Voci fuori dal coro – 20 maggio 2016 – aggiornamento alle ore 15,16 di Giovedì 20 maggio.
Lo ricordiamo in questa divisa da miliziano croato durante la guerra fratricida della Jugoslavia negli anni 90 (tanto per ricordare, i nostri concittadini Lucchetta, Ota, D’angelo, inviati RAI furono uccisi a Mostar da una granata dei separatisti croati, quelli di cui il “gandhiano” Pannella vestiva orgogliosamente la divisa).
Come “gandhiani” i radicali negli ultimi anni hanno auspicato interventi militari in ogni dove.
Come difensori dei diritti civili, negli ultimi demenziali referendum che lanciavano (e poi per fortuna non tutti passavano) c’erano i prodromi di quella distruzione dello stato sociale che oggi Renzi ha messo in pratica (e forse non è un caso che Renzi sia uno di coloro che più piangono Pannella).
Ricordiamo il riciclaggio operato dal Partito radicale nei confronti di terroristi neofascisti come Mambro e Fioravanti, cui fu data la possibilità di lavoro esterno proprio grazie alle strutture del Partito radicale (Nessuno tocchi Caino) e forse per ringraziamento, se non per contiguità ideologia, Mambro è stata per anni dirigente radicale. Ma anche il pluriassassino fascista Pierluigi Concutelli ad un certo punto è stato riciclato nel Partito radicale.
Partito che tanto progressista e libertario si presenta, che non considera la necessità dell’antifascismo (ciò ci ricorda anche le posizioni più recenti dei seguaci di Grillo e Casaleggio), al punto da dire (parola di Pannella): “Almirante non è un rottame fascista. Il fascismo è qualcosa di maggiore e tremenda dignità”.
E potremmo continuare… per decenni i radicali si sono appropriati delle lotte per il divorzio e l’aborto (salvo votare contro la legge quando fu presentata in parlamento) che erano state condotte dai movimenti di base, dalle donne, dai compagni (i veri compagni, non i radicali i cui rapporti con i finanziamenti USA non sono stati mai chiariti.
Oggi è morto il maggiore leader di quel partito anticomunista ed antioperaio che ha ridicolizzato l’istituto estremo dello sciopero della fame (vi è chi lo ha portato fino alle estreme conseguenze, come l’irlandese Bobby Sands o il tedesco Holger Meins, che non sopravvissero, alla faccia delle brioches e del cappuccino con cui Pannella “digiunava”), e che ha riciclato fascisti e terroristi, che ha plaudito ad interventi armati dell’Occidente contro nazioni che volevano soltanto autodeterminarsi.
Non abbiamo pianto per Andreotti, né per Casaleggio. Non piangeremo neppure per Pannella, statene certi.
Fonte: La Nuova Alabarda
Marco Pannella (1930-2016)
“Con Marco Pannella scompare un grande amico di Israele e del mondo ebraico. Ma soprattutto un uomo straordinario, una persona la cui forza di volontà ha permesso di smuovere le montagne per condurre battaglie che si sono rivelate fondamentali per la crescita e il progresso democratico del paese intero. Grazie Marco, non sarai dimenticato”.
Così il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna in una nota.
fonte: http://moked.it/blog/2016/05/19/marco-pannella-1930-2016/
Per rinfrescare la memoria ci pensa Famiglia Cristiana.
(Agosto 2014)
fonte. http://www.famigliacristiana.it/articolo/marwan-barghouthi-il-mandela-palestinese.aspx
Redazione – Aldo Giannuli – giovedì 19 maggio 2016 23:25
Pannella è morto ed, ammonisce un vecchio adagio, dei defunti non si deve dir nulla se non bene, forse nel timore che i medesimi, offesi, vengano a tirarci i piedi di notte. Per cui la morte è il momento in cui ricordare solo i meriti (ed anche al di là della loro effettiva portata) dimenticando magnanimamente colpe ed errori.
Personalmente non ho mai creduto in questa ipocrisia funeraria, per la quale sono stati tutti uomini grandi ed incompresi dai loro contemporanei: la liturgia del “coccodrillo” mi ha sempre fatto un po’ schifo. Dico subito che, sul piano politico –e quindi storico- dò un giudizio prevalentemente negativo della sua opera e dell’eredità che lascia.
