Il volto discriminatorio del secondo ordinamento giuridico israeliano

La condotta della polizia nel caso di Nasser Nawaja dimostra che gli arabi israeliani sono sottoposti a un differente quadro normativo.

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Ezra Nawi, center, near a Jerusalem court this week.Olivier Fitoussi read more: http://www.haaretz.com/opinion/1.699283

Haaretz Editorial 25 gennaio 2016

 

L’arresto di Nasser Nawajah, ricercatore del B’Tselem, dimostra le storture dell’ordinamento israeliano vigente e il suo volto inaccettabile e discriminatorio.

Il Tribunale distrettuale aveva ordinato il rilascio di Nawajah, visto che il presunto reato non era stato commesso in Israele e non era considerato una minaccia alla sicurezza, le due prerogative che autorizzano le corti a procedere. La polizia, anziché rilasciarlo, l’ha trasferito nella prigione militare israeliana di Ofer, in Cisgiordania. Il Tribunale distrettuale si è rifiutato di decretare tale trasferimento come oltraggio alla corte e ora la questione sarà dibattuta dalla Corte Suprema.

Tale condotta rivela l’ingiustizia insita in un unico regime che presenta due ordinamenti giuridici distinti: uno per gli ebrei, l’altro per gli Arabi. Nawajah è stato arrestato e interrogato insieme a Ezra Nawi e Guy Butavia, sospettati di aver commesso reati simili. Sebbene sia lecito nutrire dubbi anche su questi arresti, la situazione di Nawajah è ben più grave: essendo giudicato dall’ordinamento militare, i suoi diritti saranno tutelati in misura minore. Pertanto, Nawi e Butavia da una parte, Nawajah dall’altra, sono soggetti a ordinamenti diversi, nonostante abbiano commesso atti simili, nello stesso ambito territoriale.

Secondo il rapporto del 2014 dell’Associazione dei diritti civili in Israele intitolato “One Rule, Two Legal Systems” (Una norma, due ordinamenti) il sistema militare ha regole di detenzione più rigide, le misure cautelari possono protrarsi per un periodo più lungo e agli imputati può essere impedito di ricevere la visita del proprio legale. Anche le pene sono in genere più severe. L’ambasciatore statunitense in Israele si è espresso in materia la scorsa settimana, ma non è un fatto nuovo: è un’ingiustizia che è venuta a crearsi durante l’occupazione, con Israele che pratica un regime di apartheid giudiziaria nei territori occupati.

Oltre alle differenze nell’ordinamento giuridico, bisognerebbe indagare sull’interrogatorio di Nawajah, che, secondo il programma televisivo di giornalismo investigativo “Uvda” (“Il fatto”), si sarebbe rivolto all’Autorità Palestinese per un presunto tentativo di sottrazione di terre appartenenti alla sua famiglia. La richiesta di assistenza all’ANP da parte di un palestinese è una mossa scontata e sospettare Nawajah di “contatti con un agente straniero” è un’assurdità. Israele non considera i Palestinesi cittadini, ma d’altro canto vuole continuare a controllare le loro vite con l’illusione di un governo dell’Autorità Palestinese. Il legale di Nawajah, Gaby Lasky, ha dichiarato che per un palestinese residente nei territori, l’incontro con un agente della sicurezza palestinese non può essere considerato in alcun modo un reato.

Domenica, un tribunale militare ha stabilito che Nawajah potrà essere rilasciato, ma il provvedimento è stato ritardato di 24 ore, per consentire alla polizia di fare appello. Ci auguriamo che prevalga il buon senso.

 

trad. Romana Rubeo

Fonte: http://www.haaretz.com/opinion/1.699283

Il grido dalle università italiane raggiunge il Medio Oriente.

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Un’iniziativa senza precedenti l’appello di 168 professori e ricercatori che chiedono la cessazione delle collaborazioni tra atenei italiani e quelli israeliani, a partire dal Technion di Haifa 

Il Technion di Haifa

della redazione

Roma, 30 gennaio 2016, Nena News – Un’iniziativa senza precedenti in Italia, nel mondo accademico e culturale del nostro paese. Sono 168 gli accademici e le accademiche di oltre 50 università e istituti di ricerca italiani ad aver firmato l’appello che chiede il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.

