Evviva hanno arrestato Abdeslam. Evviva che cosa?

20 marzo 2016 – Gianni Lixi

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Grande euforia su tutti i giornali per l’arresto di Salah Abdeslam , con accuse dirette  e velate alla comunità mussulmana. Conferenza stampa congiunta di Hollande e del primo ministro Belga entrambi con sorriso smagliante. Naturalmente come sempre ho difficoltà a capire. Hanno arrestato un ragazzo belga con  un passato di disadattamento sociale, condanne per atti di criminalità, furti, spaccio di droga, con aspirazione ad imporre la propria personalità come riscatto alla sua frustrazione sociale. Nella religione, con cui non aveva quasi nessun rapporto,  Salah ha certamente visto la possibilità, il mezzo per affermarsi. Nella radicalizzazione delle religioni, di tutte le religioni, c’è sicuramente un incitamento alla violenza. C’è nel cristianesimo , c’è nell’islamismo, c’è nell’ebraismo. Gli israeliani si servono quotidianamente della violenza dei coloni, ebrei radicali, che attaccano comunità palestinesi nelle loro case e città .  Anzi qui accade di peggio. IL governo israeliano pianifica proprio l’utilizzo di questi elementi radicali per espropriare sempre più terre ed abitazioni ai palestinesi.  Non sono interessato alle religioni. Ognuna è migliore dell’altra;  e questo lo trovo un ostacolo alla ricerca della fratellanza fra  tutti i popoli . Questo anche  perchè le grandi compagnie finanziarie che guidano il pianeta si servono proprio di questo elemento divisivo per poter raggiungere, attraverso il controllo delle risorse energetiche, del mercato delle armi, del riciclaggio,  introiti miliardari.

Grazie alla ospitalità di sorella e figli vado spesso a Bruxelles.  La rue des Quatre-Vents, dove hanno preso  Abdeslam è la strada dove c’è un simpatico meccanico dove spesso ho portato la macchina. Tra l’altro questo meccanico ha come apprendisti meccanici dei  ragazzi con problemi sociali alle spalle in virtù della collaborazione   con l’assistenza sociale del comune per il loro reinserimento. La parallela di questa strada ospita l’ostello della gioventù molto conosciuto tra i ragazzi di tutto il mondo che vanno in vacanza a Bruxelles.  Se giri per Molenmbeck e quartieri attigui e ti capita di prendere il tram nelle ore di punta,  la maggioranza delle persone che trovi sono  giovani donne belghe di religione mussulmana con carrozzina ed almeno 2 bambini al seguito. La natalità, per motivi sociali e culturali, almeno a Bruxelles, è affidata alla comunità mussulmana e non ne sono affatto preoccupato. Per me potrebbero essere di qualsiasi  estrazione religiosa, anche se come detto preferirei non appartenessero a nessuna religione.

Prima di tornare a Salah vorrei citare una frase non mia ma che ho preso da un manifesto attaccato sui muri della mia città “Le bombe della democrazia hanno causato centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi e gonfiato di odio innumerevoli cuori “. Salah Abdesalam è il terrorista che noi ci siamo allevati. Cosa c’è da esultare per la sua cattura? Preso lui c’è ne saranno tanti altri. E tanto più indecorosi saranno gli incontri che si stanno consumando proprio in questi giorni  nei palazzi della UE tanto più  ne creeremo. Ad Abdeslam  gli hanno anche dato del codardo perché non si è fatto saltare in aria. Non so se sia codardo o no ma è certamente meno codardo dei nostri rappresentanti politici in Europa che, non avendo il coraggio di prendere il mitra e sparare sui profughi , consegnano questi a chi il mitra non ha paura di usarlo e danno 6 miliardi di euro (ripeto sei miliardi di euro! 3+3) ad un paese che il mitra lo usa già contro i kurdi , non rispetta i diritti umani e dove non c’è libertà di stampa. Figuriamoci se si mettono problemi  a respingere migliaia di persone verso sorti indegne di una umana esistenza, quando non incontro alla morte.

L’esultanza potrebbe essere giustificata se si dovesse riuscire a mettere le manette ad un pianificatore del genocidio di un popolo (per esempio Netanyahu),  ad un massacratore di bambini, solo in un mese ne ha uccisi 500 (per esempio Netanyahu); ad uno che sta cercando di far approvare a nazioni sue amiche leggi illiberali per impedire che si utilizzino dei normali strumenti democratici che le stesse nazioni hanno in passato utilizzato per  rovesciare pacificamente il sistema di apartheid sudafricano (per esempio Netanyahu).