Il personaggio ha meriti e non piccoli, come le battaglia per il divorzio, per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, e più in generale per i diritti civili, per la legalizzazione della cannabis, la denuncia della degenerazione partitocratica ecc. di cui gli va dato atto lealmente. Ma ha avuto anche colpe somme come il sostegno all’ondata neo liberista, la banalizzazione della politica ridotta a celebrazione del leader (di cui fu il primo assertore) ed a virtuosismo comunicativo privo di reali contenuti, l’allineamento servile agli Usa, le disgustose giravolte fra centro sinistra e centro destra, sempre alla ricerca di spazi istituzionali, le ambiguità sul terreno della lotta alla mafia, dove spesso il garantismo sfociava in una sorta di para fiancheggiamento. Altra battaglia ambigua fu quella ecologista, che, se da un lato apriva la strada ad una più matura riflessione sul rapporto fra uomo ed ambiente naturale, dall’altro ebbe una infelice connotazione antindustrialista.
Pannella, ha espresso una visione della democrazia come competizione fra ristrette élites, sostenute da branchi di acritici attivisti, con un sostanziale rifiuto della dimensione strategica della politica, surrogata dalla totale delega all’estro momentaneo del leader (massima negazione del principio di democrazia, tanto diretta quanto rappresentativa) e dalla sua abilità nel manipolare le folle. Soprattutto, Pannella ha colpe imperdonabili sul piano dell’involuzione costituzionale del paese: a lui (ed a Occhetto e Segni) dobbiamo il colpo di Stato del 1993, quando la fine del sistema elettorale proporzionale ha aperto la strada allo sventramento della Costituzione e, paradossalmente alla definitiva deriva oligarchica del regime: il Parlamento dei nominati ha la sua premessa logica nella battaglia pannelliana per il maggioritario uninominale. E, con questo, è stato l’alfiere di un ceto politico senza qualità, l’élite senza merito.
Né si può tacere la sua grande disinvoltura sul tema della cd questione morale: fu un gran fustigatore dei costumi, durissimo accusatore delle greppie di regime, ma la sua battaglia contro i fondi neri dell’Eni, a metà anni sessanta ebbe come sbocco la costituzione della Radoil, titolare di due pompe di benzina generosamente concesse da Cefis e che a lungo provvidero alla sopravvivenza del Pr e sua personale.
Quale sia il giudizio che se ne voglia dare, Pannella ha attraversato gran parte del settantennio repubblicano, con una stagione di notevole fortuna fra gli ultimissimi anni sessanta ed i primi novanta. Un ventennio in cui esercitò un ruolo politico il cui peso fu sempre superiore alle magre percentuali elettorali che raccoglieva (e che mai raggiunsero il 4%, con l’eccezione unica ed effimera delle europee 1999). Molto di quel che è diventato questo paese oggi, nel bene, ma più ancora nella degenerazione e nella decadenza, è dovuto a Pannella: l’Italia è diventata, in parte per la sua opera, un paese più laico, più moderno, ma anche più cinico, più “americanizzato”, più oligarchico, meno industriale e più povero, diciamolo: più squallido,
Quanto alla sua eredità, quella di cui andare meno orgogliosi è stato il lascito di un ceto politico che ebbe nel Pr la sua culla originaria: i Rutelli, i Giachetti, i Della Vedova, gli Elio Vito, eccetera eccetera eccetera. Giudicate voi. Un esame storico puntuale e documentato richiederebbe molte pagine che qui ed ora non sono possibili. L’uomo è stato complesso e tanto celebrarlo con scontati encomi quanto liquidarlo con giudizi sprezzanti sarebbe fargli torto. Si impone un giudizio equilibrato che rimandiamo meno frettolosa occasione ed ambito più consono. Qui ci basta un giudizio breve e sintetico che vede le ombre prevalere sulle luci, ma che comunque indica in Pannella uno dei grandi protagonisti del settantennio repubblicano.