LA REALTÀ DEI PESCATORI DI GAZA

29/12/2016

 

Schermata 2017-01-09 alle 14.40.15.pngIn qualsiasi luogo una persona si rende conto che la vita dei pescatori non è per niente facile.

Lavorano in mezzo al mare, ad orari inconvenienti, e con qualsiasi condizione climatica. Questa situazione si aggrava ulteriormente per i pescatori della striscia di Gaza. Le restrizioni a cui sono sottomessi, principalmente quella della limitazione delle acque in cui pescare solo fino a 6 miglia nautiche (11 km) e in rare occasioni fino a 9 miglia (16 km), hanno gravemente compromesso il settore negli ultimi 10 anni.

 

In una delle mie frequenti visite a Gaza ho conosciuto Mefleh Abu Ryala, membro del locale sindacato dei pescatori. Ê uno dei 4000 pescatori che aiutano a mantenere i 24 mila abitanti della striscia. Mentre passeggiamo nel nuovo porto, mi dice che riescono a sopravvivere grazie agli aiuti internazionali

Ci vediamo al molo alle 5 del mattino del giorno successivo. Dopo aver comprato il carburante, salpiamo con suo fratello, uno dei suoi figli e due nipoti. Il tragitto, nella sua barca molto umile e con un piccolo motore, non dura molto. Come si sente nell’intervista, i pescatori possono pescare solo fino a 5 miglia nautiche la sesta è zona grigia.

Improvvisamente Mefleh avvista un banco di tonni e tutta la famiglia si prepara a gettare le reti. Ê un lavoro manuale e noioso sotto il sole torrido del medi oriente. Dopo due ore e aver lanciato le reti tre volte, pescano solo tre chili di minuscoli tonni. “La buona pesca è più in là nella zona dove non possiamo andare a pescare” si lamenta Meflesh mentre tira su le reti.
Sono le otto di mattina quando torniamo a terra e andiamo direttamente al porto a vendere il pesce. “Oggi abbiamo ricavato 300 shekel (una settantina di euro) ma il costo del carburante sono spesso superiori a quanto ricaviamo.

La pesca è un componente essenziale dell’economia di Gaza, la cui la popolazione soffre il più alto tasso di disoccupazione nel mondo, specialmente tra i più giovani. Le restrizioni che soffrono i pescatori impediscono di avere i mezzi di sussistenza per i loro cittadini.
In queste circostanze, l’autosufficenza non è raggiungibile per la maggioranza degli abitanti della striscia che sperano in una estensione permanente della zona in cui poter pescare e. con questa, estendere anche gli orizzonti delle loro vite.
Con questo video a 360º del comitato Internazionale della croce rossa, avrete la possibilità di camminare per le strade di Gaza e andare a pescare con Meflesh e la sua famiglia.

 

Trad. Fiorella Socci

Fonte: http://www.federacionpalestina.cl/noticia.php?id=2028

Il duraturo elogio funebre di Gaza di Moshe Dayan: Questo è il destino della nostra generazione

foto copertina: 08 gennaio 2017, camion lanciato contro soldati israeliani.

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Il primo ministro Golda Meir, a destra, il ministro della Difesa Moshe Dayan, centro, tra i soldati dell’IDF nelle alture del Golan durante la guerra del Kippur.

Chemi Shalev Jul 20, 2014 8:57 PM

Il discorso commemorativo di Dayan sulla «marea di odio e di vendetta» oltre confine suona giusto anche oggi: o come una realtà immutabile oppure come una profezia autoavverantesi.

Didascalia della foto: Il primo ministro Golda Meir (a destra) e il ministro della Difesa Moshe Dayan (al centro) incontrano i soldati dell’IDF sulle Alture del Golan durante la guerra dello Yom Kippur.

Il 29 aprile 1956 Roy Rotenberg, 21enne agente di sicurezza del kibbutz Nahal Oz, venne ucciso da predoni arabi vicino al confine con Gaza, a breve distanza dalla zona in cui l’IDF ieri [19 luglio 2014, N.d.T.] ha perso 13 soldati. Gli aggressori di Rotenberg hanno portato il suo corpo oltre il confine, l’hanno mutilato e poi consegnato agli osservatori delle Nazioni Unite. Il capo dello stato maggiore dell’IDF Moshe Dayan, che aveva incontrato Roy pochi giorni prima, ha partecipato al suo funerale e ha pronunciato un elogio che ha resistito per più di mezzo secolo come una pietra miliare fondamentale dell’eterna lotta di Israele contro i suoi vicini del Sud.

