Sono nelle carceri militari israeliane perché non voglio collaborare con l’Occupazione.

Tair Kaminer Jun 23, 2016 3:16 PM

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Tair Kaminer Tomer credit:Applebaum

 

Le ragazze che incontro nelle prigioni militari non sono criminali. La maggior parte ha fatto cose banali e molte appartengono a gruppi svantaggiati, questo la dice lunga sulla nostra società.

Sono in carcere. Folle, eh? Perché il carcere, si sa, è per le persone che infrangono la legge, persone pericolose,  persone che hanno bisogno di essere punite e rimosse dalla società per un motivo particolare. Lo scopo perché sono in galera è perché lo Stato non rispetta la mia coscienza. Sono in carcere perché non sono disposta a collaborare al crimine conosciuto come “occupazione”.  E proprio per questo mi trovo in un posto che è destinato ai criminali. L’esercito israeliano in realtà non è così tollerante.

Uno dei momenti che mi piace in carcere è quando  entra in cella un nuovo recluso. Tutti noi ci  presentiamo, e improvvisamente si può vedere il suo senso di sollievo, il sorriso che emerge improvvisamente tra le lacrime dei suoi primi giorni di carcere. I primi giorni di carcere per tutti noi sono stati pieni di lacrime.
La maggior parte delle ragazze hanno davvero paura di essere imprigionate, per tanti  motivi. Uno di questi è l’ambiente carcerario. Ognuna è convinta che sta per entrare in un istituto per i criminali, poi scoprono che altre ragazze sono in carcere proprio come loro. La maggior parte stanno facendo AWOL, cioè, non si presentano al servizio militare nell’esercito. Perché?
Molte di loro  lo fanno per aiutare economicamente la famiglia, perché ci sono problemi a casa. Perché hanno fratelli più piccoli e genitori instabili, così hanno dovuto lavorare. Alcune non si sono trovate bene sotto le armi o non hanno ricevuto risposta a qualche richiesta di trasferimento. Altre non reggono la lontananza da casa,  alcune delle ragazze sono in questo carcere semplicemente perché non hanno retto alla pressione psicologica derivante da ogni tipo di difficoltà nel servizio militare.
Si scopre così che l’esercito israeliano  non è adatto a tutti.

Ci sono molte ragazze in carcere per essersi rifiutate di partecipare alle esercitazioni o perché non si sono presentate a un appello. Alcune finiscono in carcere per aver fatto autostop, per violazioni durante il servizio di guardia, o per impudenza, bere alcol o fraternizzare: I soldati non sono autorizzati a gesti affettivi  o stare nelle camerate del sesso opposto. Se c’è qualcosa che mi sta salvando in carcere è la sensazione che tutti noi condividiamo qualcosa: vale a dire, che le esercito ci ha fottuto.
Molte delle ragazze, non sono inserite nell’IDF e non finiranno il servizio militare. Erano state fregate da diversi sistemi statali e ora portano rabbia  verso il mondo. Le ragazze che incontro qui non sono Ashkenaziot di Tel Aviv. Altro che gli obiettori di coscienza come me, io, ragazza di Tel Aviv che ero negli scout di Israele e sono andata a una scuola d’arte, non ho  amici di famiglia  in gattabuia militare. La maggior parte delle ragazze qui arrivano da zone periferiche del paese. E’ anche chiaro che molte provengono da famiglie immigrate – russi o etiopi (credo circa il 20 o il 30 per cento delle detenute sono ragazze etiopi). In generale, sono abbastanza certa che la percentuale di alcuni gruppi etnici in carcere non è equivalente alla loro proporzione nell’esercito stesso. Proprio come nella vita civile e nelle prigioni normali, che sono strapiene di persone che lo stato ha l’abitudine di fregare.

