In Cisgiordania, i coloni segnano il loro territorio correndo la maratona della Bibbia

FOTO – La colonia israeliana Shilo il 2 ottobre, vicino al luogo dove prossimamente saranno costruite 98 nuove case. Foto Ahmad Charabli. AFP
 
Chloé Rouveyrolles, à Shilo — 21 octobre 2016 à 17:26

A Shilo, colonia illegale situata a nord di Gerusalemme, 2.000 israeliani hanno partecipato alla seconda edizione di una maratona per rivendicare il possesso delle terre.

“Sono venuta a correre perché, oggi più che mai, dobbiamo dimostrare che questa è la nostra terra, per combattere contro la pressione internazionale”, annuncia con orgoglio Yael Snil residente di Psagot, una colonia a nord di Gerusalemme, venuta per partecipare alla seconda edizione della maratona della Bibbia, in Cisgiordania. Gli organizzatori dell’evento dicono che 2.000 persone hanno partecipato alla corsa – un po’ meno rispetto al 2015 – in gran parte israeliani e, tra loro, molti dei 400.000 abitanti degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, ritenuti illegali dalla comunità internazionale.

I coloni sono disinvolti. Civili armati vagano sulla terra color ocra – da un anno il porto d’armi è più facile da ottenere, dopo una serie di attacchi con coltello e di violenza. Da allora, gli scontri tra palestinesi e israeliani restano frequenti. Ma qui l’atmosfera è gioiosa: battaglioni di passeggini scivolano attraverso atelier per bambini e bancarelle che reclamizzano i vini prodotti dalle colonie. “E’ vero, è divertente, ma siamo qui anche per inviare un messaggio,” sintetizza Yael. Come molti altri coloni-maratoneti, è delusa dal suo governo. “Devono essere più forti e sostenerci.” Per lei, le colline su cui ha corso questa mattina “appartengono per l’eternità al popolo ebraico.” Non capisce la critica alla presenza israeliana in Cisgiordania.

“Io non ho paura”

Nelle ultime settimane, diversi eventi hanno preoccupato i coloni. Mercoledì, i palestinesi hanno chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di “assumersi le proprie responsabilità” e di costringere Israele a porre fine alla colonizzazione. I precedenti tentativi si erano scontrati con il veto degli Stati Uniti. La sera stessa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu espresse la preoccupazione che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, potesse avvalersi delle ultime settimane del suo mandato per sostenere iniziative contro gli interessi israeliani, come potrebbe essere una risoluzione di condanna degli insediamenti.

I coloni si sono mobilitati anche per difendere la loro causa, in particolare quella di Amona, dove vivono circa 300 israeliani. La Corte Suprema israeliana ha stabilito che questa colonia sperduta, illegale secondo il diritto internazionale e israeliano, debba essere distrutta prima della fine dell’anno, dato che è stata costruita su terreni privati palestinesi. “Io non ho paura. Chi ha collegato Amona alla corrente elettrica, all’acqua, alla rete viaria? È lo stato! Anche se è un investimento che può sembrare complicato per lo stato israeliano, gli insediamenti sono la scelta migliore da fare”, ritiene Israël Ganz, capo aggiunto del Consiglio regionale di Binyamin (insieme di colonie nella Cisgiordania centrale). Indica le centinaia di uomini, polizia e esercito, che forniscono la sicurezza alla maratona per dimostrare il legame esistente tra le autorità e i coloni.

“Noi siamo uniti “

Il traguardo della maratona si trova ai piedi dell’insediamento di Shilo. Recentemente, le autorità israeliane hanno approvato la costruzione di 98 nuove abitazioni al suo confine. Una decisione condannata (tra gli altri) dalla Francia. Ma per Lorraine Skupsky, la piccola città di 3.400 abitanti evoca qualcosa di diverso. Termina con un po’ di fiatone la maratona, questa sessantenne di origine americana che vive a Gerusalemme da dieci anni, ma si sente legata alla colonia perché “Shilo è stata una capitale del regno di Israele.”

Residente della colonia, Elisheva Poodiack tempera la portata politica della maratona. Venuta per incoraggiare il marito, la figlia e il figlio che partecipano alla corsa, ha trovato l’evento molto toccante: “Prima della gara, hanno parlato della vita degli ebrei di tremila anni fa su queste colline. Hanno raccontato la storia dell’uomo di Benjamin che ha corso fino a Shilo come i maratoneti di oggi: mi sono venute le lacrime agli occhi perché questo dimostra che siamo uniti, tutti, intorno a questa terra, ieri e come oggi”, conclude.