Con una squisita prosa ebraica ricca di riferimenti biblici, Dayan ha stupito i suoi ascoltatori dipingendo in modo brutalmente candido gli assassini di Rotenberg, il loro collegamento alla terra contesa e le loro motivazioni.

«Ieri all’alba Roy è stato assassinato. La quiete della mattina primaverile lo aveva accecato, e non ha visto coloro che, nascosti dietro i fossati, lo volevano morto. Non dedichiamoci oggi a gettare biasimo sui suoi assassini. Che cosa possiamo dire del loro odio terribile verso di noi? Da otto anni si trovano nei campi profughi di Gaza e hanno visto come, davanti ai loro occhi, abbiamo trasformato la loro terra e i loro villaggi, dove loro e i loro antenati abitavano in precedenza, facendoli diventare casa nostra».

Ma il riconoscimento di Dayan della rabbia dei profughi non lo ha portato alla stessa posizione di pace onnicomprensiva che avrebbe adottato dopo la guerra del 1973, alla fine della carriera. Al contrario, sono i «pacifisti» della sua generazione – critici nei confronti delle politiche militari propugnate da David Ben Gurion contro i Fedayeen – l’obiettivo principale della sua critica. Come lo storico Benny Morris spiega nel suo libro Le guerre di confine d’Israele, Dayan ha detto: «Non è tra gli arabi di Gaza, ma proprio in mezzo a noi che dobbiamo cercare il sangue di Roy. Com’è successo che abbiamo chiuso gli occhi e ci siamo rifiutiati di guardare onestamente il nostro destino e vedere, in tutta la sua brutalità, il destino della nostra generazione?

«Dietro il fossato del confine sale una marea di odio e di vendetta, vendetta che guarda al giorno in cui la calma ottunderà la nostra coscienza, al giorno in cui sentiremo gli ambasciatori dell’ipocrisia maligna che ci chiederanno di abbassare le armi. A noi e solo a noi fa appello il sangue di Roy, che sgorga dal suo corpo straziato. Dato che abbiamo giurato mille volte che il nostro sangue non sarà versato facilmente – e tuttavia ancora ieri eravamo tentati, abbiamo ascoltato e abbiamo creduto».

«Facciamo il punto della situazione. Siamo una generazione di insediamento e senza l’elmetto d’acciaio e il fucile puntato non saremo capaci di piantare un albero o costruire una casa. Non abbiamo paura di guardare onestamente all’odio che consuma e riempie la vita di centinaia di arabi che vivono intorno a noi. Non abbassiamo lo sguardo a meno che non si indeboliscano le armi. Questo è il destino della nostra generazione. Questa è la nostra scelta – di essere pronti e armati, bravi e duri – o altrimenti la spada cadrà dalle nostre mani e le nostre vite saranno spezzate tutt’a un tratto».

«Il giovane Roy, che era venuto via da Tel Aviv per costruire la propria casa ai confini con Gaza perché fosse un baluardo del nostro popolo… la luce che gli illuminava il cuore l’ha accecato, e lui non ha sentito la voce dell’assassino che gli tendeva l’imboscata. Le porte di Gaza si sono dimostrate troppo pesanti per le sue spalle e si sono chiuse sopra di lui».

Per molti israeliani, oggi la realtà che li circonda è identica a quella che al tempo si presentava a Dayan. Molti vedono l’ostilità palestinese come eterna e immutabile, anche se possono essere meno inclini di Dayan a riconoscere il loro attaccamento alla terra. Altri sostengono che la filosofia dura e inflessibile di Dayan, formulata in un momento in cui il paese era più piccolo e più debole rispetto a oggi, ha reso Israele cieca di fronte a opportunità in cui la negoziazione e la moderazione erano all’ordine del giorno.

In un triste giorno in cui tanti nomi sono aggiunti alle migliaia che hanno seguito le orme di Roy Rotenberg, il discorso di Dayan servirà per alcuni come fonte di ispirazione, ma per gli altri sarà motivo di disperazione.

trad. Invictapalestina.org

Fonte: http://www.haaretz.com/blogs/west-of-eden/.premium-1.606258

George Michael su Palestina e Iraq (con Video)

Il giorno di Natale la morte del cantante George Michael a 53 anni ha scioccato il mondo. Michael era noto per le sue posizioni progressiste su molte questioni e varie cause di beneficenza. Questo è un breve estratto video di una intervista condotta con lui durante la trasmissione Hard Talk della BBC sulla guerra anglo-americana contro l’Iraq e su come  la guerra è legata alla Palestina.

