Israele : Nell’agonia di un sogno razzista

Susan Abulhawa – 21 Ottobre 2015 

A Palestinian female protester uses a slingshot to throw stones towards Israeli security forces during clashes on October 15, 2015 in the West Bank city of Bethlehem. Israel has struggled to curb a spate of violence that has raised fears of a full-blown uprising, with more knife attacks shaking Jerusalem despite moves to set up checkpoints in Palestinian neighbourhoods and mobilise hundreds of soldiers. AFP PHOTO/ MUSA AL-SHAER
A Palestinian female protester uses a slingshot to throw stones towards Israeli security forces during clashes on October 15, 2015 in the West Bank city of Bethlehem. Israel has struggled to curb a spate of violence that has raised fears of a full-blown uprising, with more knife attacks shaking Jerusalem despite moves to set up checkpoints in Palestinian neighbourhoods and mobilise hundreds of soldiers. AFP PHOTO/ MUSA AL-SHAER

Nel 1845 il Luogotenente Colonnello George Gawler ha presentato un rapporto che illustrava la possibilità di una colonizzazione ebraica della Palestina. Gli ostacoli che prevedeva si riferivano alle risorse e alla fattibilità del convincere gli Ebrei ad immigrare in Palestina. Non si prendeva affatto in considerazione la popolazione indigena palestinese che viveva già lì da secoli.

Decenni dopo, nel decidere il destino della Palestina, al tempo sotto mandato britannico, Lord Balfour (Balfour declared) ha dichiarato: “Non proponiamo nemmeno di passare attraverso una forma di consultazione dei desideri degli attuali abitanti del paese”. Ma di fronte ad una rivolta palestinese i Britannici hanno fatto marcia indietro, comprendendo l’errore di ignorare la volontà e l’umanità della popolazione indigena. In seguito, quando i sionisti hanno realizzato la loro prima conquista della Palestina, espellendo più dell’80% della popolazione indigena, David Ben Gurion (nato polacco col nome di David Grunn) ha predetto trionfalmente che la popolazione indigena sarebbe sicuramente sparita. “I vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno”, ha detto (The old will die and the young will forget).

Anche lui si sbagliava, e molti decenni dopo, visto che questo fantasma sionista non si materializzava, Israele ha ipotizzato che la forza bruta e la completa colonizzazione del territorio avrebbero alla fine realizzato lo sradicamento della società indigena di Palestina. Il capo di stato maggiore dell’esercito Raphael Eitan l’ha espresso sinceramente quando ha detto: “Quando noi avremo colonizzato tutto il territorio, tutto ciò che gli Arabi (Palestinesi) riusciranno a fare a questo proposito sarà di svignarsela come scarafaggi drogati in una bottiglia” .

Nuovamente di fronte allo stesso errore, Israele ha semplicemente aumentato la sua brutalità. “Noi dobbiamo uccidere e uccidere e uccidere, per tutto il giorno, tutti i giorni”, ha spiegato un professore israeliano (Israeli professor) e una eminente legislatrice israeliana ha lanciato questo appello al genocidio (call to genocide), compresa l’uccisione delle madri palestinesi con i loro bambini, che ha definito “piccoli serpenti”. E ora, come un irritabile bambino viziato che non ha ottenuto ciò che voleva per l’accordo con l’Iran, Netanyahu ha riunito i suoi gangster, battendo i piedi sul sacro suolo per buttar giù la casa, un’epica crisi di rabbia contro il Presidente Obama, come a dire Guardate cosa sono ancora capace di fare.

La nuova escalation per sradicare la Palestina ora è far appello alla popolazione civile di Israele perché si armi lei stessa e si unisca ai suoi militari teppisti contro la nostra popolazione civile non armata.

Video ed informazioni di esecuzioni nei casi recenti, di aggressioni all’arma bianca e il gusto del sangue sparso di gruppi di autodifesa abbondano su internet.

E tuttavia.

Noi restiamo.

