Il sindaco israeliano che non vuole arabi nelle sue piscine non è un estremista – E’ nel mainstream

L’episodio razzista riportato dall’affermazione di Moti Dotan è alimentato da una leadership che ha fatto dell’esclusione e dell’isolamento dei cittadini arabi di questo paese la spina dorsale del patriottismo israeliano.

Haaretz editoriale 31 luglio 2016

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Lower Galilee Regional Council head Motti Dotan

Nel dire “Io non odio gli arabi, ma  non li voglio nelle mie piscine,” Moti Dotan, capo del Consiglio della Bassa Galilea,   esprime l’essenza di quella forma radicata di razzismo – il genere  non mascherato come qualcos’altro o  offuscato dal   political correctness.
Giovedì, durante una sua intervista con una stazione radio israeliana, Dotan non ha invocato l’espulsione per gli arabi  dal paese o l’incendio delle loro moschee del villaggio. Non è un membro di La Familia, gruppo di tifosi di calcio del Beitar Gerusalemme, e non gridava “Morte agli arabi!”.

Il capo del Consiglio bassa Galilea ha effettivamente espresso ciò che molti ebrei – se non la maggioranza della popolazione ebraica in Israele – pensa.

“Nella cultura araba, non in quella ebraica, si va in piscina indossando i vestiti, cercando di imporre tutti i tipi di abbigliamento, e questo è il motivo per cui non ci si addice. La cultura della pulizia non è la stessa come la nostra”, ha dichiarato, sottolineando nello stesso momento  che ha amici arabi.
Nella gerarchia del razzismo, la posizione di Dotan può essere aggiunto a quello dei buttafuori delle discoteche che rifiutano l’ingresso agli israeliani di origine etiope o di chiunque la cui cultura “non è caratterizzata dalla mia cultura nei luoghi di svago, come una piscina”, come asserito da Dotan.

In seguito ha ritrattato la scelta delle parole nel modo in cui si è pronunciato oggi, quando è scivolato sui termini razzisti della lingua: “E’ possibile che sono stato frainteso”.

Ma in realtà è questa la “sua” cultura, quella che ha nutrito questo razzismo ignorante per anni mantenendo rapporti di inimicizia con la minoranza araba, come parte di quella forma di identità culturale nazionale della società israeliana.

 

Questa cultura razzista è alimentata da una leadership che ha fatto dell’esclusione e l’isolamento dei cittadini arabi del paese la spina dorsale del patriottismo israeliano.

E’ la stessa leadership che ha escluso il  poeta palestinese Mahmoud Darwish dai programmi scolastici e dal  discorso pubblico; che ha paura del termine “Nakba”; che perseguita  i teatri arabi ed ebrei che osano evidenziare la narrazione palestinese; e che cerca di distruggere l’uso della lingua araba nel paese. Moti Dotan, consente inoltre, anche se non formalmente, di stabilire le proprie regole “culturali” per espellere i cittadini arabi dalle piscine nella regione meridionale della Galilea.
I ricorsi presentati dai membri della Knesset al ministro dell’Interno Arye Dery e al procuratore generale Avichai Mendelblit chiedono di esaminare  la correttezza e se questo costituisca incitamento, ma non è abbastanza.

Se il primo ministro Benjamin Netanyahu è veramente convinto nella sua intenzione di cambiare il modo di rapportarsi con i cittadini arabi di Israele – come ha dichiarato nel suo discorso in un video  indirizzato a loro la settimana scorsa ( “Thrive in droves“) – è opportuno che la sua voce sull’argomento sia ascoltata  e  chiarisca che gli arabi sono voluti ovunque in tutto il paese, proprio come gli altri cittadini di Israele.

 

 

Trad. Invictapalestina.org

Per saperne di più: http://www.haaretz.com/opinion/1.734348

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