Hard Talk:

George Michael in Palestina e in Iraq – 23/02/2003

 

 

Trad. Rossella Tisci – Invictapalestina

Fonte: http://www.palestinechronicle.com/george-michael-on-palestine-and-iraq-video/

La polizia israeliana Spara su teenager palestinese, poi l’arresto   dopo la denuncia del padre

Occhi: quando apriremo i nostri, forse, quelli dei bambini palestinesi non verranno più accecati.

Gideon Levy, Jan 05, 2017 5:45 PM

 

Ahmad Mahmoud stava andando a comprare un paio di scarpe con sua madre, quando un poliziotto gli spara un proiettile di gomma agli occhi.

E‘ stato ricoverato per una settimana e ha perso la vista ad un occhio. Suo padre ha sporto denuncia agli affari interni. Una settimana dopo arrivano i poliziotti per arrestare il ragazzo.

Leggi tutto “La polizia israeliana Spara su teenager palestinese, poi l’arresto   dopo la denuncia del padre”

2016: un anno terribile nei Territori Palestinesi Occupati e in Israele

JAN. 1, 2017 8:18 P.M. (UPDATED: JAN. 5, 2017 4:59 P.M.)

Betlemm-Ma’an. Quello appena trascorso è stato un anno terribile e colmo di violenza per i Palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza assediata. Soltanto nel 2016 sono stati uccisi più di 100 Palestinesi, la maggioranza dei quali da proiettili sparati dalle forze israeliane.

Una ondata di violenza, definita da alcuni come la “Intifada di Gerusalemme”, è iniziata nell’ottobre del 2015 e fino ad oggi ha visto uccidere 246 Palestinesi da parte degli Israeliani, con 135 Palestinesi uccisi soltanto tra i mesi di ottobre e dicembre 2015.

Da quando sono iniziate le violenze, Ma’an ha raccolto i dati riguardanti tutte le persone morte, facendo parte anch’esse di questo ultimo capitolo del conflitto israelo-palestinese.

Ma’an ha documentato in totale la morte di 129 persone dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016. Di questi morti, 111 erano Palestinesi (86%), 15 erano Israeliani (11,6 %) e tre erano di nazionalità estera (2,3%) – un americano, un sudanese ed un giordano.

Dei Palestinesi uccisi, il 97,3% lo è stato per mano israeliana. Uno è rimasto ucciso mentre teneva una bomba artigianale che è esplosa prima del tempo stabilito, un altro mentre stava mettendo in atto un attentato ed un terzo è stato ucciso da un altro Palestinese durante una sparatoria.

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Tra gli Israeliani uccisi, il 93,3% lo è stato per mano palestinese, mentre un militare è stato ucciso dal fuoco amico; nove (60% del totale dei morti) sono stati uccisi durante attacchi armati.

Le violenze sono state per la maggior parte caratterizzate da attacchi di lieve entità o da tentativi di aggressioni contro le forze armate israeliane, con 55 (49,5%) dei Palestinesi morti perché uccisi da Israeliani mentre cercavano di compiere attacchi presunti o reali con coltelli.

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Attingendo alle statistiche di questo periodo, emerge un quadro generale di come il Palestinese sia rimasto ucciso: un ragazzo nella tarda adolescenza o appena ventenne o poco più, del distretto di Hebron, in Cisgiordania, colpito dalle forze di sicurezza israeliane. Di tutti i Palestinesi ammazzati, 34 (il 30,6%) provenivano del distretto di Hebron.

Dal punto di vista geografico, la maggior parte dei decessi palestinesi – 82 per l’esattezza – sono avvenuti in Cisgiordania, mentre 17 si sono verificati nella città di Gerusalemme, sette nella Striscia di Gaza assediata, e cinque in Israele. Tra quelli uccisi a Gaza, vi erano due bambini Palestinesi di nove e sei anni, colpiti da un attacco aereo israeliano.

Anche se sono state uccise 12 donne e ragazze palestinesi – 10 delle quali stavano compiendo veri o presunti attacchi – la stragrande maggioranza dei morti palestinesi sono uomini e ragazzi: dei 111 Palestinesi uccisi, 99 erano maschi.

Secondo i documenti in possesso di Ma’an, l’età media dei martiri palestinesi è di 23 anni. Tuttavia l’età più frequente dei morti è di 17 anni, con 14 giovani Palestinesi di questa età che hanno perso la vita durante l’anno passato.