Trad. Simonetta Lambertini-invictapalestina.org

Fonte: http://www.liberation.fr/planete/2016/10/21/en-cisjordanie-les-colons-marquent-leur-territoire-en-courant-le-marathon-de-la-bible_1523448

Tutti gli Israeliani hanno il diritto e il dovere di far sentire la propria voce – anche dinanzi alle Nazioni Unite 

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direttore B’Tselem Hagai El-Ad affronta il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,  14 ottobre 2016. foto Chelsea Berlino

L’occupazione non è una questione interna israeliana e i diritti umani sono sempre una questione che riguarda l’intera comunità internazionale. 
Michael Sfard (*), 24 ott 2016 20:18

Molto tempo fa, quando ero uno studente di liceo a Gerusalemme, ho avuto un insegnante di educazione civica che spiegò alla mia classe qualcosa di sorprendente. Lo Stato è un mezzo, disse, e gli esseri umani sono sempre il fine. L’organizzazione sociale è destinata a servire le persone e solo le persone e, di conseguenza, non esiste una cosa come “il bene dello Stato” distinto dal benessere dei suoi cittadini.

Questo è successo moltissimi anni fa, quando il ministro dell’Istruzione era Zevulon Hammer, leader del Partito nazionale religioso, di estrema sinistra secondo gli attuali termini di paragone , ed era ancora possibile esprimere le proprie idee ad alta voce senza mettere l’insegnante sul quella Via del Dolore che , circa tre anni addietro, l’insegnante di educazione civica Adam Verete si trovò a dover percorrere per aver espresso in classe idee di sinistra. 

E questo accadeva anche prima che la nazione che ha ispirato i valori fondanti della cultura occidentale proibisse i suddetti valori all’interno dei suoi confini nazionali e prima che i discepoli di Rabbi Zvi Yehuda Kook ottenessero il monopolio della “coscienza ebraica.”

A causa di questo insegnate e dei miei genitori, che erano d’accordo con lui, mi sono ritrovato danneggiato- un bambino innocente corrotto dalla convinzione che per rispetto dello Stato non si intende il rispetto di un’entità metafisica, organica con valori intrinsechi, ma piuttosto il rispetto dei diritti umani di tutti coloro che sono sotto il suo controllo. 

E dalla convinzione che uno Stato non ha il diritto di esistere se non aspira e se non si sforza di creare le condizioni per promuovere la felicità e lo sviluppo personale di tutti i suoi cittadini e se non fa tutto il possibile per evitare di causare sofferenze agli esseri umani.

La lealtà politica ad un soggetto politico è solo ed esclusivamente la fedeltà verso i valori in nome dei quali questo Stato fu creato, e non la fedeltà alla sua esistenza nel mero nome della sua esistenza. 

Il dibattito sulla legittimità della recente presenza di Hagai El-Ad, direttore esecutivo dell’associazione B’Tselem al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui ha chiesto ai suoi membri di adottare misure che favoriscano la fine all’occupazione, è nato più che altro dall’ isteria politica del governo di Israele – che sente le fiamme della repulsione internazionale verso la sua politica di insediamento sempre più vicine alle sue parti basse. 

Tuttavia, se lasciamo il beneficio del dubbio ad alcune delle critiche di El-Ad e supponiamo che il fulcro della critica sia una divergenza di valori e un disaccordo per principio con l’idea che un Israeliano abbia il diritto di criticare il suo paese e possa richiedere contromisure in un forum internazionale, allora questa posizione si basa su una totale mancanza di comprensione del concetto di contratto sociale.

Per ragioni di completezza di informazione, vorrei aggiungere che nel maggio scorso, anch’io ho presenziato ad un Consiglio di Sicurezza, per conto dell’organizzazione non governativa Yesh Din – Volontari per i diritti umani, di cui io sono consulente legale. 

Anch’io, ho invitato i membri del Consiglio di Sicurezza ad adottare misure che avrebbero spinto Israele a porre fine alla violazione del diritto internazionale e alla sua politica di insediamento.
Da 50 anni a questa parte, lo Stato di Israele opprime pesantemente milioni di persone. Centinaia di migliaia di persone sono nate e vivono tutta la loro vita senza quei diritti che li metterebbero nelle condizioni per influenzare il loro destino e il loro futuro. E centinaia di migliaia di persone sono morte senza nemmeno aver mai assaporato la libertà politica.

