Spaventare i bambini palestinesi rientra nel mio lavoro. Le forze armate israeliane giustificano l’intimidazione su bambini dell’asilo.
Hebron, Palestina occupata, 6 Marzo, da ISM, al-Khalil Team.
I bambini dell’asilo nella al-Khalil (Hebron) occupata spesso hanno a che fare con molestie ed intimidazioni da parte delle forze militari israeliane sul loro percorso verso l’asilo.
Le forze armate israeliane giustificano l’intimidazione e la molestia di bambini di età tra i 4 ed i 6 anni, che sono costretti a camminare su un sentiero sconnesso (poiché che la strada asfaltata dall’altro lato della cancellata è consentita solo ai coloni israeliani che vivono nelle colonie illegali di al-Khalil) e poi a passare un checkpoint durante il loro percorso quotidiano verso l’asilo. I soldati sostengono di avere necessità di spaventarli perché altrimenti crescendo un giorno questi potrebbero pugnalare un soldato.
E’ possibile ascoltare la registrazione audio [In inglese] di una discussione tra una volontaria internazionale ed un soldato a proposito delle motivazioni .
8 marzo 2016 / 05:27, By Jonathan Cook (*) – Nazareth
I diplomatici possono avere una reputazione di grigiore, offuscamento, anche di ipocrisia, ma pochi si sono trovati di fronte a un serial killer, per non parlare di uno che divora carne umana. Questo onore è toccato a Laars Faaborg-Andersen, l’ambasciatore dell’Unione Europea a Israele, la scorsa settimana quando i coloni ebrei hanno lanciato una campagna mediatica rappresentandolo come Hannibal Lecter, il personaggio terrificante del film Il silenzio degli innocenti. Un’immagine del diplomatico danese con la maschera facciale di Lecter avrebbe dovuto suggerire che l’Europa ha bisogno di imbavagliare simile personaggi. La manifestazione dei coloni si riferisce, invece, agli aiuti europei che hanno fornito un rifugio temporaneo alle famiglie beduine palestinesi dopo che l’esercito israeliano ha demolito le loro case nei territori occupati vicino a Gerusalemme.
L’emergenza abitativa li ha aiutati a rimanere sulla terra ambita da Israele e dai coloni. Funzionari europei, indignati dal confronto con Lecter, hanno ricordato a Tel Aviv che, se solo avesse rispettato il diritto internazionale, Israele – non l’Unione europea – si sarebbe fatto carico della responsabilità per il benessere di queste famiglie. Mentre l’Europa può pensare a se stessa come parte di un occidentale illuminato, utilizzare gli aiuti per difendere i diritti dei palestinesi, in realtà è meno rassicurante. L’aiuto può effettivamente peggiorare la situazione in modo significativo.
Shir Hever, economista israeliano che ha passato anni a studiare l’economia torbida della occupazione, ha recentemente pubblicato un rapporto che rende la lettura scioccante.
Come altri, egli ritiene che gli aiuti internazionali hanno permesso a Israele di evitare di pagare il conto per la sua occupazione che dura da decenni. Ma si va oltre. La sua sorprendente conclusione – che può sorprendere i coloni di Israele – è che almeno il 78 per cento degli aiuti umanitari destinati ai palestinesi finisce nelle casse di Israele.
Le somme in gioco sono enormi. I palestinesi sotto occupazione sono tra i più dipendenti dagli aiuti in tutto il mondo, ricevendo ogni anno più di 2 miliardi di dollari da parte della comunità internazionale. Secondo Hever, i donatori sovvenzionano direttamente un terzo dei costi del occupazione.
Altre forme di sciacallaggio israeliano sono stati identificati in studi precedenti. Nel 2013 la Banca Mondiale aveva stimato molto cautamente che i palestinesi perdono ogni anno almeno 3,4 miliardi di dollari in risorse saccheggiate da Israele. Inoltre, il rifiuto di Israele di arrivare ad una situazione di pace con i palestinesi, e di conseguenza col resto della regione, viene usato per giustificare 3 miliardi annuali di dollari in aiuti militari da parte di Washington.
Israele usa anche i territori occupati come laboratori per testare armi e sistemi di sorveglianza sui palestinesi – e poi esporta le sue competenze. Le industrie militari e informatiche di Israele sono estremamente redditizie, generando ogni anno molti miliardi di dollari di reddito. Un sondaggio pubblicato la scorsa settimana ha identificato il piccolo Israele come l’ottavo paese più potente nel mondo.
Ma mentre questi flussi di reddito sono una riconoscibile, anche se preoccupante, manna che deriva dall’occupazione di Israele, gli aiuti umanitari occidentali ai palestinesi sono chiaramente destinati alle vittime, non ai vincitori.
Come fa Israele a farci la cresta così tanto?
Il problema, dice Hever, è il ruolo che israele si è auto-imposto come mediatore. Per raggiungere i palestinesi, i donatori non hanno altra scelta che passare attraverso Israele. Questo permette a israele di definire ciò che è aiuto ai “terroristi” e aiuto da dirottare.