Cosa c’è da esultare nell’arresto di uno dei tanti Salah  Abdeslam se non si fa un passo per evitare che se ne formino altri ed anzi, con le politiche scellerate delle cosiddette “potenze occidentali” se ne incoraggia il loro reclutamento?

 

Gianni Lixi (Associazione Amicizia Sardegna Palestina)

originale: https://lazuccablog.wordpress.com/2016/03/20/evviva-hanno-arrestato-abdesalam-evviva-che-cosa/

Il disfacimento dell’illusione dell’autonomia palestinese

Di Michael Schaeffer Omer-Man |Pubblicato il 18 Marzo 2016

Per decenni è stato raccontato ai palestinesi che la loro autonomia limitata nella West Benk era solo una interruzione momentanea lungo la strada per la sovranità. Ma più di 20 anni dopo del fallimento degli accordi di Oslo come viatico verso l’indipendenza, l’illusione è in disfacimento, e rapidamente.

Bethlehem Checkpoint, West Bank, 17.8.2012
La polizia dell’Autorità Palestinese ( a destra) insieme alla polizia di frontiera israeliana (a sinistra) mentre controllano l’accesso dei palestinesi a Gerusalemme, al checkpoint di Betlemme nell’ultimo venerdì del Ramadan, il 17 Agosto 2012.(foto: Activestills.org)

La chiave per l’accordo che conserva la praticabilità dell’occupazione israeliana della Palestina è l’illusione dell’autonomia. I palestinesi hanno il proprio governo, le proprie agenzie e forze di sicurezza, i propri fornitori di servizi per i consumatori, le proprie scuole e, sì, le proprie aree autonome.

Ma non prendete cantonate, si tratta solo di illusioni.

Ogni tanto i benevoli occupanti spingono le cose un po’ troppo lontano. Decidono di smettere di giocare con le proprie illusioni, con la convinzione che i palestinesi e l’Autorità Palestinese, investano talmente tanto nell’agiatezza e nella stabilità che essi forniscono al punto che non oserebbero mai ritirare il proprio consenso.

Ciò che tiene in piedi una pessima illusione è che anche chi assiste ha bisogno di acconsentire, ha bisogno di praticare una sorta di sospensione della credulità. A volte questa collaborazione è basata su accordi espliciti o impliciti; a volte è simbiosi. Ma quando fai affidamento sul pubblico per la stabilità dei tuoi atti precari, la sciarada è costantemente esposta al rischio di collassare.
L’apparato di sicurezza israeliano è stato seriamente preoccupato, durante i passati sei mesi o giù di lì, da che la farsa è finita,  del fatto che presto o tardi le forze di sicurezza palestinesi avrebbero semplicemente deciso di cessare di partecipare all’illusione e di volgere le proprie armi contro Israele.
Israele fa affidamento sulle forze di sicurezza palestinesi, leali al presidente dell’OLP, Mahmoud Abbas, per proteggere i propri insediamenti e tutta l’integrità strutturale dell’occupazione da quei palestinesi che non vogliono stare al gioco. Secondo gli accordi di Oslo, il contratto ad interim che dovrebbe regolare l’intera messa in scena, i palestinesi avrebbero aree autonome, per lo più conosciute come “Area A.” e Israele dovrebbe restare fuori da queste aree, che di base comprendono le maggiori città palestinesi all’interno della West Bank.

Address by His Excellency Mahmoud Abbas, President of the State of Palestine
Il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, affronta il dibattito generale della 70esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 Settembre 2015. (UN Foto/Cia Pak)

Ma Israele non sempre gioca secondo le regole. In  effetti, non ha giocato secondo le regole per molto, molto tempo. Durante la Seconda Intifada, un tempo durante il quale entrambe le fazioni abbandonarono i propri ruoli così com’erano stati stabiliti dal piano di gioco, stilato nel freddo stordente dell’inverno norvegese, il regolamento è volato dalla finestra. Israele decise, unilateralmente, che le proprie truppe avrebbero avuto piena libertà di movimento e di azione ovunque avessero voluto, anche nelle zone “autonome”.

Per anni i palestinesi sono persino stati alle nuove regole del gioco. Un comandante militare israeliano aveva l’abitudine di chiamare il suo subordinato palestinese e di fargli sapere che stava per essere eseguito un raid. Puntuale come un orologio svizzero, la polizia palestinese svaniva dalle strade di qualsiasi città che l’esercito israeliano avesse voluto esplorare in quella serata, allo scopo di evitare ogni attrito.