Secondo un rapporto del Defense for Children International-Palestine (DCIP), il 2016 è stato l’anno più letale dell’ultimo decennio per i minorenni palestinesi della Cisgiordania.

Ma’an ha documentato che 33 minori palestinesi, dai diciassette anni in giù, sono stati uccisi da gennaio.

Nel 2016 il DCIP ha registrato anche 81 ferimenti di bambini palestinesi, “la maggior parte dei quali sono avvenuti per mano delle forze israeliane”, aggiungendo che in molti casi di ferimenti o in casi letali, le forze israeliane hanno impedito ai medici di avvicinarsi e di prestare le cure ai bambini che stavano agonizzando a causa delle ferite da arma da fuoco.

Dei 15 Israeliani uccisi nel 2016, è stato colpito anche un minorenne: il tredicenne Hallel Yafa Ariel, che è stato accoltellato a morte nella sua abitazione nella colonia illegale israeliana di Kiryat Arba, dal diciassettenne Muhammad Nasser Tarayra, ucciso poi sul luogo dell’accaduto.

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I casi di Israeliani che hanno ucciso Palestinesi, per i quali la versione ufficiale israeliana di quanto accaduto è stata fortemente contestata – come quando, ad esempio, i testimoni sostengono che il Palestinese non costituiva una minaccia al momento della sua morte, che le forze israeliane hanno piantato coltelli o manipolato in altro modo la scena incriminata, o quando non sono state riportate ferite ad Israeliani o nessun testimone che contesti la versione israeliana degli avvenimenti – sono stati classificati da Ma’an come “presunti”.

Vi sono stati 13 Palestinesi (11,7% del totale dei morti) ammazzati dagli Israeliani mentre compivano o tentavano di compiere attacchi sparando, veri o presunti, mentre sei (5,4%) sono rimasti uccisi mentre compivano o cercavano di compiere presunti attacchi con autovetture.

Oltre a questi, 19 Palestinesi sono stati uccisi durante scontri con le forze israeliane, 18 dei quali sono stati colpiti da armi da fuoco, mentre un Palestinese è morto a causa di grave inalazione di gas lacrimogeni.

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La polizia ed i militari israeliani sono stati fortemente criticati nell’anno passato per quelle che i gruppi per i diritti umani hanno definito come “esecuzioni extragiudiziali” e per l’uso eccessivo della forza contro i Palestinesi – soprattutto contro ragazzi e bambini – che non costituivano una minaccia immediata o che avrebbero potuto essere disarmati con mezzi non letali, soprattutto durante gli scontri.

In almeno tre casi del 2016, le autorità israeliane hanno ammesso di aver ucciso Palestinesi “per errore”, confermando che i militari avevano usato eccessiva forza contro Palestinesi che non presentavano nessuna minaccia immediata per le forze israeliane al momento della loro uccisione. In due di questi casi, le vittime erano ragazzi di 15 anni.

Il governo israeliano ha trattenuto i corpi di alcuni palestinesi che erano stati uccisi durante l’anno scorso, come parte di una politica in base alla quale le autorità israeliane hanno sostenuto che i funerali dei Palestinesi avevano fornito il terreno per “incitamenti” contro lo stato israeliano.

Le autorità israeliane hanno trattenuto i corpi di almeno nove Palestinesi per periodi che vanno dai tre agli otto mesi.

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Quando le autorità israeliane hanno deciso di rendere i corpi e hanno permesso lo svolgimento dei funerali nei territori palestinesi occupati, le cerimonie sono state fortemente limitate da una lunga lista di condizioni restrittive imposte dalle autorità israeliane, compreso il numero limitato di partecipanti e il dispiegamento di militari israeliani lungo il corteo funebre.

Una dichiarazione congiunta pubblicata a marzo da Addameer e dal gruppo israeliano per i diritti delle minoranze Adalah ha condannato la pratica di Israele di trattenere i corpi definendola come “una grave violazione del diritto umanitario internazionale così come della legge internazionale sui diritti umani, comprese le violazioni sul diritto alla dignità, libertà di religione, e il diritto a praticare la propria cultura”.

La dichiarazione dice anche che sembra che “molti” dei Palestinesi i cui corpi sono trattenuti da Israele sono stati “giustiziati extragiudizialmente dalle forze israeliane durante presunti attacchi contro Israeliani, nonostante non rappresentassero nessun pericolo”.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi

© Agenzia stampa Infopal
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NB. L’articolo è stato ripreso dalle pagine di Infopal, le foto sono state aggiunte da Invictapalestina così come i link verso gli approfondimenti.