Una campagna strettamente collegata alla chiamata della società civile palestinese del 2005 alla comunità internazionale, il Bds (Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni), e che esprime solidarietà ai colleghi palestinesi colpiti da violazioni strutturali della libertà accademica da parte delle autorità israeliane.

In particolare l’appello fa riferimento agli accordi di cooperazione siglati da numerosi atenei italiani (tra cui le università di Cagliari, Firenze, Perugia, Roma e Torino e i Politecnici di Torino e Milano) con il Technion di Haifa, accusato di “supportare e riprodurre le politiche israeliane di espropriazione e di violenza militare ai danni della popolazione palestinese”.

Il testo dell’appello:

Noi, docenti e ricercatori/trici delle Università italiane siamo profondamente turbati dalla collaborazione tra l’Istituto israeliano di tecnologia “Technion” e alcune università italiane, tra cui il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’Università di Cagliari (medicina), l’Università di Firenze (medicina), l’Università di Perugia, l’Università di Roma “Tor Vergata” e “Roma3”, l’Università Torino.

Le università israeliane collaborano alla ricerca militare e allo sviluppo delle armi usate dall’esercito israeliano contro la popolazione palestinese, fornendo un indiscutibile sostegno all’occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina. [1] Il Technion è coinvolto più di ogni altra università nel complesso militare-industriale israeliano. [2] L’istituto svolge una vasta gamma di ricerche in tecnologie e armi utilizzate per opprimere e attaccare i palestinesi. Ad esempio, uno dei progetti più noti ha portato allo sviluppo di funzioni di controllo remoto sul bulldozer Caterpillar “D9” usato dall’esercito israeliano per demolire le case dei palestinesi e all’implementazione di un metodo per individuare i tunnel sotterranei, sviluppato appositamente per facilitare l’assedio alla Striscia di Gaza. [3]

Il Technion sviluppa programmi congiunti di ricerca e collabora con l’esercito israeliano e con le principali aziende produttrici di armi in Israele, tra cui Elbit Systems. Tra i più grandi produttori privati di armi, Elbit Systems fabbrica i droni utilizzati dall’esercito per colpire deliberatamente i civili in Libano nel 2006, a Gaza nel 2008-2009 [4] e nel 2014 e fornisce le apparecchiature di sorveglianza per il Muro dell’apartheid. [5] Inoltre, il Technion forma i suoi studenti di ingegneria affinché lavorino con aziende che si occupano direttamente dello sviluppo di armi complesse. Per esempio, Elbit Systems ha assegnato dei fondi di circa mezzo milione di dollari in borse di studio come premio per gli studenti del Technion che portano avanti ricerche di questo tipo. [6]

Il Technion intrattiene stretti rapporti anche con la Rafael Advanced Defense Systems, uno dei maggiori produttori di armi sostenuti dal governo, che ha elaborato un sistema avanzato di protezione dei carri armati israeliani Merkava. L’istituto ha promosso anche un master in gestione aziendale mirato specificatamente ai dirigenti di Rafael, rafforzando ulteriormente il rapporto tra il mondo accademico e il complesso militare-industriale d’Israele. [7] Come altre università israeliane, il Technion premia i suoi studenti che svolgono il servizio militare obbligatorio. Solo per citare un esempio, ai militari riservisti che hanno partecipato all’operazione Piombo Fuso a Gaza nel 2008-2009 sono stati anche concessi benefici sul piano accademico in aggiunta alle agevolazioni normalmente previste per i riservisti. [8]

Il funzionamento del vasto complesso militare-industriale israeliano dipende in notevole misura anche dalla volontà dei governi, delle aziende e dei centri di ricerca di tutto il mondo di collaborare con le università e i centri di ricerca israeliani. Il rapporto attivo e durevole del Technion con l’esercito e l’industria militare israeliana lo rende direttamente complice delle violazioni del diritto internazionale che essi commettono. Di conseguenza, collaborare con il Technion significa rendersi attivamente partecipi del regime di occupazione, colonialismo e apartheid d’Israele e in questo modo essere complici del sistema di oppressione che nega ai palestinesi i loro diritti umani più fondamentali.

