Suor Aziza e suor Agnese: il mondo tace, appello urgente.

CRESCE LA TENSIONE TRA I BEDUINI JAHALIN

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Permettete questa intrusione, sono don Emanuele. VI scrivo perché in questo momento i nostri amici beduini dei villaggi di Tabna, Abu Hindi, Al Muntar, Abu Nawar e Khan Al Amar sono invasi dall’esercito israeliano e dai bulldozer che hanno cominciato a demolire le baracche degli abitanti. L’obiettivo è deportare gli abitanti con la forza dalla loro terra (distruggendo le strutture sociali e organizzative del popolo beduino) per avere mano libera e continuare a colonizzare e insediare popolazione ebraica. Si chiama pulizia etnica.

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Un palestinese vince alla Berlinale con un documentario sulle prigioni israeliane

DPA e Nirit Anderman Feb 18, 2017 8:49 PM

In ‘Ghost Hunting’ di Raed Andoni, che ha vinto per la prima volta l’Orso d’argento per il miglior documentario, ex detenuti parlano della vita carceraria nel più importante centro per interrogatori israeliano.

 

Il cineasta palestinese Raed Andoni sabato ha vinto per la prima volta l’Orso d’Argento alla Berlinale per il miglior documentario con “Istiyad Ashbah” (“Ghost Hunting”), in cui ex detenuti ricostruiscono episodi vissuti nel più importante centro per interrogatori israeliano.

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Il regista Raed Andoni parla al pubblico dopo aver vinto il Premio Documentario Originale con ‘Istiyad Ashbah (Ghost Hunting)’ al 2017 Berlinale Film Festival di Berlino, Germania, 18 febbraio 2017. Credit Markus Schreiber/AP

 

Nel film Andoni ricostruisce le stanze degli interrogatori e le celle del centro interrogatori Moskobiya, che fa da sfondo agli ex detenuti che parlano della vita in carcere e dell’umiliazione sperimentata durante la loro detenzione.

 

Il romantico fantasy del regista ungherese Ildiko Enyedi, “Testrol es lelekrol”, ha vinto l’ambito Orso d’Oro del festival del cinema per il miglior film.

Uno dei 18 film in competizione per la vittoria alla Berlinale di quest’anno, il film di Enyedi, racconta la storia di una coppia che scopre di sognare ogni notte lo stesso sogno.

È il suo quinto lungometraggio da quando vinse la Camera d’oro al Festival di Cannes nel 1989 per il miglior film con la sua comedy-drama “My Twentieth Century”.

Gli altri film israeliani in concorso al festival – il full-length ‘Low Tide’ di Daniel Mann e il short-length ‘The Boy from H2’ di Helen Yanovsky – non sono riusciti a conquistare premi.

 

Traduzione Simonetta Lambertini – invictapalestina.org

Fonte: http://www.haaretz.com/middle-east-news/palestinians/1.772505

Analisi. Daniel Bar-Tal: «Insediamenti e i due Stati La strada in salita di Israele»

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Una sassaiola palestinese contro gli insediamenti israeliani di Ras al-Amud

Fulvio Scaglione sabato 18 febbraio 2017

Lo psicologo diventato attivista ha avviato una campagna per evitare l’ulteriore sottrazione di terre ai palestinesi. «La maggioranza dei cittadini non pensa possa esistere una soluzione diversa»

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«Chiediamo agli ebrei di tutto il mondo di unirsi agli israeliani per un’azione coordinata che ponga fine all’occupazione e costruisca un nuovo futuro, per il bene di Israele».

Bastano poche parole, in fondo, per tracciare un programma rivoluzionario. E questo lo è, basta guardarsi intorno. Il nuovo presidente Usa, Donald Trump, incontrando il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha certificato a modo suo l’abbandono della ‘soluzione a due Stati’ (cioè la creazione di uno Stato per i palestinesi), accusando anche l’Onu di essere troppo critico nei confronti dello Stato ebraico. Il tutto pochi giorni dopo che la Knesset, il Parlamento di Israele, ha approvato (con 60 sì e 52 no) una legge dal valore retroattivo che ‘regolarizza’ i terreni che appartenevano a palestinesi ma su cui sono stati costruiti decine di insediamenti, fino a prima delle legge appunto illegali. Un grande favore ai cosiddetti ‘coloni’, che in futuro potranno occupare terre altrui confidando in altre ‘sanatorie’. Insomma, sembra il timbro finale a quella occupazione che il 5 giugno, anniversario del primo giorno della guerra dei Sei Giorni del 1967, compirà il mezzo secolo.