Come ha detto El-Ad, nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza “I Palestinesi respirano occupazione ad ogni respiro” A questo, vorrei aggiungere: ad ogni respiro, la concentrazione di ossigeno diminuisce, rubato da insediamenti e da coloni, e per i Palestinesi aumenta l’asfissia.

Tuttavia, il fatto che ci troviamo dinanzi a un’imponente violazione di diritti umani non è sufficiente per accusare lo Stato. A volte, tali violazioni sono un’esigenza dettata dalla realtà, un male necessario.

Nella più giustificata delle guerre di difesa, persone innocenti possono soffrire. Il duro risultato ottenuto dalla sola prospettiva dei diritti umani non è una pistola fumante sufficientemente indicativa della colpevolezza dello Stato. Una questione chiave è fino a che punto uno sia costretto o scelga liberamente queste politiche dolorose. 

E’ difficile trovare un esempio più incriminante della politica dei governi di Israele con l’apice raggiunto dal suo attuale governo retto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, per quanto riguarda l’occupazione e gli insediamenti.

Cinquanta anni di colonizzazione che priva i civili occupati della loro proprietà sia privata che collettiva, col perpetuarsi legalizzato della segregazione e discriminazione tra le persone secondo la loro origine nazionale, di rifiuto costante e clamoroso della pace, di radicalizzazione dell’occupazione per generazioni – e tutto questo dall’alto di una posizione di potere e per scelta, in violazione del diritto internazionale. 

Che cosa dovrebbe fare un attivista per i diritti umani che conosce così bene l’occupazione? Un attivista onesto rimanda la risposta al popolo, per convincere l’opinione pubblica israeliana a porre fine a tutto questo. E fino a quando non si riuscirà a fare questo, non potrà sedersi in silenzio e accettare le decisioni della maggioranza. 

Tuttavia, questa risposta è in linea con una visione meramente procedurale della democrazia e ignora l’obbligo che la maggioranza ha di promuovere i valori per i quali esiste lo Stato. Uno stato che ruba – uno stato ladro che impone un regime di apartheid in una minoranza nazionale senza diritti – non può rivendicare la legittimità derivata dalla scelta della maggioranza, né può aspettarsi che gli attivisti per i diritti umani possano accettare la sua decisione.

Inoltre, quando l’attivista si dirige verso l’opinione pubblica israeliana, si ignora il fatto che l’occupazione non è una questione interna israeliana. E anche se lo fosse, i diritti umani sono sempre una questione per l’intera comunità internazionale. Attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo, e anche da Israele, dovrebbero dedicarsi alla promozione e tutela dei diritti umani, manifestando in tal modo la loro fedeltà alla cornice politica a cui aderiscono. E, considerando che ovunque lo stato agisce intenzionalmente per infliggere gravi danni ai diritti di coloro che sono sotto il suo controllo, rivolgersi al mondo intero tramite gli strumenti legali disponibili non è solo legittimo, ma anche un obbligo.

La scorsa settimana, avvocati per i diritti umani membri del Centro statunitense per i diritti costituzionali – una nota organizzazione per i diritti umani – hanno presentato una perizia a un tribunale francese per supportare la convocazione dell’ex consigliere legale del Dipartimento della Difesa statunitense, William J. Haynes , in modo tale che egli possa essere interrogato sul suo presunto coinvolgimento nell’ uso di tecniche di tortura a Guantanamo. La creazione nel sistema giuridico statunitense della fattispecie giuridica dell’ immunità per coloro che si sono macchiati di crimini di tortura ha obbligato gli attivisti per i diritti umani a uscire dai confini nazionali. 

Quindi, non aspettatevi che gli attivisti israeliani per i diritti umani celebrino con voi l’anniversario dell’occupazione, in silenzio e con capo chino. L’occupazione non è legittima; la politica del governo israeliano non è legale e non è morale. Ḗ mossa piuttosto da un’avidità ideologica che ignora l’enorme sofferenza che infligge a milioni di esseri umani che sono asfissiati dal suo peso ogni giorno della loro esistenza. Nessuna maggioranza ha il diritto di imporre una pena di oppressione come questa su una minoranza, e in particolare su una minoranza che non partecipa affatto al processo decisionale inerente il suo futuro. E nessun attivista per i diritti umani ha il diritto di rinunciare a qualsiasi strumento non violento, nazionale o internazionale, per combattere un’occupazione così lunga e crudele. Fino a quando essa non si frantumerà in mille pezzi.

