“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati” 

bifo

Bifo Scepsi  dalla sua pagina FB – 24 Giugno 2016 – agg. 0re 21.40 del 24 giugno

Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finazista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo.

great briitain leaves european union metaphor
United Kingdom exit from Europe

La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca).
Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.

Gran parte di quelle motivazioni sono comprensibili, tant’è vero che la maggior parte dei “leave” proviene dalle aree operaie mentre le forze del finanzismo davano per certa la vittoria alla faccia di chi in nome dei “valori europei” si fa derubare il salario.
Ma il problema non sta nelle motivazioni, il problema sta nelle conseguenze.
L’Unione europea non esiste più da tempo, almeno dal luglio del 2015, quando Syriza è stata umiliata e il popolo greco definitivamente sottomesso.
Ci occorre forse un’Europa più politica come dicono ritualmente le sinistre al servizio delle banche? Sono anni che crediamo nella favoletta dell’europa che deve diventare più politica e più democratica. Ci siamo caduti anche noi, mi spiace dirlo, ma non è mai stato vero. L’Unione europea è una trappola finanzista da Maastricht in poi.
Un articolo di Paolo Rumiz (Come i Balcani) uscito il 23 su La Repubblica dice una cosa che a me pareva chiara da tempo: il futuro d’Europa è la Yugoslavia del 1992. Rumiz lo dice bene, solo che dimentica il ruolo che la Deutsche Bank svolse nello spingere gli yugoslavi verso la guerra civile (e Wojtila fece la sua parte).
Ora credo che dobbiamo dirlo senza tanti giri di parole: il futuro d’Europa è la guerra. Il suo presente è già la guerra contro i migranti che già è costata decine di migliaia di morti e innumerevoli violenze.
Forse suona un po’ antico, ma per me resta vero che il capitalismo porta la guerra come la nube porta la tempesta.
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Cosa si fa in questi casi? Si ferma la guerra si impongono gli interessi della società contro quelli della finanza? Naturalmente sì, quando questo è possibile. Ma oggi fermare la guerra non è più possibile perché la guerra è già in corso anche se per il momento a morire sono centinaia di migliaia di migranti in un mediterraneo in cui l’acqua salata ha sostituito il ZyklonB.
I movimenti sono stati distrutti uno dopo l’altro. E allora?, allora si passa all’altra parte dell’adagio leniniano (segnalo per chi avesse qualche dubbio che non sono mai stato leninista e non intendo diventarlo).
Si trasforma la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria.
Cosa vuol dire? Non lo so, e nessuno può saperlo, oggi. Ma nei prossimi anni credo che dovremo ragionare solo su questo. Non su come salvare l’Unione europea, che il diavolo se la porti. Non su come salvare la democrazia che non è mai esistita. Ma su come trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Pacifica e senz’armi, se possibile. Guerra dei saperi autonomi contro il comando e la privatizzazione.
Ma insomma, non porto il lutto perché gli inglesi se ne vanno. Ho portato il lutto quando i greci sono stati costretti a rimanere a quelle condizioni (e adesso che ne sarà di loro?).
Cent’anni dopo l’Ottobre mi sembra che il nostro compito sia chiederci: cosa vuol dire Ottobre nell’epoca di internet, del lavoro cognitivo e precario?
Il precipizio che ci attende è il luogo in cui dobbiamo ragionare su questo.

 

Dalla pagina di Angelo d’Orsi

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L’Unione (non come si sente ripetere, “l’Europa”) ha perso il Regno Unito, sulla via della disunione a sua volta. Le borse perdono i miliardi guadagnati dopo l’assassinio di Jo Cox. Un altro “lunedì nero” si avvicina.

I titoli di Stato tedeschi salgono. Quelli bancari italiani fibrillano. Nella Direzione PD, dopo la disfatta del 19 giugno, un’altra notte dei lunghi coltelli è in corso.

Renzi più annuncia e promette e garantisce, più colleziona figuracce. Tutto come da copione. Intanto la protesta contro la “loi travail” (i francesi usano la loro bella lingua, a differenza di noi italiani), in Francia non molla a dispetto delle roboanti dichiarazioni bellicose delle sue ridicole autorità politiche. E della Grecia non si parla più; ma il massacro sociale ed economico del sua popolazione da parte della famigerata “Troika” prosegue indisturbato, nella indifferenza dell’UE che oggi piange i britannici divenuti extracomunitari.

Il “Grexit” non farebbe certo lo stesso clamore. Ma il valoroso popolo ellenico resiste e la musica è anche questo: un gesto di resistenza

 

Barbari di tutta Europa, uniamoci!

on 24 Giugno 2016.

 Gigi Roggero Articolo sulla Brexit

barbari

Brexit ed elezioni in Italia sono due cose sicuramente diverse con almeno un punto forte in comune: la maggioranza non esprime un voto per ma contro qualcosa e qualcuno. Quel qualcosa è la propria condizione di vita; quel qualcuno é Renzi o l’Unione Europea, ritenuti responsabili di tale condizione. È un’individuazione semplificata, per i colti analisti della politica è grossolana e rozza, tuttavia non è certo sbagliata. Quando si è sotto assedio e si fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, bisogna colpire il bersaglio grosso e più immediato. Il tempo per i dettagli e i distinguo verrà dopo.

