.
E dalla convinzione che uno Stato non ha il diritto di esistere se non aspira e se non si sforza di creare le condizioni per promuovere la felicità e lo sviluppo personale di tutti i suoi cittadini e se non fa tutto il possibile per evitare di causare sofferenze agli esseri umani.
La lealtà politica ad un soggetto politico è solo ed esclusivamente la fedeltà verso i valori in nome dei quali questo Stato fu creato, e non la fedeltà alla sua esistenza nel mero nome della sua esistenza.
Il dibattito sulla legittimità della recente presenza di Hagai El-Ad, direttore esecutivo dell’associazione B’Tselem al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui ha chiesto ai suoi membri di adottare misure che favoriscano la fine all’occupazione, è nato più che altro dall’ isteria politica del governo di Israele – che sente le fiamme della repulsione internazionale verso la sua politica di insediamento sempre più vicine alle sue parti basse.
Tuttavia, se lasciamo il beneficio del dubbio ad alcune delle critiche di El-Ad e supponiamo che il fulcro della critica sia una divergenza di valori e un disaccordo per principio con l’idea che un Israeliano abbia il diritto di criticare il suo paese e possa richiedere contromisure in un forum internazionale, allora questa posizione si basa su una totale mancanza di comprensione del concetto di contratto sociale.
Per ragioni di completezza di informazione, vorrei aggiungere che nel maggio scorso, anch’io ho presenziato ad un Consiglio di Sicurezza, per conto dell’organizzazione non governativa Yesh Din – Volontari per i diritti umani, di cui io sono consulente legale.
Anch’io, ho invitato i membri del Consiglio di Sicurezza ad adottare misure che avrebbero spinto Israele a porre fine alla violazione del diritto internazionale e alla sua politica di insediamento.
Da 50 anni a questa parte, lo Stato di Israele opprime pesantemente milioni di persone. Centinaia di migliaia di persone sono nate e vivono tutta la loro vita senza quei diritti che li metterebbero nelle condizioni per influenzare il loro destino e il loro futuro. E centinaia di migliaia di persone sono morte senza nemmeno aver mai assaporato la libertà politica.
Come ha detto El-Ad, nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza “I Palestinesi respirano occupazione ad ogni respiro” A questo, vorrei aggiungere: ad ogni respiro, la concentrazione di ossigeno diminuisce, rubato da insediamenti e da coloni, e per i Palestinesi aumenta l’asfissia.
Tuttavia, il fatto che ci troviamo dinanzi a un’imponente violazione di diritti umani non è sufficiente per accusare lo Stato. A volte, tali violazioni sono un’esigenza dettata dalla realtà, un male necessario.
Nella più giustificata delle guerre di difesa, persone innocenti possono soffrire. Il duro risultato ottenuto dalla sola prospettiva dei diritti umani non è una pistola fumante sufficientemente indicativa della colpevolezza dello Stato. Una questione chiave è fino a che punto uno sia costretto o scelga liberamente queste politiche dolorose.
E’ difficile trovare un esempio più incriminante della politica dei governi di Israele con l’apice raggiunto dal suo attuale governo retto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, per quanto riguarda l’occupazione e gli insediamenti.
Cinquanta anni di colonizzazione che priva i civili occupati della loro proprietà sia privata che collettiva, col perpetuarsi legalizzato della segregazione e discriminazione tra le persone secondo la loro origine nazionale, di rifiuto costante e clamoroso della pace, di radicalizzazione dell’occupazione per generazioni – e tutto questo dall’alto di una posizione di potere e per scelta, in violazione del diritto internazionale.
Che cosa dovrebbe fare un attivista per i diritti umani che conosce così bene l’occupazione? Un attivista onesto rimanda la risposta al popolo, per convincere l’opinione pubblica israeliana a porre fine a tutto questo. E fino a quando non si riuscirà a fare questo, non potrà sedersi in silenzio e accettare le decisioni della maggioranza.
Tuttavia, questa risposta è in linea con una visione meramente procedurale della democrazia e ignora l’obbligo che la maggioranza ha di promuovere i valori per i quali esiste lo Stato. Uno stato che ruba – uno stato ladro che impone un regime di apartheid in una minoranza nazionale senza diritti – non può rivendicare la legittimità derivata dalla scelta della maggioranza, né può aspettarsi che gli attivisti per i diritti umani possano accettare la sua decisione.