(*) Lo scrittore è un avvocato che rappresenta le organizzazioni e gli attivisti per i diritti umani . 



trad. Rossella Tisci – Invictapalestina.org
Fonte: http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.748997?v=C86774A000B90FFFE7025896D32E5E95

Israele: appello per revocare la cittadinanza al responsabile di una ONG che si oppone alla colonizzazione

Il capo della coalizione parlamentare del governo israeliano di destra cerca di far revocare la cittadinanza del direttore di una ONG israeliana di difesa dei diritti umani, che alle Nazioni Unite ha espresso la sua opposizione alle colonie.

Il deputato David Bitan, membro del Likud, partito del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, venerdì ha dichiatao sul secondo canale della televisione israeliana di “stare esaminando la possibilità legale” di revocare la cittadinanza israeliana di Hagai El-Ad, direttore dell’ONG B’Tselem. Secondo gli analisti, l’iniziativa di David Bitan non ha che ben poche probabilità di concretizzarsi in quanto la legge non consente di revocare la cittadinanza se non in casi comprovati di “terrorismo, tradimento o spionaggio”.

Hagai El-Ad, lo scorso fine settimana, aveva partecipato ad una riunione sulle colonie del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Aveva denunciato 49 anni di una “ingiustizia, vale a dire l’occupazione della Palestina e il controllo israeliano sulle vite palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.”

“Vi imploro di agire ora”, è stato il suo appello lanciato all’assemblea.

In un messaggio su Facebook, Netanyahu aveva giudicato l’appello del signor El-Ad “un’azione contro Israele”, accusando B’Tselem di cercare di ottenere, tramite la “pressione internazionale”, ciò che “non è riuscito a ottenere attraverso elezioni democratiche in Israele”. David Bitan ha aggiunto che l’appello del signor El-Ad “costituisce una palese violazione della fiducia di un cittadino israeliano contro lo Stato e quindi dovrebbe trovarsi un’altra nazionalità”.

B’Tselem “non si lascerà intimidire”, ha ribattuto su Twitter Hagai El-Ad.

“Da quasi 50 anni i palestinesi non hanno cittadinanza o diritti. Oggi, il leader della coalizione di Netanyahu vuole revocare la mia cittadinanza perché ho parlato contro l’occupazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite “, ha scritto.

Zehava Galon, capofila del partito di sinistra Meretz, che si oppone alla colonizzazione, ha dichiarato su Twitter che, anche se David Bitan cerca soprattutto di “ottenere vantaggi politici a spese di B’Tselem,” i suoi commenti sono “molto pericolosi”

Trad. Simonetta Lambertini-Invictapalestina.org

Fonte:http://www.lorientlejour.com/article/1014187/israel-appel-a-revoquer-la-citoyennete-du-chef-dune-ong-oppose-a-la-colonisation.html

Per la prima volta in 12 anni l’Argentina non sostiene la Palestina all’Unesco

Il governo argentino si è astenuto nel voto a favore della Palestina nei progetti promossi dalle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco). I progetti di risoluzione dei conflitti intitolati “Palestina occupata”, avevano ricevuto il sostegno dell’ex presidente Nestor Kirchner, e dell’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner.

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En Internacionales Post 24 Octubre 2016

L’Argentina ha deciso di non appoggiare la Palestina utilizzando la modalità della “neutralità attiva”, come sostiene sul piano della discussione Rodolfo Terragno che ricopre la carica di ambasciatore all’Unesco da febbraio, quando fu ufficializzato dal governo di Mauricio Macri. Per La Nacion e Clarin, Terragno ha motivato l’astensione con il fatto che questa “non era per favorire Israele” e ha parlato del conflitto che lo “oppone” alla Palestina, come se il genocidio portato avanti da Israele contro il popolo palestinese fosse una guerra o un conflitto tra pari. Israele ha il miglior esercito del Medio Oriente ed è tra i dieci paesi nel mondo con il maggior numero di infrastrutture militari, oltre al supporto delle agenzie di intelligence più attrezzate. La Palestina non risulta in nessuna classifica di questo tipo.