Ma la gente ha cominciato a farci caso. Alla polizia palestinese veniva chiesto di impedire ai manifestanti palestinesi di raggiungere i checkpoints israeliani. I raid israeliani nel cuore delle città palestinesi sono divenuti sempre più comuni. Truppe militari sotto copertura o in uniforme sono state spesso catturate dalle telecamera di sorveglianza fin dentro gli ospedali palestinesi, nella piazza principale di Ramallah, a ballare ai matrimoni palestinesi.
Dopo un raid israeliano particolarmente sfacciato, durante il quale truppe israeliane sono sembrate stare di guardia all’esterno di una stazione di polizia palestinese, giovani palestinesi hanno bersagliato la propria polizia a colpi di sassi a piazza Manara a Ramallah.
Durante gli ultimi sei mesi le cose si sono messe molto peggio per Israele, per l’apparato di sicurezza palestinese e per l’idea di “coordinamento di sicurezza”, che per i sostenitori del mantenimento dello status quo è diventato il sacro graal dell’occupazione. Le forze di sicurezza palestinesi spesso hanno smesso di impedire a manifestanti e tiratori di pietre di avvicinarsi ai checkpoints israeliani. La polizia palestinese è stata filmata mentre cacciava le truppe israeliane a calci dalla periferia di Ramallah. E ad alimentare le peggiori paure degli israeliani, che 40.000 componenti armati delle forze di sicurezza, addestrati dagli Stati Uniti, possano volgere le armi contro l’occupante, alcuni ufficiali della sicurezza palestinese hanno effettivamente agito così.

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Poliziotti palestinesi bloccano manifestanti durante una dimostrazione contro la visita del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a Ramalla, nella West Bank, il 21 Marzo 2013. (foto: Keren Manor/Activestills.org)

Così, in un tentativo di far sentire alle forze di sicurezza palestinese di lavorare ancora per il governo palestinese e non per l’IDF, Israele ha deciso di lanciare loro un osso. Un paio di massimi generali israeliani si sono incontrati coi loro subordinati palestinesi per discutere ” il graduale ripristino della controllo della sicurezza palestinese sulle città della West Bank”. Ripristino. Come se qualcuno avesse mai annunciato una interruzione.
Così l’esercito israeliano ha proposto la sospensione dei raids nelle aree in cui non dovrebbe essere autorizzato ad operare, come gesto di apertura verso le gente che comunque fin dall’inizio non aveva i mezzi per ostacolarli. Ma c’è un tranello. C’è sempre un tranello. In realtà è un microcosmo del tranello che trasforma tutta la storia della soluzione dei due stati in una presa in giro, almeno nel senso inteso nella definizione della soluzione dei due stati come di due stati parimenti sovrani.
Il tranello: la condizione unica posta dal Primo Ministro israeliano, Benjamin, Netanyahu, per il ripristino dell’autonomia nel 20 per cento della West Bank è che i palestinesi riconoscano il diritto alla sovranità israeliana di violare questa autonomia.
Questa è l’illusione in tutta la sua gloria. Israele intende consentire ai palestinesi di avere la propria illusione di sovranità, sotto forma di autonomia condizionata, ma solo se mettono una firmetta sotto il contratto che consente il trasferimento dell’effettiva sovranità. Ma l’illusione richiede la volontaria sospensione di credulità del pubblico.
Ai palestinesi è stato raccontato per decenni, sia negli Accordi di Oslo che in innumerevoli altri documenti, che la limitazione dell’autonomia sarebbe stato solo un piccolo passo lungo la strada verso una effettiva sovranità ed un riconoscimento come Stato.
Benjamin Netanyahu, nel frattempo ha sempre affermato apertamente che non avrebbe mai neppure preso in considerazione l’ipotesi di rinunciare al controllo della sicurezza ( leggi: sovranità) della West Bank. Tutto il resto è solo una sempre più precaria sciarada.

 

 

Trad. L. Pal – Invictapalestina.org

Fonte: http://972mag.com/the-unravelling-illusion-of-palestinian-autonomy/117964/

Il palestinese più giovane in detenzione amministrativa

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16 Marzo 2016

A 16 anni Hamza Hamad ha già provato l’esperienza della parte peggiore dell’occupazione israeliana: arresti, raid nelle case, demolizioni e un padre in prigione. Adesso è diventato il palestinese più giovane ad essere stato messo in detenzione amministrativa.

