Quello che i soldati israeliani non dicono mai alle loro madri

Haaretz  Gideon Levy, 15 gennaio 2017

Non c’è praticamente nessun servizio operativo nell’esercito israeliano che non comporti per i soldati il compiere missioni spregevoli come quella descritta qui di seguito.

Si sono radunati in una stretta via, in una notte fredda e scura. Erano tesi. Il grido di un lontano sciacallo ha rotto il silenzio. Per alcuni questa era la prima missione operativa. L’avevano sempre sognata ed erano stati a lungo addestrati. L’adrenalina scorreva, proprio come volevano. Era quello per cui si erano arruolati.

Prima di uscire hanno mandato messaggini ai propri familiari per dire loro di non preoccuparsi. Quando si è levato il sole e sono tornati in salvo alla base, li hanno nuovamente inviato dei messaggi. Le loro madri non hanno chiesto che cosa avevano fatto e loro non glielo hanno detto. Succede sempre così. I familiari sono orgogliosi di loro: sono dei soldati che combattono.

Quando si sono messi in riga prima di partire, i comandanti hanno controllato il loro equipaggiamento e munizioni ed impartito gli ultimi ordini. L’ufficiale di intelligence ha parlato loro dei due ricercati: devono essere trovati, ad ogni costo. Poi i soldati sono usciti nella notte. Trenta soldati. Sono saliti a piedi in cima alla collina.

Hanno raggiunto l’obiettivo poco dopo mezzanotte. Il villaggio era profondamente addormentato, i fari di sicurezza arancione della colonia di là dalla strada ammiccavano distanti. Ed è stato dato l’ordine: attaccare!

Si sono avventati contro la porta posteriore della casa e l’hanno scossa finché non è stata quasi scardinata. Dal secondo piano è uscita una luce fioca ed un uomo è sceso in pigiama, ancora mezzo addormentato, per aprire il cancello di metallo. Nessuno di loro si è chiesto che cosa ci facesse là. Forse questo accadrà quando saranno maturati ancora un po’.

I primi quattro sono entrati con i fucili spianati, i volti coperti da maschere nere; si vedevano solo gli occhi. Hanno spinto indietro lo sbalordito palestinese. Lui ha tentato di spiegare loro che i bambini stavano dormendo e non voleva che si svegliassero vedendo un soldato mascherato sopra il loro letto.

I soldati volevano Tariq. Ed anche Maliq. Hanno ordinato al palestinese di portarglieli. I due ricercati dormivano in una stanza tutta blu, comprese le lenzuola. I soldati li hanno svegliati con delle grida. I ricercati si sono destati nel panico.

I soldati gli hanno ordinato di alzarsi. Poi li hanno afferrati per le braccia, li hanno spinti in due stanze separate e chiusi dentro. Altri soldati hanno fatto irruzione nella casa, i cui abitanti nel frattempo si erano tutti svegliati. Mahmoud, di sei anni, ha incominciato a gridare: “Papà, papà!”

I soldati hanno ammonito i due di non osare partecipare ad altre manifestazioni. “La prossima volta vi spareremo o vi arresteremo”, hanno detto a Maliq. Lui è rimasto chiuso dentro per 40 minuti, finché i soldati non se ne sono andati. Andandosene, hanno lanciato delle granate stordenti nei cortili delle case cui passavano accanto – la ciliegina sulla torta.

Tutto questo è successo circa 10 giorni fa a Kafr Qaddum. Succede ogni notte in tutta la Cisgiordania.

I due ricercati avevano 11 e 13 anni. Tariq non ha ancora ripreso a parlare e Maliq ha un sorriso spaventato. Da quella notte dormiranno solo nel letto dei genitori. Mahmoud ha incominciato a bagnare il letto. Il grande spiegamento di soldati è arrivato a notte fonda solo per spaventarli e forse anche per tenere alta la tensione.

L’unità dei portavoce dell’esercito israeliano non si è vergognata di dire: “I soldati hanno parlato con dei giovani che avevano preso parte ad una regolare manifestazione a Qaddum.” Ecco che cosa fanno i soldati israeliani: tengono colloqui intimidatori di notte con dei bambini. Per questo si sono arruolati. Di questo vanno fieri.