La nostra vecchia società, benché frammentata e brutalizzata, resta provocatrice, tenace, appassionata e irremovibile. Benché traumatizzati e senza leader, noi restiamo ribelli, coraggiosi e risoluti. Poco importa dove siamo, occupati o profughi o dispersi nel mondo – Gaza, la Cisgiordania, Gerusalemme, i campi profughi del Libano o di Siria, o Iraq, in esilio in una diaspora che raggiunge ogni angolo del mondo – noi continuiamo ad agire di concerto, legati da una ferita collettiva, una ferita che gli ebrei dovrebbero comprendere.

Come devono essere sorpresi. Come devono sentirsi proprio demoralizzati di avere una così gran forza militare e in qualche modo sentirsi deboli e piccoli contro le nostre pietre.

Come devi sentirti oppresso, Israele. Come dev’essere devastante fallire così miseramente l’obiettivo, anno dopo anno, decennio dopo decennio. Avere sempre intensificato tattiche di morte e crudeltà e non riuscire mai ad annientarci. Portar via migliaia di bambini che se la fanno addosso, e constatare che altre migliaia hanno preso il loro posto il giorno dopo, a lanciar pietre contro i vostri tank e i vostri fucili. Imprigionarli così giovani che piangono di paura, chiamano le loro madri, solo per crescere non fiaccati, continuando a sfidarvi e a combattervi. Demolire le case e intere città, solo per constatare che noi ricostruiamo e ci moltiplichiamo più in fretta di voi. Vederci danzare, studiare, sposarci e far figli nel mezzo del vostro assedio senza fine, la vostra occupazione e le vostre campagne di massacri. Vederci vivere, mentre avete dilaniato i nostri cuori con dolori e perdite. Bombardare e distruggere le nostre scuole, impedire a bambini e insegnanti di raggiungere le loro aule, e trovarvi ancora di fronte al nostro livello di istruzione che rivaleggia col vostro.

Come dovete sentirvi sbigottiti di non farci mai paura; è la profondità del nostro essere, siamo un popolo trionfante, e invece, siete voi che avete paura. Quanto disappunto si deve sentire a distruggere i nostri villaggi, a scavare a Silwan, sotto Al-Aqsa e Al Shakhara, decennio dopo decennio e sempre senza fornire le prove legali a sostegno della vostra narrazione, ed essere confrontati allo stesso tempo con una moltitudine di Palestinesi le cui dichiarazioni di origine sono presenti, evidenti, scritte, ben conosciute e non contestate. Come dovete sentirvi frustrati che quelli di noi che avete cacciato dalle loro case, che, voi pensavate, avrebbero dimenticato, continuano a scrivere, a creare, a manifestare e vi smascherano all’estero, raccogliendo sempre più sostegno per la campagna Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni, che spezza il fondo delle vostre menzogne. Come dev’essere deprimente spendere milioni di dollari per tormentarci all’estero allo scopo di farci tacere, unicamente per constatare che la nostra voce è amplificata.

Israele ha fatto e rifatto l’errore di ogni impresa coloniale prima di loro, perché il colonialismo arriva sempre con un senso di supremazia che non considera come umani i popoli indigeni. E’ perciò che Israele ci ha sempre sotto-stimati. Non comprendono e non apprezzano che noi possediamo la tendenza umana più impulsiva per la libertà, che la nostra tendenza istintiva sia fermamente per la dignità.

Io vedo il dilemma di Israele. Vedo la loro paura. Il dolore di un sogno razzista così vicino, ma mai compiuto. E posso comprendere che il modo in cui si dibattono ora – violento, orribile, follemente precario e assurdamente crudele – è l’agonia del sionismo.

 

fonte: http://www.middleeasteye.net/columns/seeing-other-israeli-side-803375093

trad: Maria Chiara Tropea

– Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese. Il suo ultimo romanzo The Blue Between Sky and Water(Bloomsbury, 2015), è stato tradotto finora in 21 lingue (in italiano: “Nel blu tra il cielo e il mare” – ed. Feltrinelli).

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