Chiediamo pertanto ai nostri colleghi docenti e ricercatori/trici di porre fine a ogni forma di complicità con il complesso militare-industriale israeliano e chiediamo l’interruzione di ogni forma di cooperazione accademica e culturale, di collaborazione o di progetti congiunti con il Technion.

Inoltre, rispondendo all’appello della società civile palestinese che nel 2005 ha chiesto il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele [9] fino a che non cesseranno le sistematiche violazioni contro il popolo palestinese, dichiariamo che non accetteremo inviti a visitare istituzioni accademiche israeliane; non agiremo come arbitri in nessuno dei loro processi; non parteciperemo a conferenze finanziate, organizzate o sponsorizzate da loro, o comunque non collaboreremo con loro. Tuttavia, nel pieno rispetto delle linee guida della Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale d’Israele (PACBI) [10], continueremo a lavorare e collaborare con i nostri colleghi israeliani singolarmente.

Considerato che intellettuali critici, spiriti liberi e donne e uomini di coscienza si sono storicamente presi la responsabilità morale di combattere l’ingiustizia, come esemplificato dalla lotta per l’abolizione dell’apartheid in Sud Africa;

considerato inoltre che un numero crescente di università [11], associazioni di o singoli accademici [12] e gruppi studenteschi [13] in tutto il mondo si sono mobilitati contro la collaborazione con università e centri di ricerca israeliani complici in violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, e in piena continuità con le campagne internazionali per la revoca degli accordi con il Technion [14]

invitiamo tutte le persone solidali con la lotta di liberazione palestinese ad unirsi alla campagna BDS fino a quando Israele non riconoscerà il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e non si conformerà al diritto internazionale: 1. Ponendo termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellando il Muro; 2. Riconoscendo i diritti fondamentali dei cittadini arabo-palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; 3. Rispettando, proteggendo e promovendo i diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà come stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU.

Nel rispetto dei principi del movimento BDS rifiutiamo ogni forma di discriminazione razziale, politica, religiosa e di genere, inclusi l’antisemitismo, l’islamofobia e ogni ideologia fondata su presunte supremazie etniche o razziali.

Ci appelliamo infine a tutte le associazioni studentesche, ai movimenti di solidarietà e a tutte le persone che credono nella giustizia affinché proseguano gli sforzi di mobilitazione sia facendo pressioni sugli organi competenti per la revoca degli accordi tra il Technion e le università e i centri di ricerca italiani, sia attraverso proteste, dibattiti e azioni volte sensibilizzare le comunità accademiche sulle implicazioni della collaborazione con il Technion e in generale con le università e gli enti di ricerca israeliani.

 

Elenco aggiornato firmatari: https://stoptechnionitalia.wordpress.com/firmatari/

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[1]Pianificare l’oppressione. Le complicità dell’accademia israeliana (Torino: Seb27, 2010)

[2] Industry Guide to Technion

[3] Uri Yacobi Keller, The Economy of the Occupation: A Socioeconomic Bulletin (Jerusalem: Alternative Information Center, 2009), 9.

[4] Ibid., 10.

[5]Who Profits, ElbitSystems

[6] Keller, 10-11.

[7] Structures of Oppression: Why McGill and Concordia Universities Must Sever their Links with the Technion-Israel Institute of Technology

[8] Keller, 12-13

[9] L’appello palestinese per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni, 9 luglio 2015

[10] PACBI Guidelines for the International Academic Boycott of Israel

[11] University of Johannesburg ends Israeli links, March 23, 2011; La SOAS dell’Università di Londra sostiene il boicottaggio di Israele con un voto schiacciante, 28 Febbraio 2015 .