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Che cosa ci dice questo circa la nostra società? E sul modo in cui l’esercito si relaziona con le differenti fasce della popolazione? Come dice un mio amico, l’obiettore di coscienza Aiden Katri: l’esercito è un signore Ashkenazita sulla sessantina, e non sono le sue figlie a essere rinchiuse nelle prigioni militari. (Ndt. Una interpretazione potrebbe riportare allo stato di Israele, sessantenne, duro come  gli Ashkenazita e razzista in quanto i suoi figli non sono in carcere)
Per molte ragazze  la discriminazione che provano è evidente e ciò legittima in qualche modo, ai loro occhi, il mio rifiuto di servire. Loro sono deluse dal sistema e si identificano con la volontà di   che tu hai di resistere. Quando parlo del mio desiderio di contribuire comunque, e di fare il servizio civile, un sacco di ragazze respingono tale opzione. Mi consigliano di “non dare un minuto della tua vita per questo paese”, perché non merita nulla e che tutti noi dobbiamo prenderci cura di noi stessi. Perché nessun altro lo farà.
Al momento non voglio affrontare il fatto che la maggior parte di queste ragazze hanno giurato sostegno a Netanyahu, che a parer mio contraddice totalmente il senso di alienazione da parte dallo Stato e dal governo. Ma voglio raccontare la storia di Olga, che mi ha lasciato a disagio.
Olga è immigrata in Israele quattro anni fa dall’ Uzbekistan e ha rinunciato alla sua cittadinanza uzbeka. Dopo aver vissuto per un breve periodo a Carmiel e imparato l’ebraico Olga è stata arruolata. Dopo aver frequentato un campo ebraico di formazione di base fu mandata ad un corso di formazione sul combattimento. Lei voleva davvero servire a Oketz, l’unità delle forze speciali canine, perché ama i cani,   ma le è stato detto che la sua scarsa conoscenza della lingua ebraica lo escludeva. Così, è stata inviata alla polizia di frontiera, dove la gente per strada  chiede ogni momento qualcosa, per cui l’ebraico serve di più. Questo è quanto  IDF decise.
Nonostante tutto, ha deciso di fare quello che era necessario, per servire nella polizia di frontiera oltre a firmare per un anno in più di permanenza nell’esercito. Olga non ha nessuno in Israele, vive in un ostello di soldati ed è piuttosto disorientante. Quando Lei è stata arruolata, ha ottenuto uno stipendio di 400 shekel (meno di $ 100) al mese. Il suo stipendio è stato aumentato quando lei è diventata “combattente”, ma ancora le sue spese  superavano il suo reddito. Olga non capisce realmente la sua situazione finanziaria. Recentemente, si è resa conto che il suo conto in banca era scoperto di 12.000 shekel (quasi $ 3.000). Forse nessuno l’ha avvisata, forse non ha capito  a causa delle difficoltà linguistiche,  ha scoperto la situazione solo quando le è stato staccato il  telefono. Per questo  venne condannata  a 40 giorni di prigione, questo potrebbero incidere sul diritto come soldato senza famiglia di prendere un aereo e raggiungere la sua terra natale per visitare i suoi genitori.
Una ragazza che viene da una situazione consolidata con buone doti  fisico-mentali ha innumerevoli porte aperte  nel IDF e anche quando lascia l’esercito. Ma se invece è svantaggiata fin dall’inizio, lei entra in un sistema  insensibile e illogico. In tante  storie che ho conosciuto, non viene dato nessun sostegno a coloro che hanno difficoltà. Al contrario: invece di ottenere aiuto, sono mandate  in prigione.
La prigione mi sta dando una nuova prospettiva. Un nuovo motivo per non essere parte di un sistema che pretende di essere un “melting pot”, ma in pratica conserva le disparità – Rafforza il forte – indebolisce i deboli.

Per me, la rabbia di coloro che il sistema abbandona, la perdita di ogni speranza verso lo stato e il governo è direttamente collegata a una critica al governo che agisce come un occupante e opprime coloro che non hanno diritti. Ma ciò che è importante in ogni lotta  che affrontiamo e in ogni obiettivo che ci proponiamo è ricordarci e credere che il cambiamento è possibile, e non disperare.
L’esercito questa settimana ha condannato  Tair Kaminer, 19 anni, a 45 giorni per un sesto mandato consecutivo, per aver rifiutato di servire dopo essere stata arruolata. Quando lei finirà di scontare questa condanna sarà stata imprigionata complessivamente per 170 giorni, molto di più rispetto a qualsiasi altro obiettore di coscienza femminile in Israele.

 

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trad. Invictapalestina.org

Fonte: http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.726699?utm_content=%24sections%2F1.726699&utm_medium=email&utm_source=smartfocus&utm_campaign=newsletter-weekend&utm_term=20160623-15%3A06

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