Vauro Senesi non ha mai fatto mistero delle sue idee esplicitandole in ogni occasione con le sue vignette, i suoi racconti e le azioni dirette. Sempre schierato col popolo palestinese, da ricordare la sua partecipazione alla flotilla per Gaza del luglio 2011 e i numerosi report dei suoi viaggi in Palestina.
Erri de Luca nel 2006 con la pubblicazione di un suo articolo in risposta ad una vignetta di Enzo Apicella su Liberazione, manifesta pubblicamente, forse per la prima volta, la sua ideologia sionista a sostegno di israele. Da allora non sembra ci siano stati ripensamenti o rettifiche del suo articolo che lo scrittore israeliano Itzhak Laor qualche giorno dopo così commentò: Se si traducesse l’articolo uscito martedì scorso sul manifesto di Erri De Luca in ebraico e lo si facesse leggere a qualunque israeliano, questi lo identificherebbe senza dubbio come un testo tipico di un membro del Likud. Al di là della discussione ipocrita sulla parola «fame», bisognerebbe ricordare che Israele cerca di affamare i palestinesi nel tipico modo che Giorgio Agamben ha descritto nel suo «Homo Sacer», facendo appello all’«aiuto umanitario» subito dopo aver distrutto tutto.
In un articolo pubblicato da Contropiano Federico Rucco chiede: Erri perchè l’hai fatto? Il giornalista si riferisce a una intervista rilasciata per una pubblicazione ufficiale dei servizi segreti in cui Erri affermava:
“In Italia in passato si è parlato di Servizi segreti deviati che intralciavano indagini. Ne eravamo diventati diffidenti. Ora non è più così: i Servizi sono percepiti come un sistema di sicurezza che serve a difendere tutti, come dimostra la lotta al terrorismo internazionale. La raccolta di informazioni è vitale per un Paese” . Successivamente così definisce donne e uomini dell’intelligence:
“Sono una via di mezzo tra sentinelle ed esploratori. La loro opera migliore è la prevenzione. Perciò i migliori risultati restano invisibili, i successi sconosciuti”
Il giornalista su Contropiano, conclude: Che gli agenti dei servizi segreti italiani del XXI Secolo (non più dunque Sifar, non più Sid, non più Sismi e Sisde, ma adesso Aise e Aisi) siano una via di mezzo tra sentinelle ed esploratori, è un modo di edulcorare una funzione. Che è funzione dello Stato e dunque anche in uno Stato diverso sarebbe comunque necessario avere il miglior sistema di informazione e sicurezza. Ma lo Stato di cui stiamo parlando ed in cui stiamo vivendo è questo, non quello che vorremmo. La differenza in questo si fa sostanza. Erri perché lo hai fatto?
Il Racconto di ERRI de Luca – il manifesto, 16 maggio 2006
Le parole impronunciabili
Non cuocerai l’agnello nel latte di sua madre, è scritto nel libro sacro. Non trasformerai la madre della vittima in complice del macellaio di suo figlio. Accusare Israele di affamare la Palestina usando la scritta nazista del campo di sterminio di Auschwitz è cuocere l’agnello nel latte della madre. Non si può prendere la sigla del peggior crimine dell’umanità e rivoltarlo contro i discendenti delle vittime. Ma è stato fatto, per leggerezza o per insulto. Fame è una parola gigantesca, la riduzione al gradino più basso della dignità umana. La chiusura intermittente dei varchi di Eretz Israel non è fame. Dopo l’attentato di Tel Aviv sono rimasti serrati per ventiquattr’ore. Le migliaia di operai palestinesi che non lavorano più in Israele non è fame. Un muro che separa, fa male ma non è fame. Le serre degli insediamenti ebraici smantellati a Gaza sono state distrutte dalla proprietà palestinese reintegrata nei suoi territori. Non è mossa di fame. La legittima elezione di Hamas al governo della Palestina ha delle conseguenze internazionali come il taglio dei fondi di paesi esteri ma non è assedio, non è Sarajevo. La fame annunciata dalla vignetta su ‟Liberazione” di qualche giorno fa niente ha a che vedere con ‟Arbeit macht frei” all’ingresso di Auschwitz. Da lì passarono i condannati allo sterminio. Il copyright su quella scritta appartiene ai nazisti. Nessuno può staccarlo dal luogo capitale dell’infamia e appiccicarlo per polemica sull’uscio di qualcuno, tanto meno l’uscio di Israele. È triste quando l’intelligenza e la compassione di persone vicine si inceppano e procurano un torto anziché un sollievo. Quel luogo è un nervo scoperto della storia da migliaia di anni. Tre monoteismi, tre fedi esclusive hanno i loro santuari gomito a gomito. È un punto della geografia da trattare con la cautela dell’artificiere che manovra per disinnescare la carica, non per accenderla.
Erri De Luca durante un incontro pubblico a Frascati il 27 novembre 2013 rifiuta di rispondere a domande sulla sua posizione sulla Palestina e Israele – Erri può ritornare in israele quando vuole, c’è già stato per molto tempo.
Un Racconto di Vauro
Ci sono luoghi della memoria e luoghi del cuore. Per me Gaza è ambedue. Nella memoria la polvere. Nel cuore visi di bambini, tanti bambini, di donne e di uomini. È attraverso la polvere sottile e acre che la rivedo nel pensiero oggi che la so devastata. Di nuovo ferita dal fuoco e dalle bombe. Attraverso la polvere mi apparve quando vi giunsi per la prima volta tanti anni fa, nel 1988, agli inizi della Prima Intifada. La “rivolta delle pietre” come la chiamarono. La polvere alzata dal vento del mare si infiltrava ovunque.
