Un pogrom scuote un villaggio palestinese strangolato da insediamenti israeliani

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Uno dei palestinesi feriti nell’attacco dei coloni ad ovest di Ramallah, il 5 novembre 2016. (Foto: Iyad Hadad, B’Tselem)

11 Novembre  by Gideon Levy & Alex Levac

E ‘stato un pogrom. I sopravvissuti sono cinque contadini palestinesi socievoli che parlano  uno stentato ebraico e lavorano nell’edilizia in Israele con regolari permessi di ingresso.

Durante il week-end  coltivano ciò che resta delle loro terre, molte delle quali sono state saccheggiate a beneficio degli insediamenti che soffocano il loro villaggio, Janiya, alla periferia di Ramallah. Sono convinti di essere sopravvissuti per miracolo all’attacco di sabato scorso.

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“Pogrom” è in realtà l’unica parola che descrive ciò che hanno subito.

“Vi uccideremo!” gridavano gli assalitori brandendo coltelli seghettati, e sprangando gli uomini in testa e sui loro corpi con bastoni e tubi di ferro.

L’unico “crimine” dei palestinesi   che, quando i coloni sono piombati su di loro, erano nel bel mezzo della raccolta delle olive,  è  essere palestinesi e avere il coraggio di lavorare la loro terra. Il periodo della raccolta delle olive è  tradizionalmente la stagione per i pogrom in Cisgiordania,  questo è stato uno dei più violenti. Nessun funzionario israeliano ha condannato l’aggressione, nessuno si è sconvolto. Una vittima ha avuto bisogno di 20 punti sulla testa, un altro si ritrova con la spalla e un braccio rotto, un terzo è zoppicante, una quarta ha perso i  denti anteriori. Solo uno è riuscito a fuggire agli attaccanti, ma  anche lui zoppicante per le ferite alla gamba causate mentre fuggiva dal terreno roccioso.

Gli agricoltori  che nei giorni successivi erano ancora in stato di shock per l’esperienza,  sono stati evacuati dai compaesani; le olive sono rimaste sparse sul terreno. Ora hanno paura di tornare negli uliveti.

Questo fine settimana, si sono ripromessi di inviare i giovani di Janiya per insaccare ciò che è stato raccolto e completare la raccolta. Loro con i loro corpi e lo spirito a pezzi, dicono di essere incapaci di fare qualsiasi cosa.

Gli assalitori, circa una dozzina di coloni mascherati  sono inquadrati in un video ripreso da un residente locale, Ahmed al-Mazlim, che – a quanto pare scaricata l’emozione del loro atto – sono tornati   alle loro baracche,  sparse al di sotto dell’insediamento di Neria, noto anche come il Nord Talmon, tra Modi’in e Ramallah (vedere cartina).

Questo era il loro “oneg Shabbat”, il loro Shabbat di gioia: scendendo nella valle e aggredendo le persone intente a lavorare la  terra, innocenti e indifesi – forse anche con l’intenzione di uccidere. Un week-end tranquillo …

Nel video si vedono i coloni raggiungere lentamente le baracche del loro avamposto non autorizzato, situato sulla collina sotto Neria. Essi non hanno alcun fretta – dopo tutto, nessuno sta per catturarli. Infine si siedono sotto il portico di una delle capanne per dissetarsi con una borraccia.

Non ho mai visto prima  criminali lasciare la scena del crimine con tanta indifferenza. Forse erano esausti per le loro fatiche – bastonare arabi – stanchi ma felici.

Yotam Berger, il giornalista di Haaretz, il primo a pubblicare il video, ha visitato le capanne il giorno dopo il pogrom. Era chiaro per lui che anche se le strutture erano vuote quando è arrivato i coloni vivevano lì. Nessun arresto è stato fatto finora, e l’esperienza passata suggerisce che nessuno sarà fatto. La polizia sta indagando.

trad. Invictapalestina.org

Fonte: http://mondoweiss.net/2016/11/settlers-palestinians-harvesting/?utm_source=Mondoweiss+List

I gerosolimitani recitano la chiamata alla preghiera dai loro tetti

November 18, 2016 at 12:01 pm

Nel video si possono sentire chiaramente i residenti recitare la chiamata alla preghiera in segno di protesta contro la legge.

In risposta al piano del governo israeliano di proibire la chiamata alla preghiera in città, gli abitanti di Gerusalemme sono saliti sui tetti delle loro case e tutti insieme hanno recitato la chiamata alla preghiera.

Nel filmato che sta circolando sui social media i residenti possono essere sentiti chiaramente recitare la chiamata alla preghiera per protestare contro la legge che la vieta a Gerusalemme.

Le chiese di Nazareth hanno dimostrato la loro solidarietà trasmettendo la chiamata alla preghiera notturna come risposta ai tentativi di vietare quella trasmessa dalla moschea di Al-Aqsa.

Nelle ultime due settimane Israele sta lavorando per vietare la chiamata alla preghiera musulmana, l’Athan. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha appoggiato un disegno di legge per vietare la chiamata religiosa, dicendo: “Israele è uno stato che rispetta la libertà di culto per tutti i credenti e che si impegna a proteggere quanti sono disturbati dal rumore causato dagli altoparlanti.”

traduzione Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte: https://www.middleeastmonitor.com/20161118-jerusalemites-recite-call-to-prayer-from-their-rooftops/#.WC74UDa_qCU.facebook

Dakota Access pipeline e NO TAV in Val Susa.

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Inviato: Mar 16:20, Nov 17, 2016 | Aggiornamento: Ven 10:24, Nov 18, 2016

WASHINGTON, DC – Un comunicato stampa di Greenpeace Giovedì riferisce che la banca più grande della Norvegia, DNB, ha venduto le sue attività riferite al cantiere Dakota Access pipeline. E’ stato riferito che questa notizia è conseguente alla consegna di 120.000 firme raccolte da SumOfUs.org e consegnate a  DNB ,da Greenpeace Norvegia con la richiesta  alla banca e alle altre istituzioni finanziarie di ritirarsi dal progetto

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L’esercito israeliano imprigiona due nuovi obiettori di coscienza.

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Tamar Alon e Tamar Ze’evi sono fuori da Tel Hashomer la base di arruolamento dell’IDF dove si sono presentate per dichiarare il loro rifiuto di servire l’esercito, e dove sono state condannate al carcere, Tel Aviv, 16 novembre 2016. (Haggai Matar)

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Café café  dice ai suoi dipendenti di smettere di parlare in arabo sul luogo di lavoro

 

Jack Khoury – Nov 14, 2016 8:00 PM

Café Café sostiene che i clienti si sentono minacciati, ma i lavoratori arabi si rifiutano di smettere di parlare nella lingua madre.
Una catena di caffetterie israeliana ha vietato ai lavoratori di una delle sue filiali di parlare in arabo dicendo che i clienti lo sentono come una minaccia.

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