Inoltre, quando l’attivista si dirige verso l’opinione pubblica israeliana, si ignora il fatto che l’occupazione non è una questione interna israeliana. E anche se lo fosse, i diritti umani sono sempre una questione per l’intera comunità internazionale. Attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo, e anche da Israele, dovrebbero dedicarsi alla promozione e tutela dei diritti umani, manifestando in tal modo la loro fedeltà alla cornice politica a cui aderiscono. E, considerando che ovunque lo stato agisce intenzionalmente per infliggere gravi danni ai diritti di coloro che sono sotto il suo controllo, rivolgersi al mondo intero tramite gli strumenti legali disponibili non è solo legittimo, ma anche un obbligo.
La scorsa settimana, avvocati per i diritti umani membri del Centro statunitense per i diritti costituzionali – una nota organizzazione per i diritti umani – hanno presentato una perizia a un tribunale francese per supportare la convocazione dell’ex consigliere legale del Dipartimento della Difesa statunitense, William J. Haynes , in modo tale che egli possa essere interrogato sul suo presunto coinvolgimento nell’ uso di tecniche di tortura a Guantanamo. La creazione nel sistema giuridico statunitense della fattispecie giuridica dell’ immunità per coloro che si sono macchiati di crimini di tortura ha obbligato gli attivisti per i diritti umani a uscire dai confini nazionali.
Quindi, non aspettatevi che gli attivisti israeliani per i diritti umani celebrino con voi l’anniversario dell’occupazione, in silenzio e con capo chino. L’occupazione non è legittima; la politica del governo israeliano non è legale e non è morale. Ḗ mossa piuttosto da un’avidità ideologica che ignora l’enorme sofferenza che infligge a milioni di esseri umani che sono asfissiati dal suo peso ogni giorno della loro esistenza. Nessuna maggioranza ha il diritto di imporre una pena di oppressione come questa su una minoranza, e in particolare su una minoranza che non partecipa affatto al processo decisionale inerente il suo futuro. E nessun attivista per i diritti umani ha il diritto di rinunciare a qualsiasi strumento non violento, nazionale o internazionale, per combattere un’occupazione così lunga e crudele. Fino a quando essa non si frantumerà in mille pezzi.
(*) Lo scrittore è un avvocato che rappresenta le organizzazioni e gli attivisti per i diritti umani .
Il capo della coalizione parlamentare del governo israeliano di destra cerca di far revocare la cittadinanza del direttore di una ONG israeliana di difesa dei diritti umani, che alle Nazioni Unite ha espresso la sua opposizione alle colonie.
Il deputato David Bitan, membro del Likud, partito del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, venerdì ha dichiatao sul secondo canale della televisione israeliana di “stare esaminando la possibilità legale” di revocare la cittadinanza israeliana di Hagai El-Ad, direttore dell’ONG B’Tselem. Secondo gli analisti, l’iniziativa di David Bitan non ha che ben poche probabilità di concretizzarsi in quanto la legge non consente di revocare la cittadinanza se non in casi comprovati di “terrorismo, tradimento o spionaggio”.
Hagai El-Ad, lo scorso fine settimana, aveva partecipato ad una riunione sulle colonie del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Aveva denunciato 49 anni di una “ingiustizia, vale a dire l’occupazione della Palestina e il controllo israeliano sulle vite palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.”
“Vi imploro di agire ora”, è stato il suo appello lanciato all’assemblea.
In un messaggio su Facebook, Netanyahu aveva giudicato l’appello del signor El-Ad “un’azione contro Israele”, accusando B’Tselem di cercare di ottenere, tramite la “pressione internazionale”, ciò che “non è riuscito a ottenere attraverso elezioni democratiche in Israele”. David Bitan ha aggiunto che l’appello del signor El-Ad “costituisce una palese violazione della fiducia di un cittadino israeliano contro lo Stato e quindi dovrebbe trovarsi un’altra nazionalità”.
B’Tselem “non si lascerà intimidire”, ha ribattuto su Twitter Hagai El-Ad.
“Da quasi 50 anni i palestinesi non hanno cittadinanza o diritti. Oggi, il leader della coalizione di Netanyahu vuole revocare la mia cittadinanza perché ho parlato contro l’occupazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “, ha scritto.
Zehava Galon, capofila del partito di sinistra Meretz, che si oppone alla colonizzazione, ha dichiarato su Twitter che, anche se David Bitan cerca soprattutto di “ottenere vantaggi politici a spese di B’Tselem,” i suoi commenti sono “molto pericolosi”
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