Quelle parole, però, non basta trovarle. Bisogna poi gridarle anche a chi non vuol sentire. Questo è proprio ciò che fa Daniel Bar-Tal, psicologo, docente presso l’Università di Tel Aviv fino alla pensione. «Ho sempre privilegiato l’attività accademica – spiega con un sorriso il professore –, ma da quando sono andato in pensione ho recuperato tutto lo spirito dell’attivista». Il che è vero fino a un certo punto perché lo studioso e il militante hanno molti punti in comune. Psicologo sociale, Bar-Tal ha dedicato al tema dell’occupazione un libro fondamentale ( The Impacts of Lasting Occupation, Oxford University Press, con Izhak Schnell) e decine di articoli su giornali e riviste specializzate. «Il nostro punto di partenza – spiega Daniel Bar-Tal – è che un’occupazione prolungata diventa un sistema militare, politico, sociale, economico, culturale e legale che influenza sia l’occupato sia l’occupante. Il più debole, cioè colui che subisce l’occupazione, patisce in modo evidente. Ma anche il più forte, l’occupante, non deve illudersi: gli effetti di questo rapporto perverso si fanno sentire anche su di lui».

Sappiamo ciò che l’occupazione significa per i palestinesi. Il controllo militare israeliano ma anche ciò che nel luglio 2016 Ban Ki-moon, da segretario generale dell’Onu, così descrisse nel rapporto intitolato ‘Economic Costs of the Israeli Occupation for the Palestinian People’:

«Forti restrizioni sui movimenti delle persone e delle merci, sistematica erosione e distruzione della base produttiva, perdita di terre, acque e altre risorse naturali, frammentazione del mercato interno e separazione dai mercati confinanti e internazionali, espansione degli insediamenti israeliani».

E per gli israeliani?

«Negli ultimi 15 anni – dice Daniel Bar Tal – la narrazione del problema è tornata a essere quella degli anni Settanta. Gli israeliani sono stati indotti a credere che la terra tra il Giordano e il mare appartenga loro in modo esclusivo, anzi: gli insediamenti sono diventati il cuore dell’identità nazionale. E la memoria dell’Olocausto, con le paure atroci che porta con sé, è stata sfruttata per affermare un diritto a difendersi che non contempla l’esistenza di altre vittime. Il ciclo in apparenza senza fine di rivolte e repressioni, ovviamente, non fa che rafforzare tale approccio: delegittima l’avversario palestinese e incentiva l’auto-vittimizzazione degli israeliani, che così possono mantenere un’immagine sempre positiva e orgogliosa di sé, a dispetto di tutto».

È una spirale che sembra senza fine che annulla qualunque approccio razionale al problema della convivenza tra i due popoli. In uno studio del 2015, la Rand Corporation, centro studi fondato nel 1948 negli ambienti militari Usa e poi diventato indipendente, quindi poco incline agli estremismi, ha stimato che la ‘soluzione a due Stati’ porterebbe enormi benefici sia a Israele sia ai palestinesi. Israele potrebbe guadagnare 123 miliardi di dollari nei primi dieci anni e i palestinesi 50, con un incremento del 5% nel reddito medio degli israeliani e del 36% in quello dei palestinesi. Ma nessun messaggio sembra penetrare certi rancori.

«Se pensiamo che ormai due generazioni sono nate sotto l’occupazione – continua il professore – e che il Governo usa il sistema scolastico e i media per perpetuare quella narrazione, si capisce perché oltre il 70% degli israeliani non accetta e nemmeno capisce il termine ‘occupazione’. E soprattutto non riesce nemmeno a concepire l’idea che possa esistere una soluzione alternativa, che altre strade siano più convenienti. Tutto questo, però, sta inesorabilmente degradando il sistema democratico, che sarà messo ancor più alla prova dal tentativo di esercitare un’autorità di tipo militare su più di 2 milioni di palestinesi che non sono cittadini di Israele e che, insieme con i palestinesi che invece sono cittadini di Israele, formano quasi metà della popolazione che vive tra il Giordano e il mare. Per non parlare dei costi: Israele spende per gli insediamenti tra i 7 e gli 8 miliardi di euro l’anno, un peso che diventa sempre meno sostenibile. Come vede, è della salvezza di Israele che ci preoccupiamo. E l’unica salvezza è nella soluzione a due Stati».