Il sedicenne Hamza Hamada, dal villaggio di Silwad nella West Bank, è stato posto in detenzione amministrativa la settimana scorsa e ciò lo ha reso il più giovane detenuto amministrativo nelle prigioni israeliane. Hamad è stato arrestato durante un assalto nella propria casa all’inizio della settimana. Dopo un breve interrogatorio, il Comando Centrale GOC ha firmato un ordine amministrativo per incarcerare il sedicenne indefinitamente e senza processo per almeno 6 mesi.
Nonostante la sua giovane età, non è la prima volta che Hamad viene arrestato dall’esercito israeliano. Alla fine di Agosto 2015, le forze di sicurezza hanno assaltato la casa di famiglia, dove il ragazzo vive con la madre e due fratelli. L’esercito ha distrutto il suo computer ed interrogato il fratellino di 10 anni. Quando i soldati se ne sono andati, si sono trascinati Hamza dietro verso la stanza degli interrogatori, al Russian Compound di Gerusalemme. Lì è stato interrogato per 22 interi giorni, durante otto dei quali gli è stato impedito di incontrare un avvocato, ed è stato infine rilasciato a casa senza accuse. Una settimana fa, i soldati sono tornati a prenderlo, stavolta per portarlo direttamente alla prigione militare di Ofer, senza alcuna reale necessità di sottoporlo ad un altro interrogatorio.
Hamza è il figlio di Moeed Hamad, condannato a sette anni nel 2003 per aver organizzato attacchi terroristici contro israeliani in quella che veniva chiamata “Operation Ein Yabrud.”. Nel corso degli anni, le autorità israeliane hanno punito la famiglia attraverso la demolizione delle loro case e l’arresto dei loro figli.

Moeed Hamad un certo numero di anni fa pubblicò un libro nel quale erano incluse lettere scritte ai suoi bambini. Questo dev’essere stato un altro motivo di rabbia per le autorità israeliane, che decisero di rivoltare la casa sottosopra. Durante lo stesso raid, portarono via alcuni videogiochi su cd e confiscarono i telefoni dei membri della famiglia.
In seguito ai primi raid ed arresti, la famiglia ha affermato che questi metodi dell’IDF venivano applicati per fare pressione sul padre e per punirlo. Le autorità impedirono, inoltre, ad Hamza di visitare suo padre in prigione, nonostante il fatto che, essendo minorenne, non avesse neppure la necessità di un permesso.

La detenzione amministrativa è una misura estrema intesa per essere adottata raramente e con moderazione. I prigionieri in detenzione amministrativa sono trattenuti in maniera indefinita, in assenza di accuse contro di loro o di un processo, privati di ogni possibilità di difendere se stessi.

Secondo i Servizi Detentivi Israeliani, Israele starebbe attualmente trattenendo tre minorenni palestinesi – Hamza e due diciassettenni di Gerusalemme – in detenzione amministrativa. Per la fine di Gennaio, Israele ha già rinchiuso 421 minorenni in prigione, dei quali solo 135 hanno ricevuto una formale sentenza.

Lo Shin Bet deve ancora rispondere a queste accuse. L’eventuale risposta sarà aggiunta qui appena verrà fornita.

 

 

Trad. L. Pal – invictapalestina.org

fonte: http://ufreeonline.net/index.php/site/index/news/668/3

 

Apartheid dell’acqua a Gaza e Flint

David Cronin – 18 marzo 2016

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Una donna cerca l’acqua dopo che Israele ha bombardato la sua casa durante attacco a Gaza del 2014. immagini Ezz Zanoun APA

A prima vista, la natura delle crisi idriche a Gaza e Michigan hanno un aspetto molto diverso. Le infrastrutture idriche di Gaza sono state bombardate più volte da parte di Israele. Nonostante i loro numerosi problemi, la gente di Flint e Detroit è stata risparmiata da tale evidente brutalità.

Allora perché le donne di Gaza, all’inizio di questo mese, hanno mandato un messaggio di solidarietà alle donne di Flint?

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La risposta è semplice: entrambi si sforzano di  dimostrare  come sia stata contaminata l’acqua dalla quale essi e le loro famiglie dipendono.