Lungo le strade dissestate, tra i cardini di ferro arrugginito delle botteghe chiuse per uno sciopero eterno contro l’occupazione israeliana. Nei labirinti infiniti tra le baracche degli immensi campi-profughi. Il mare non si vedeva. Celato dietro alle fitte costruzioni. Né se ne sentiva il profumo. Ché quello che impregnava l’aria era l’odore del fumo di copertoni bruciati per protesta, l’odore dei gas sparati dai soldati israeliani, la puzza dei mucchi di immondizia abbandonati in strada a imputridirsi al sole. L’odore della miseria insomma. Aliene torrette su alte zampe d’acciaio sorgevano agli incroci delle vie principali. Troneggiavano come astronavi atterrate da un pianeta ostile e lontano. Da quelle soldati israeliani, resi invisibili dai sacchetti di sabbia dai quali spuntavano minacciose solo le canne brunite delle mitragliatrici, sorvegliavano le strade deserte. Pareva che la città li negasse, negando la propria vita ai loro occhi.
Poi, imprevisti, improvvisi, sbucando a frotte dai vicoli e dagli angoli delle strade, stormi di ragazzini, bambini, irrompevano colmando delle loro grida e della loro vivacità il vuoto surreale dell’attimo prima.
ERANO LORO che lanciavano sassi contro le torrette o i blindati lontani. Eccitati dal gioco e dalla paura alzavano la mano con l’indice e il medio sollevati in segno di vittoria. Erano loro che ero venuto a cercare, affascinato da quella battaglia impari tra pietre e carri-armati. Non esistevano a quel tempo razzi Qassam né attentatori suicidi. Era facile per le nostre viziate e distratte coscienze occidentali parteggiare per loro. Era stato facile anche per la mia. Finché l’immagine era distante, appariva ammantata di eroismo esotico. La retorica del sasso contro l’acciaio ci faceva vibrare di emozione e commozione.
Adesso che ero lì provavo un’immensa vergogna per tutto questo. Erano solo bambini Cristo! Ai quali la brutalità dell’occupazione, le scuole e gli asili chiusi, il coprifuoco, l’umiliazione di una miseria indotta,non aveva lasciato altro gioco che quello macabro della guerra. Ai sassi la guerra rispondeva con l’acciaio, il piombo e il ferro. Il gioco era mortale.
ERANO OCCHI di bambino quelli che spalancati cercavano invano, per orgoglio infantile, di trattenere le lacrime. Un bambino di non più di 10 anni. Legato mani ai piedi. Incaprettato. Portato per la strada principale sul cofano della jeep dell’esercito israeliano. Esposto come un trofeo alla folla che popolava la via per fare i propri miseri acquisti in una delle brevi pause dello sciopero generale. “Spezzare le braccia all’Intifada”, aveva dichiarato il futuro Nobel per la Pace Rabin. Non era una metafora. I soldati avevano delle apposite mazze rafforzate da tondini di ferro. Erano braccia di bambini quelle che ho visto spezzare a bastonate.
“PER FAVORE portala fuori da qui”, mi disse nella penombra del chiuso della sua baracca la madre della piccola Buthaina. Mi mise in mano una foto della bambina (vedi foto inizio testo). Buthaina, aveva 4 anni quando era stata uccisa da un proiettile di gomma che le sfondò la tempia. L’ho portata fuori quella foto. Fuori dal carcere a cielo aperto che Gaza era ed è.
Mi capita di guardarla a volte. Fantastico sulla donna che oggi Buthaina sarebbe potuta essere. Ma poi la ripongo nel cassetto. Ché se fosse sopravvissuta a quel proiettile forse sarebbe morta bruciata dal fosforo bianco dell’operazione Piombo Fuso o in qualche altra “operazione dei difesa” con un nome diverso. O forse si sarebbe fatta esplodere uccidendo altri giovani come lei in un bus o in una discoteca in Israele. O forse sarebbe diventata una madre. Distrutta, come la sua, dalla perdita violenta di un figlio o di una figlia.
Altre volte sono tornato a Gaza. Le sue strade e i suoi vicoli sono ancora colmi di bambini. Sembrano non morire mai i bambini a Gaza. Dicono che i terroristi li usino come scudi umani. Ma in una striscia di costa assediata dove sono rinchiuse ed ammassate quasi 2 milioni di persone “scudo umano” non può non essere chiunque vi viva. Sembrano non morire mai i bambini di Gaza. E invece continuano a morire. Anche adesso mentre scrivo queste righe per “farli uscire” cercando di raccontarli.
Dalla missione della flotilla Vauro Senesi è sulla lista nera e non può entrare in Israele – Vauro – Il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2014
fonti: Articolo di Erri de Luca sulla vignetta – http://www.feltrinellieditore.it/news/2006/05/16/erri-de-luca-le-parole-impronunciabili-6674/
Caro Erri, la resistenza e la lotta per i propri diritti valgono ovunque. In Val Susa come in Palestina – http://contropiano.org/articoli/item/30528
Prefazione/intervista reclutamento agenti servizi segreti – http://contropiano.org/articoli/item/32340
Itzhak Laor risponde a Erri de Luca – http://www.forumpalestina.org/news/2006/Maggio06/20-05-06assordante_silenzio.htm
Il racconto di Vauro – http://www.inchiestaonline.it/osservatorio-palestina/vauro-i-bambini-di-gaza-tra-polvere-e-sangue/