Sulla base di queste convinzioni, quindi, Daniel Bar-Tal ha fondato SISO, ovvero Save Israel Stop Occupation (Salviamo Israele, Fermiamo l’occupazione), un movimento che, come dice la sigla stessa, si è dato una specie di missione impossibile: rovesciare una situazione che vige da mezzo secolo e che ormai ha portato più di 600mila persone a vivere negli insediamenti, quasi il 10% della popolazione totale di Israele. E che non solo, come la recente legge dimostra, è politica dello Stato ma è anche sostenuta da una larghissima parte dell’opinione pubblica. «Forse è impossibile, ma ci sono solo due strade. Stare a casa e deprimersi. Oppure provare a fare qualcosa, perché anche questa, come tutte le occupazioni, è destinata a finire». Nei due anni scarsi di vita, SISO ha già prodotto i suoi effetti. Per esempio, l’appello che abbiamo citato all’inizio e che è stato firmato da oltre 500 personalità di Israele e della diaspora, tra le quali gli scrittori David Grossman e Amos Oz, Daniel Kahneman (premio Nobel per l’Economia nel 2002), Avishai Margalit (accademico, docente di Filosofia a Princeton), Zeev Sternhell (storico), diplomatici come Elie Barnavi (ex ambasciatore di Israele in Francia), Colette Avital (già ambasciatrice in Portogallo e numero tre del ministero degli Esteri), Ilan Baruch (ex ambasciatore in Sudafrica) e molti altri.

Per il giorno del cinquantenario il movimento ha ottenuto l’adesione di una trentina di organizzazioni pacifiste israeliane a una serie di iniziative che si terranno in decine di città di tutto il mondo. L’apice sarà il 10 giugno, data che mezzo secolo fa segnò la fine della Guerra dei Sei Giorni, con una catena umana che si allungherà lungo parte della Linea Verde, la linea di demarcazione segnata con l’armistizio della prima guerra del 1948-1949, la cosa più vicina a un confine (che peraltro non è) che sia riconosciuta dall’Onu. «Da molti anni – dice Daniel Bar-Tal – la linea Verde non è nemmeno menzionata nei libri di testo delle scuole di Israele. Come stupirsi, quindi, se negli israeliani manca la coscienza dell’occupazione?». Il professore è anche ‘ambasciatore’ di SISO presso le comunità ebraiche della diaspora e ammette che il compito non è sempre facile. Gli ebrei liberal americani, per esempio, faticano a mobilitarsi. «Per molti – commenta – criticare Israele è sempre un problema. Li capisco, sentono lo Stato ebraico in costante pericolo e temono di danneggiarlo. Ma il vero danno si fa lasciandolo proseguire su questa china».

 

 

Fonte: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/insediamenti-e-i-due-stati-la-strada-in-salita-di-israele

Lettera Aperta al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca alla vigilia del 10 febbraio “Giorno del Ricordo”

Riguardo le foibe, nella scuola vanno fatte ricostruzioni storiche corrette e ben più documentate e complete di quanto è stato fatto fino ad oggi.

Roma, 9 febbraio 2017

Gentile Ministro,

a fine febbraio dell’anno scorso sono stati prorogati per dieci anni i termini per il conferimento di riconoscimenti e medaglie a vittime (ai loro congiunti) delle foibe del ’43 e del ’45, in base alla legge 92 del 2004 che ha istituito il «Giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale» per il 10 febbraio di ogni anno.

Ma quanti e chi sono stati coloro che hanno ricevuto riconoscimenti e medaglie nei primi dieci anni di applicazione della legge?

La domanda è tanto più importante alla luce del “caso Mori”, il caso del parmense Paride Mori fascista repubblichino volontario al confine nordorientale col grado di capitano del Battaglione Bersaglieri “Mussolini” ucciso nel ’44 con armi da fuoco dai partigiani jugoslavi, al quale le massime autorità della Repubblica il 10 febbraio 2015 hanno conferito la medaglia da vittima delle foibe e poi l’hanno revocata in seguito alle proteste antifasciste.

