Coltelli, bottiglie e cacciaviti contro la ferocia dell’occupante.

Una riflessione di Gianni Lixi

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immagine di Abu Ayyash.

Domanda: In modo del tutto prevedibile i media censurano le parole tipo colonialismo, occupazione, apartheid, per allarmare sulle nuove forme di “violenza” da parte dei palestinesi. In che modo possiamo fare controinformazione?

Purtroppo alcune volte siamo   costretti  nostro  malgrado a leggere non solo siti sionisti ma soprattutto normalissimi giornali non di destra (chiamarli di sinistra non ce la faccio proprio). Il problema palestinese in questi giornali è, come sapete, affrontato con i consueti paradigmi della propaganda israeliana: antisemitismo, sicurezza, palestinese uguale arabo terrorista ecc.

La gente al di fuori delle “poche” (rispetto al totale)  persone che ci seguono, viene formata da questo tipo di informazione e noi non possiamo non tenerne conto. Per queste persone quindi paradossalmente è più accettato uno scontro di guerra: carro armato contro carro armato, Buldozer contro buldozer, missile contro missile, che non carro armato contro pietre, mitra contro coltello ecc.

L’accoltellamento e’ più visto come un atto terroristico  rispetto al bombardamento di un palazzo o di un’auto.  Passa quindi il messaggio che praticamente tutti  gli atti di resistenza palestinese sono atti terroristici che giustificano le misure di “sicurezza”  che prende israele (minuscolo).

Ora se noi provassimo a scardinare questo assioma creato ad arte, probabilmente riusciamo ad incidere di più sul messaggio finale che arriva alle persone.  Lo sappiamo benissimo tutti che si tratta di un’aggressione e non di una guerra ma questo non aiuta.

Il motivo per cui io l’ho chiamata guerra è proprio per cercare di non cadere nella trappola della propaganda israeliana.

Quello che sta in effetti succedendo e che c’è un popolo che sta resistendo (malamente aimè) all’occupante e lo fa con i mezzi che ha. Grazie a noi europei e soprattutto agli accordi di Oslo  non ha un esercito (a parte le brigate Al-Aqsa a Gaza), non ha armi, non ha  ormai più nessuna rappresentanza politica e si affida per la sua lotta di liberazione a coraggiosi ed esasperati, il più delle volte  ragazzini, che mettono a repentaglio la loro vita per compiere le uniche operazioni “militari” possibili.

Se noi stessi continuiamo a chiamarle “azioni isolate di disperati esasperati” diamo la stura, al popolo indottrinato dai nostri settimanali e siti di regime, di poterli chiamare atti terroristici e non riusciremo mai a scardinare il paradigma vizioso:  terrorismo-sicurezza .

Per me sono loro l’esercito, e non lo dico in maniera fanatica. Lo dico perché in questo momento non c’è nessun’altro che stia combattendo per riportare l’attenzione sulla Palestina. Quelli sono militari non terroristi. E se per poter dire che sono militari devo dire che è una guerra e non un’aggressione dico che è una guerra e chissenefrega.

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Tra l’altro in questa maniera l’opinione pubblica internazionale  può capire meglio il paradosso delle forze in campo tra i due “eserciti”. Da una parte un esercito con  buldozer, carri armati, razzi, aerei, sottomarini, bomba atomica ed un numero immenso di militari ed ora anche riservisti, dall’altra un “esercito” di ragazzini con pietre , coltelli, cacciaviti, bottiglie di vetro ed al massimo automobili.  Non voglio “forzare” il pensiero di  Ilan Pappe ma mi sembra che il cambiamento di lessico di cui lui parla possa passare anche da qui.

Gianni Lixi è un attivista dell’Associazione Sardegna Palestina  in collaborazione con invictapalestina.

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