Lo dimostra la composizione sociale del voto nel Regno Unito, come già quella in Italia: i centri urbani vogliono rimanere, periferie e territori colpiti dalla crisi andarsene. Tant’è che il quesito referendario potrebbe essere così riformulato: vuoi restare nella tua attuale condizione di vita o uscirne? Cosa volete che rispondano disoccupati, precari cronici, pensionati ridotti sul lastrico, ceti medi deprivati di ciò che avevano avuto fino a qualche tempo fa? Era già successo per l’Oxi in Grecia, quella fulminea scintilla che non incendiò la prateria: Tsipras e Syriza volutamente non ammisero che si trattava di un no contro il mostro Europa, e ciò mise fine alla storia politica della loro breve anomalia.

Ancora una volta, nella Brexit si rompe la dialettica tra destra e sinistra, che serve ormai solo all’autoriproduzione dei ceti politici e dei loro intellettuali più o meno organici. Nella crisi la divisione iniziale, istintiva, si crea tra chi vuole conservare lo status quo (magari, promettono i sinistri, per riformarlo o cambiarlo in futuro) e chi lo rifiuta. Da che parte stiamo noi? Questo è il punto. Chi si schiera dalla parte della conservazione dello status quo, fa una scelta di campo. Fa una scelta di classe. A poco serve appellarsi al pericolo fascista, anzi: se i fascisti hanno la scaltrezza di tentare di sguazzare in quella composizione sociale, la responsabilità è nostra, non della composizione sociale.

Purtroppo a sinistra e in quegli ambienti di movimento che del germe cancerogeno della sinistra non sono mai riusciti a liberarsi, la classe va bene finché “remain” un’astrazione disincarnata. Quando “leave” e fa di testa sua, i comportamenti che esprime vengono stigmatizzati e deprecati, si grida al provocatore e al fascista dietro l’angolo. In quest’ultima settimana ne abbiamo avuto l’ennesima riprova, con sinistri commenti e analisi di disprezzo per gli incolti e barbari sostenitori del M5s o della Brexit, contrapposti agli educati ragionamenti dei cittadini coscienziosi della City. Vi è in queste posizioni un vero e proprio razzismo sociale, che invece di puntare a processi di ricomposizione alimenta una spaccatura orizzontale all’interno della classe. Questo è il primo e vero pericolo reazionario che dobbiamo combattere.

Mutatis mutandis, si ritorna qui alla teleologia del marxismo ortodosso della Seconda Internazionale, quello per cui i popoli colonizzati dovevano accettare il proprio destino storico, o i briganti piegare la testa di fronte al Regno Sabaudo. Tra le fila degli europeisti a prescindere, che oggi si lagnano dell’idiotismo dei proletari inglesi, ve ne sono molti che si entusiasmavano quando gli storici militanti dei Subaltern Studies ci hanno spiegato come gli indiani che nell’800 si ribellavano alle truppe imperiali inglesi erano mossi dalle più diverse pulsioni, un misto di credenze e tradizioni unificate da un istinto comune, l’opposizione e il rifiuto dell’invasore. (E non parliamo della questione nazionale, spauracchio per i burocrati dell’internazionalismo ideologico, anche di quello esportato con le armi: ma siamo sicuri che tra lavoratori e precari che stanno lottando in Francia in questi mesi non vi sia anche l’ambiguo desiderio di non voler fare la fine di italiani e greci?) Oggi per queste stesse persone i soggetti colpiti dalla crisi dovrebbero rassegnarsi alla propria vita di merda, nell’interesse generale degli ideali di sinistra e della funzione progressiva dell’Europa. Ma, si sa, i barbari lontani nello spazio e nel tempo sono sempre più simpatici e innocui di quelli che prendono forma sotto casa, minacciando gli standard di vita di quei ceti che in fondo dall’Europa dipendono.

Se non un terremoto (gli effetti sono stati in anticipo enfatizzati per creare paura e indirizzare il voto), certo degli scossoni la Brexit li procura: Cameron costretto alle dimissioni, i laburisti in crisi, i mercati in fibrillazione, i media sgomenti, l’Europa a pezzi. Noi non sappiamo che direzione prenderanno questi scossoni, ma la cosa sicura è che solo qui dentro possiamo organizzare il terremoto. Chi oggi impaurito preferisce la quiete non sta dall’altra parte nella dialettica tra destra e sinistra, sta dall’altra parte nella dialettica di classe. Perché le rivoluzioni si sono sempre fatte con i barbari. Sarebe troppo auspicare che chi a parole vuole la trasformazione dello stato di cose presente si metta a studiare Lenin. Ma almeno qualche romanzo di Ballard in questi anni avrebbe potuto leggiucchiarlo…

 

nb. Tutte le immagini sono state selezionate da Invictapalestina.org

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