Non esiste un elenco ufficiale centrale; secondo ricerche e studi storici recenti (in particolare di Sandi Volk) le persone insignite di medaglie, pur nell’accezione molto ampia del termine “infoibato” introdotto nella legge 92/2004, risultano appena poco più di trecento, 323, un numero assai inferiore a quello delle migliaia e decine di migliaia di “infoibati” sostenuto dai promotori della legge 92, di cui la gran parte, 250 (77%), sono state appartenenti a formazioni armate dell’Italia fascista e personale politico fascista.

Sulla base di questi numeri – ma anche ipotizzando l’esistenza di altre vittime non presenti fra i beneficiari del riconoscimento, dispersi, scomparsi o fatti prigionieri dagli jugoslavi al momento della Liberazione (maggio ’45), anche considerando il fenomeno stesso dell’esodo da Istria e Dalmazia in Italia, che ha riguardato 200.000÷250.000 persone compresa una parte per quanto piccola di sloveni e croati, è avvenuto nel corso di oltre un decennio, e (a differenza di fenomeni analoghi avvenuti altrove) non è stato imposto dalle autorità jugoslave con provvedimenti di espulsione – è insostenibile la tesi che vi sia stato nei confronti dell’Italia e degli italiani un «disegno annessionistico slavo» che «assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica» come disse il Presidente Napolitano il 10 febbraio 2007.

Semmai disegno annessionistico e sprezzante razzismo nei confronti delle popolazioni slave vi fu da parte del fascismo e di Mussolini. Con la guerra d’aggressione e d’occupazione della Jugoslavia, che nulla aveva fatto all’Italia, condotta al fianco dell’alleato nazista, con l’italianizzazione forzata nel corso del ventennio precedente di zone del confine abitate da sloveni e croati, con le violenze squadriste dei primi anni ’20 nei loro confronti. Il razzismo del fascismo si manifestò la prima volta, quasi vent’anni prima delle leggi contro gli ebrei, nel ’20 a Pola con le parole di Mussolini: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone».

Con la legge 92/2004 che ha attribuito medaglie della Repubblica immeritate, che ha istituito un giorno di solennità civile nazionale il 10 febbraio, che ha introdotto anche nelle scuole racconti del passato parziali e incompleti, si è generato un revisionismo storico del tutto inaccettabile. I soggetti vengono considerati in modo rovesciato rispetto alla realtà storica, in definitiva facendo dell’aggressore, l’Italia fascista, la vittima, e dell’aggredito, le popolazioni dell’ex Jugoslavia, il carnefice.

Nella scuola della Repubblica vanno fatte ricostruzioni storiche corrette, ben più documentate e complete di quanto è stato negli ultimi dieci anni in occasione del 10 febbraio. Alla vigilia del 10 febbraio alle autorità scolastiche e a Lei stessa sig. Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca chiediamo: che nelle scuole rievocazioni e iniziative sui fatti e i temi oggetto della legge 92/2004 non siano lasciate in modo esclusivo alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, alle quali in questi anni sono stati dati consistenti finanziamenti pubblici, ma vedano coinvolti anche studiosi, storici, associazioni culturali, istituti storici, ecc., impegnati nel dibattito e nella ricerca in merito; che vengano non più sottaciuti ma adeguatamente fatti conoscere i crimini dell’Italia fascista nei Balcani e in Jugoslavia (con morti delle popolazioni jugoslave non solo precedenti i morti delle foibe ma di numero di più ordini di grandezza superiore a questi); che venga proiettato l’istruttivo al riguardo film documentario inglese della BBC «Fascist Legacy» acquistato dalla RAI; che vengano ricordate e commemorate le tante migliaia di soldati italiani, i quarantamila soldati italiani, che in Jugoslavia l’indomani dell’8 settembre ’43 scelsero di combattere come partigiani insieme con la Resistenza Jugoslava contro il nazifascismo e in ventimila morirono in questa guerra di liberazione transnazionale, così riscattando l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata.