Vale la pena notare che Kafr Qaddum è un luogo degno di rispetto. Ha lottato per circa cinque anni, con coraggio e determinazione, per riaprire la sua strada di accesso – che era bloccata a causa della colonia di Kedumim. La colonia era cresciuta proprio ai bordi della strada, provocando la sua chiusura.

Venerdì scorso Amos Harel ha parlato su Haaretz della drastica diminuzione del numero di giovani di buona famiglia che vogliono fare il servizio militare in unità di combattimento. La polizia di frontiera attualmente è l’unità più ambita e le sue porte sono prese d’assalto dalle frange più deboli della società, che Israele cinicamente istiga contro i palestinesi, al punto che tutti loro vogliono essere come il sergente Elor Azaria [condannato per aver ucciso un attentatore palestinese inerme, ndtr].

Forse è un bene che i benestanti abbandonino il servizio militare nei territori. O forse è un male, perché lasciano il posto ad altri. Oggi non c’è praticamente nessun servizio operativo nell’esercito israeliano che non comporti il compiere spregevoli missioni come l’operazione a Kafr Qaddum.

Questo venerdì, oppure il prossimo, Tariq e Maliq torneranno a manifestare in strada e forse tireranno anche pietre. Non dimenticheranno tanto velocemente il terrore di quella notte; quel terrore plasmerà la loro coscienza.

E i soldati? Continueranno ad essere degli eroi, ai propri occhi ed a quelli della loro gente.

Fonte: http://zeitun.info/2017/01/16/quello-che-i-soldati-israeliani-non-dicono-mai-alle-loro-madri/

La polizia della provincia di Buenos Aires, (la Bonaerense) si “specializza” con istruttori della polizia israeliana.

Jueves 17 de noviembre de 2016 |Daniel Satur, Edición del día

Un corso di terrore

Nella Scuola Vucetich di Berazategui (municipio della provincia di Buenos Aires), forze “speciali” si stanno addestrando nella pratica e nella teoria con specialisti esperti nello sterminare palestinesi e blindare militarmente lo stato israeliano.

Praticamente un’informazione ufficiale non c’è ed il ministro della Sicurezza provinciale, Cristian Ritondo, risponde appena quando gli si rivolge la domanda. Eppure, da qualche mese il governo di María Eugenia Vidal sta preparando le domande di “addestramento” e “formazione” per la Polizia Provinciale di Buenos Aires con il ricorso ad esperti di alcune delle forze repressive più brutali e sanguinose del mondo.

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La mia Turchia è morta come mia nonna

 

di Elif Shafak

 

elifshafak_ask_ebrubilun_wikiUn tempo la Turchia era un modello per un Islam moderno, tempo fa. Oggi la società è divisa, la quotidianità politicizzata e l’atmosfera avvelenata. Nel giorno in cui ho scritto questo articolo, mia nonna è morta. La donna che mi ha cresciuta, che mi ha raccontato fiabe e magie e trasmesso la capacità d’immedesimazione e di provare compassione. La sua personalità era un interessante miscuglio: profondamente spirituale, ma decisamente laica; orientale, ma in armonia con lo stile di vita occidentale . Non molto istruita, ma grande sostenitrice della formazione e della libertà per sua figlia e sua nipote. Per me, lei era il simbolo di una Turchia capace di contenere in sé una sintesi straordinaria di culture e tradizioni diverse.

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250 studenti delle scuole superiori dichiarano appoggio alle obiettrici di coscienza

Gli studenti dell’Ironi Alef di Tel Aviv firmano una petizione a sostegno di Tamar Alon e Tamar Ze’evi, che rifiutano di servire nell’esercito in opposizione all’occupazione.

foto copertina: Tamar Alon e Tamar Ze’evi fuori dalla base di reclutamento Tel Hashomer dell’IDF mentre aspettano di dichiarare il loro rifiuto di servire nell’esercito ed essere condannate al carcere, Tel Aviv, 16 novembre 2016. (Haggai Matar)

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