[12] Si veda: 250 accademici chiedono di escludere aziende israeliane dai programmi di ricerca europei, BDS Italia, 10.07.2012; American Studies Association, Resolution to Support the Boycott of Israeli Academic Institutions,  April 20, 2013 ; A Commitment by UK Scholars to Human Rights in Palestine, October 27, 2015; Academics and Israel, The Irish Times, Nov 4, 2015 ; More than 200 South African scholars pledge support for Israel boycott, The Jerusalem Post, 16 Dec 2015 . Recentemente, l’Associazione Antropologica Americana è diventata la più grande istituzione accademica degli Stati Uniti ad approvare il boicottaggio accademico di Israele. Per un elenco dei dipartimenti e delle associazioni accademiche che sostengono il BDS si veda: http://www.usacbi.org/academic-associations-endorsing-boycott/

Contatti:  Email: campagnastoptechnion@gmail.com

Sito Web: https://stoptechnionitalia.wordpress.com

 

Fonte: http://nena-news.it/168-accademici-italiani-chiedono-il-boicottaggio-delle-istituzioni-israeliane/

Con Tsipras la Grecia diventa alleata di Israele

Atene-Tel Aviv. Per decenni la Grecia è stata apertamente filo-palestinese e il suo cambio di rotta genera preoccupazione ai vertici dell’Olp, tanto che l’ex ministro degli esteri Nabil Shaath, sulle pagine del quotidiano Haaretz, si è domandato se «la Grecia tradirà la Palestina». Ieri a Nicosia il vertice tra Israele, Grecia e Cipro.

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Annunciato a metà mese da Benyamin Netanyahu, si è svolto ieri a Cipro il vertice a tre con il primo ministro israeliano, il premier greco Tsipras e il presidente cipriota Anastasiades. Un summit preceduto dalla firma due giorni fa di importanti accordi bilaterali tra Atene e Tel Aviv. Tsipras da uomo di sinistra ha stretto un’alleanza con Israele, dall’economia alla cooperazione militare, che non avevano saputo o voluto raggiungere neppure i leader greci di destra. La parola chiave del vertice di Cipro è stata “gas”. I tre Paesi hanno annunciato la costituzione di un comitato per studiare la possibilità di portare il gas naturale che si trova nelle acque al largo di Israele e Cipro, in Europa attraverso la Grecia.

Nonostante la prevalenza dei temi economici, le intese raggiunte a Nicosia sono molto più ampie e riguardano anche la sicurezza. E se la vicinanza tra Cipro e Israele, in funzione anti-Turchia, è nota da tempo, invece la stretta cooperazione tra Grecia e Stato ebraico rappresenta una novità.

Per decenni la Grecia è stata apertamente filo-palestinese e il suo cambio di rotta genera preoccupazione ai vertici dell’Olp, tanto che l’ex ministro degli esteri Nabil Shaath, sulle pagine del quotidiano Haaretz, si è domandato se «la Grecia tradirà la Palestina». Atene ha bisogno di rilanciare la sua disastrata economia ma, ha scritto Shaath, «vantaggi economici a breve termine non devono danneggiare una profonda e preziosa amicizia». Una amicizia tra i popoli, ha sottolineato, «tra greci e palestinesi…purtroppo questo rapporto ha iniziato a cambiare». A metà gennaio la Grecia e alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, sollecitati da Netanyahu, hanno tentato di bloccare una risoluzione dei ministri degli esteri dell’Ue che ribadisce la separazione territoriale tra Israele e le colonie che ha costruito nei Territori occupati.

I Bambini del Campo

Sheren Khalel and Abed Al Qaisi and Sheren Khalel and Abed Al Qaisi on January 22, 2016

 

Giovedì 21 Gennaio,

i bambini dai campi profughi di Aida e Beit Jibrin a Betlemme hanno parlato a Mondoweiss sulla loro vita nei campi. Volevamo capire esattamente quanto i bambini avessero capito dell’occupazione militare attorno a loro, e quanto normale ritenessero le proprie vite. Con il permesso dei loro genitori, abbiamo chiesto a cinque bambini per strada ciò che pensavano dei due campi. Tutte le risposte sono state spontanee ed improvvisate e, come si è scoperto, i ragazzi hanno capito e hanno vissuto sulla propria pelle, molte cose.

Molti tra i bambini hanno parlato di gas lacrimogeni, soldati, e di aver paura ad uscire. Tutti i bambini hanno visto familiari uccisi, arrestati, feriti e arrestati dalle forze israeliane – questa è la vita in molti campi profughi della Cisgiordania occupata. Eppure, i bambini hanno grandi speranze, raccontando a Mondoweiss che vogliono diventare medici, avvocati e ingegneri una volta cresciuti.

 

Fonte: http://mondoweiss.net/2016/01/video-children-of-the-camp

Traduzione: Federico Ard.