Giuseppe Aragno (storico, Napoli)

Boris Bellone (Segretario ANPPIA provinciale Torino)

Andrea Catone (Direttore della rivista “MarxVentuno”)

Claudia Cernigoi (giornalista e ricercatrice storica, Trieste)

Serena Colonna (Segretaria Nazionale ANPPIA)

Davide Conti (storico e consulente dell’Archivio Storico del Senato, Roma storico, Università di Torino)

Angelo Del Boca (storico, Università di Torino)

Angelo D’Orsi ((storico, Università di Torino)

Sante Giovannetti (partigiano, Roma)

Eric Gobetti (storico freelance, Torino)

Alexander Hobel (ricercatore di storia contemporanea e saggista, Roma)

Alessandra Kersevan (storica ed editrice, Udine)

Umberto Lorenzoni (partigiano, Presidente ANPI provinciale Treviso)

Gabriella Manelli (già Preside Liceo Classico ed ex Presidente ANPI provinciale Parma)

Rita Martufi (ricercatrice, direttrice CESTES)

Raul Mordenti (docente, Università Tor Vergata Roma)

Carla Nespolo (membro del Comitato Nazionale ANPI)

Miriam Pellegrini Ferri (partigiana, Roma)

Vito Francesco Polcaro (ricercatore, Roma)

Giacomo Scotti (scrittore e storico, Fiume – Trieste)

Roberto Spocci (Presidente ANPPIA Parma)

Luciano Vasapollo (docente, Università La Sapienza Roma)

Alessandro (Sandi) Volk (storico, Trieste)

per contatti: diecifeb@diecifebbraio.info

11/02/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: http://www.rifondazionesiena.it/la-necessita-di-difendere-la-memoria-antifascista-dal-mito-delle-foibe-2/

«Trump dice che ai bambini palestinesi  si insegna l’odio, ma loro sognano la pace»

Lettera di Ramy Balawi, giovane insegnante di storia a Gaza: “Io insegno ai bambini che l’occupazione è contro i valori dell’umanità perché viola i diritti degli esseri umani”

ramy-2Ramy Balawi è un giovane insegnante di storia a Gaza, Palestina. Da tempo corrispondente per Reteluna, racconta la difficoltà di vivere in una prigione a cielo aperto, nell’indifferenza del resto del mondo, Questa la sua ultima nota, commentando una dichiarazione del neo presidente Usa, Donald Trump.

Ho letto che il presidente Trump ha dichiarato che ai bambini palestinesi viene insegnato ad odiare. Ho letto che ai bambini di Gaza si insegnano pensieri violenti e di portare l’odio nei loro cuori. Ascoltare questo è un insulto e un abuso, perché, come sapete, sono un insegnante a Gaza.

Io sono un insegnante di storia, io insegno ai bambini che l’occupazione è contro i valori dell’umanità perché viola i diritti degli esseri umani. Il diritto per la libertà, la giustizia, la pace e il diritto alla vita.

Dobbiamo imparare da eventi storici per capire come ottenere di nuovo i nostri diritti. Io voglio che i miei studenti abbiano una profonda comprensione delle persone e personaggi che hanno fatto la nostra storia, ma soprattutto voglio che abbiano umanità.

Purtroppo Gaza sta per crollare e svanire e non so chi a dobbiamo dare la colpa: al mondo, Israele, altri paesi arabi o a noi stessi. La nostra vita a Gaza non è una prigione, è una tomba aperta. Perché viviamo come i morti, anche se siamo vivi. Siamo privati di tutti i diritti degli esseri umani normali. Forse i prigionieri hanno alcuni diritti, ma noi non ne abbiamo.

Lottiamo per rimanere in vita, anche se non sappiamo cosa ci aspetta in futuro. Non si può immaginare che cosa significa vivere nel nostro mondo. Non possiamo nemmeno sognare perché anche sognare provoca un dolore insopportabile.Dobbiamo smettere di sognare solo per rimanere in vita. Giusto per vivere in questa tomba aperta, nel mondo dei morti. Se vedrete il nostro mondo, sentirete la tortura e un dolore insopportabile.
Lunedì 20 febbraio 2017

Fonte: http://viterbo.reteluna.it/it/trump-dice-che-ai-bambini-palestinesi-si-insegna-l-odio-ma-loro-sognano-la-pace-ApKdS.html

 

Video da noi sottotitolato sull’educazione dei giovani israeliani.