Pochi giorni fa l’Unesco ha approvato il testo sulla “Palestina occupata”, dei 58 paesi che compongono il comitato esecutivo 24 hanno finito per votare a favore, 8 hanno votato contro e  altri 25 si sono astenuti insieme all’Argentina. Per cercare di giustificare la decisione presa dal governo nazionale, domenica scorsa, Terragno ha scritto un commento in una rubrica del Clarin dal titolo “La dottrina della neutralità attiva”.

Per Terragno, “le minacce alla pace mondiale sono oggi molto diverse da quelle che ci sono state dalla fine della seconda guerra mondiale fino al crollo dell’Unione Sovietica,” notando che “in quel periodo era quasi impossibile essere neutrali” e “risolta quell’agguerrita concorrenza a favore del capitalismo, oggi non c’è una minaccia universale alla pace.” Nel segnalare l’esistenza di conflitti nevralgici, Terragno osserva che la maggior parte degli Stati membri in seno all’ONU non è colpita da tali situazioni belliche e per questo motivo non dovrebbe prendere una posizione specifica, ma  cercare di “costruire ponti”. Anche in questo caso si pone il genocidio da parte di Israele contro la Palestina come una questione tra pari e non si tiene conto della potenza esercitata da Israele quanto ad armamenti, sostegno straniero (gli Stati Uniti come principale alleato) e occupazione della terra illegale.

Secondo i dati della ONG B’Tselem, confermati dall’ONU, tra il 1987 e il 2008 (quando Israele effettuò l’operazione “Piombo fuso”) sono stati uccisi 1.446 bambini palestinesi da attacchi sferrati dall’esercito israeliano. Le morti sono divise in periodi che vanno dal 1987 al 2000, quando furono uccisi 1.559 palestinesi (304 bambini); dal 2000 al 2004 quando furono uccisi 3.196 palestinesi (inclusi 620 bambini); dal 2005 al 2008 in cui si registrarono 1.290 palestinesi uccisi contro gli 86 israeliani sono morti nello stesso periodo.

Oltre a questo, Israele da anni mantiene un blocco contro la Palestina che si traduce in un’azione costante per impedire qualsiasi trasporto che potrebbe tentare di passare i confini. Israele limita – secondo un rapporto di Amnesty International – l’importazione di materiali da costruzione, il che impedisce ai palestinesi di ricostruire le proprie case danneggiate dalle bombe, oltre ad altri elementi base per la sussistenza dei palestinesi.

Da parte di coloro che definiscono il conflitto come una “guerra”, si è soliti fare riferimento ai gruppi armati palestinesi per giustificare gli attacchi israeliani con il motivo della “difesa” e della “sicurezza”. Tuttavia, una grande percentuale dei palestinesi uccisi dall’esercito israeliano sono civili, soprattutto bambini e donne.

Il discorso di Terragno sulla neutralità esercitata dal governo nazionale è poco chiaro, considerata l’alleanza chiara e visibile con Israele della nuova amministrazione, a cominciare dal dialogo costante tra i governi, dall’acquisto di armi da Israele e dall’intervento della agenzia di sicurezza israeliana in Argentina per addestrare le forze di sicurezza.

Tale proposta di “neutralità attiva” non è granché chiara considerato che poi, in alcuni casi, si rilasciano dichiarazioni esplicite come ad esempio quelle fatte contro il Venezuela, o a favore di un presidente illegittimo come Michel Temer in Brasile, oppure quando si sorvola sulle violazioni dei diritti umani in Messico dopo che Macri ha detto di “non essere a conoscenza” di quello che è successo nel paese governato da Enrique Peña Nieto.

 

Trad. Simonetta Lambertini

Fonte: http://www.agenciapacourondo.com.ar/secciones/internacionales/21023-por-primera-vez-en-12-anos-argentina-no-apoyo-a-palestina-en-la-unesco

 

L’altro Bob Dylan

Il silenzio e il sostegno di Dylan per l’oppressore Israele si fa beffe della sua statura di “arrabbiato umanitario”.

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 Bob Dylan nella East Room della Casa Bianca [EPA]
22 ottobre 2016, Ali Saad

Ali Saad è un sociologo e critico francese dei media, che pone una particolare attenzione all’influenza dei mass media sulla società.
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