 

La lettera da Gaza a Flint – firmata da vari attivisti, tra cui il medico molto famoso Mona el-Farra – dimostra come Israele controlla l’acqua palestinese. L’occupazione israeliana ruba l’acqua dalla falda acquifera costiera che è la principale fonte  per Gaza, impedisce ai palestinesi di costruire impianti di trattamento delle acque reflue e li costringe a comprare l’acqua a prezzi che non possono permettersi.

Normalmente la gente comune a Flint non ha alcuna sovranità quando si tratta di acqua, è così per enrtrambi.

Nel corso degli ultimi anni, Rick Snyder, il governatore del Michigan, ha nominato una serie di “manager dell’emergenza” – tecnocrati non eletti, col potere di vendere beni pubblici, invalidare contratti sindacali e mettere in pericolo la democrazia locale.

Nel 2014, Darnell Earley, uno di questi manager di emergenza, decise che Flint avrebbe dovuto iniziare ad utilizzare l’acqua del fiume. Così è stato, nonostante  le autorità del Michigan avessero ritenuto l’acqua del fiume a rischio, per la salute.

Avvelenamento del sangue

La decisione ha avuto effetti rapidi. La gente del posto si è lamentata che l’acqua dei loro rubinetti era giallognola e sgradevole. Un gruppo di ricerca del Virginia Tech ha confermato che l’acqua a Flint era avvelenata.

Il livello di piombo rilevato, ad esempio, in alcuni campioni era di 13.000 parti per miliardo. L’Environmental Protection Agency raccomanda che il piombo nell’acqua non deve essere superiore a 15 parti per miliardo.

A Flint, il numero di bambini con livelli superiori alla media di piombo nel sangue è quasi raddoppiato. Nelle zone “ad alto rischio”,  è triplicato.

La popolazione di Gaza è alle prese con problemi simili.

Durante il 2014, è stato riferito che il 90 al 95 per cento della fornitura di acqua di Gaza non era potabile. La Palestinian Water Authority ha rilevato che la falda acquifera dalla quale Gaza dipende era altamente inquinata con pesticidi e acque reflue non trattate.

Sintomo del razzismo

I palestinesi vivono sotto un sistema di apartheid.  Gli effetti dell’apartheid sono particolarmente evidenti quando si tratta di acqua.

Mentre i coloni israeliani nella Cisgiordania arida possono godersi la vista di composizioni floreali ben irrigate e tuffarsi in piscina per tutto l’anno, i palestinesi hanno accesso a molta meno acqua potabile rispetto ai livelli raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Anche la crisi idrica del Michigan è un sintomo di razzismo istituzionalizzato.

Snyder e i suoi predecessori hanno imposto l’emergency managers principalmente su paesi e città con grandi popolazioni nere, tra Detroit e Flint.

Nel 2013, The Atlantic ha riferito che le cinque città in Michigan sotto la gestione economica contenevano solo il 9 per cento degli abitanti dello stato. Eppure, circa la metà di tutte le persone di colore in Michigan viveva in quelle città.

 

Scrivendo  il mese scorso su The Nation, Juan Cole ha sostenuto che, così come i residenti di Flint “non hanno avuto accesso a un diritto fondamentale come l’acqua pulita  per decisioni prese da burocrati che nessuno ha eletto, nello stesso modo  ai Palestinesi di Gaza sono negati i diritti fondamentali di cittadinanza.”

Il diritto all’acqua è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite. Eppure l’ideologia dominante considera l’acqua come una merce.

E ‘naturale che le alleanze devono essere create tra i difensori del diritto all’acqua nelle diverse città e paesi.

Anche il governo della mia nativa Irlanda, sotto la pressione dei suoi responsabili a Bruxelles e delle altre capitali europee, negli ultimi anni ha cercato di  mettere  l’acqua  nelle mani di una società privata. La battaglia contro  l’abolizione della Irish Water,  ha ricevuto il sostegno di attivisti in Michigan, Bolivia e Spagna.

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Diversi attivisti irlandesi che lottano per l’acqua, fanno anche parte del movimento di solidarietà palestinese. Uno di questi attivisti, Gino Kenny, è stato eletto al Dáil Éireann, la camera bassa del parlamento nazionale. Quando, alla fine di febbraio, è stata annunciata la sua elezione  ha esultato sventolando una bandiera palestinese.

Il gesto è stato apprezzato dai palestinesi – la cosa non ci sorprende. Le lotte per la giustizia saranno sempre interconnesse.

 

trad. Invictapalestina.org

Fonte: https://electronicintifada.net/blogs/david-cronin/water-apartheid-gaza-and-flint