Il risultato tangibile per i palestinesi è un mercato vincolato. Essi hanno accesso a pochi beni e servizi che non siano israeliani.
Chi trae profitto da questo?
Un’organizzazione israeliana che monitorizza i vantaggi economici di Israele dall’occupazione, valuta che l’impresa lattiero-casearia Tnuva gode di un monopolio nella West Bank del valore di 60 milioni di dollari all’anno. Con gli aiuti dirottati, nel frattempo, si dà la possibilità a Israele di controllare tutti i movimenti di persone e merci. Con le restrizioni israeliane significa che si deve pagare per il trasporto e lo stoccaggio, oltre alle tasse per la “sicurezza”.
Altri studi hanno identificato i profitti aggiuntivi che derivano dalla “distruzione degli aiuti”. Quando Israele distrugge progetti di aiuto finanziati da stranieri i palestinesi perdono – ma Israele beneficia spesso. Il Cemento-maker Nesher, per esempio, è imposto per controllare l’85 per cento di tutte le costruzioni di israeliani e palestinesi, incluse le forniture per la ricostruzione di Gaza dopo la furia distruttiva e ripetuta di Israele.
Segmenti significativi della società israeliana, a parte quelli nelle industrie di sicurezza, sono in fila per riempire le loro tasche dall’occupazione. Paradossalmente, l’etichetta “Le persone che maggiormente al mondo necessitano di aiuti” – di solito apposto ai palestinesi – potrebbe essere utilizzata meglio per descrivere gli israeliani.
Cosa si può fare? L’esperto di diritto internazionale Richard Falk osserva che Israele sta sfruttando la disattenzione assoluta sugli aiuti: non ci sono requisiti per garantire ai donatori che i loro soldi raggiungano gli effettivi destinatari. Ciò che la comunità internazionale ha fatto negli ultimi 20 anni del processo di Oslo – inavvertitamente o meno – è stato offrire incentivi finanziari a Israele per stabilizzare e consolidare il suo dominio sui palestinesi. Si può fare in modo relativamente a costo zero. Mentre l’Europa e Washington hanno tentato di bacchettare Israele, con un bastoncino diplomatico per rilasciare la sua presa sui territori occupati, allo stesso tempo, essi offrono carote finanziarie succose per incoraggiare Israele a stringere la sua presa. C’è un piccolo raggio di speranza. La politica degli aiuti occidentali non ha bisogno di essere auto-sabotata. Lo studio di Hever indica che Israele è cresciuto come dipendente dagli aiuti ai palestinese come gli stessi palestinesi.
L’UE, la scorsa settimana, con una nota ha riferito che Israele e non Bruxelles, dovrebbe occuparsi dei beduini che ha lasciato senza casa. L’Europa dovrebbe prendere a cuore lo stesso consiglio e iniziare a spostare i veri costi dell’occupazione su Israele. Questo può accadere abbastanza presto qualunque cosa decida l’Occidente, se – come anche previsto da israele accadrà presto – l’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas crolla.
(*) Jonathan Cook ha vinto il premio specialeMartha Gellhorn per il giornalismo. I suoi ultimi libri sono “Israele e la scontro di civiltà: l’Iraq, l’Iran e il Piano di rifare il Medio Oriente” (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Esperimenti di Israele sulla disperazione umana” (Zed Books).
Spesso ci lamentiamo del fatto che il New York Times è lacunoso nell’informare gli americani del vero volto della società israeliana. Bene, Isabel Kershner ha scritto un pezzo eccellente nel New York Times di oggi sul nuovo piano di recintare i quartieri palestinesi per escluderli da Gerusalemme, piano che ha avuto origine da quella che viene oggi spacciata per la sinistra israeliana, allo scopo di preservare lo stato ebraico, e Kershner dice che la campagna ha un sapore ultranazionalistico. Il leader palestinese Saeb Erekat ha definito il piano “razzista”.
Il controverso piano, promosso da un gruppo di ebrei liberali israeliani ed adottato nelle sue linee di principio dal Partito Laburista di centro-sinistra, vorrebbe unilateralmente rinchiudere in un recinto la maggioranza dei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est e trasferire la responsabilità sui suoi 200.000 residenti dal comune di Gerusalemme all’Autorità Palestinese e all’esercito israeliano che controllano la West Bank.
Promossa con piani pubblicitari accompagnati da slogans come “Salvare la Gerusalemme ebraica”, il tono ultranazionalistico della campagna sembra costruito per essere allettante alla maggioranza dell’elettorato ebraico, compreso il crescente centro politico israeliano nazionalista.
La nuova campagna descrive i palestinesi residenti in Gerusalemme come un pericolo per la sicurezza, per l’equilibrio demografico, per gli standards di vita e quelli economici della città. Afferma che la maggioranza della popolazione di 18 anni ed inferiore ai 18 anni è palestinese e gioca un ruolo importante sull’aumento delle paure sollevate dal recente incremento degli attacchi di palestinesi contro ebrei israeliani.
Kershner, a questo punto, cita un leader politico della sinistra che descrive gli elettori palestinesi come “il nemico”. E voi ( e Barack Obama) pensavate che Netanyahu fosse davvero cattivo quando un anno fa avvertiva che gli arabi andavano a votare in massa!
Haim Ramon, un ex ministro sostenuto dal Partito Laburista e dal partito centrista Kadima, il quale è colui che avrebbe architettato il nuovo piano, ha detto che i residenti arabi avrebbero terminato il loro boicottaggio delle elezioni cittadine, che il prossimo sindaco di Gerusalemme potrebbe non essere ebreo. “Se i palestinesi fossero intelligenti, potrebbero decidere, invece del coltello, di usare il voto” ha riferito ai giornalisti “Non puoi basare la tua strategia sul fatto che il tuo nemico resterà stupido per sempre.”
Comunque, tra parentesi devo dire che Ramon è il tizio che mi ha convertito quando ero nuovo alla materia della soluzione dei due stati, nove anni fa, con un discorso ad un gruppo liberale sionista a New York. E guardatelo, è un completo razzista.
Ed ecco qui un ex liberale americano che è diventato un membro della destra israeliana, abbracciando il razzismo demografico del piano:
“Dal punto di vista della demografia, è un argomento urgente” ha detto Michael Oren…
The New York Times dovrebbe ricevere complimenti per avere descritto questi israeliani ai leaders americani: una Israele ebraica e razzista, segregazionista, che ricorda il sud di Jim Crow.
Il mese scorso ad una esibizione fotografica a Soho, Chemi Shalev di Haaretz ha detto che la sola speranza politica della sinistra israeliana per riconquistare il governo è quella di nominare come primo ministro qualcuno come il Generale di Stato Maggiore, Gabi Ashkenazi, o l’attuale ministro della Difesa Moshe Ya’alon, uomini con una comprovata esperienza militare (nel polverizzare palestinesi). Questo è lo stesso orrendo messaggio che il Times ha riportato oggi a proposito della cultura politica vigente in Israele.
E questo è lo stesso concetto al quale Adam Shatz fa riferimento nella London Review of Books: “La Putinizzazione di Israele”. Shatz descrive l’inasprirsi del ragionamento israeliano e conclude che le mire segrete d’Israele stanno finalmente rendendosi chiare a tutto il mondo:
Israele ha testardamente portato avanti un progetto coloniale, col rischio di rovinare le proprie relazioni con l’Europa e con gli Stati Uniti, entrambi le quali stanno finalmente realizzando che Israele non ha intenzione alcuna di costruire una genuina pace col popolo palestinese.
Il Times ha fatto un passo avanti nella comprensione di questo concetto, oggi.
Le forze di occupazione israeliane (IOF) Martedì mattina hanno ucciso una donna palestinese di 50 anni a Gerusalemme Est, con il pretesto di un “tentativo di accoltellamento.”
L’esercito ha sparato e ucciso Fadwa Abu Tair proveniente dalla città di Sur Baher, Gerusalemme Est, nei pressi della porta Al-Hadid della città vecchia di Gerusalemme.
Il portavoce dell’esercito israeliano, Luba Samri ha affermato che la polizia ha immediatamente colpito Fadwa per il suo presunto tentativo di accoltellare un poliziotto israeliano.
Forze ingenti di polizia sono poi occorse sul posto, come riferito sarà aperta un’indagine sul caso, dopo la sparatoria hanno bloccato le porte della città vecchia di Gerusalemme .
Poco dopo aver ucciso Fadwa, le IOF hanno arrestato una ragazza al posto di blocco di Qalandia, sostenendo il posseso di un coltello.
Venerdì scors o, le IOF hanno ucciso una madre palestinese di quattro figli, Amani Sabateen (31 anni), sostenendo che avrebbe voluto investire un soldato israeliano.
Questa mattina , le IOF hanno arrestato Manal Tamimi, madre di sei figli e attivista della resistenza non-violenza, nella sua casa in Al-Nabi Saleh.
Ironia della sorte, queste violazioni vengono il giorno internazionale della donna, l’8 marzo.
Ieri le IOF hanno arrestato 19 palestinesi, tra cui 6 bambini, tra la Cisgiordania e Gerusalemme
Le Forze di occupazione israeliane (IOF) il Lunedi mattina hanno arrestato 19 palestinesi, sei dei quali bambini di età inferiore ai 15.
Il Club dei prigionieri palestinesi ha dichiarato che IOF ha arrestato cinque palestinesi dalla zona di Gerusalemme Est, quattro di loro età compresa tra i 13-15 anni.
Le IOF hanno anche sequestrato quattro palestinesi di Qalandia campo a nord di Gerusalemme, tutti con meno di 20 anni.
A Hebron, i soldati hanno arrestato tre palestinesi, due dei quali di 15 anni.
Altri tre sono stati arrestati nella città di Jenin, in Cisgiordania settentrionale, e due di 19 e 24 anni a Qalqilya.
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