L’alleggerimento di alcune delle più dure condizioni del blocco può aiutare fino a 100.000 gazawi, ma ignora i bisogni elementari e i diritti degli altri 1,7 milioni di palestinesi della Striscia.
Di Amira Hass, 13.07.2015 (Haaretz)
Gli ufficiali dell’esercito israeliano hanno fatto una stupefacente scoperta, che è valsa loro molto apprezzamento: il degrado economico nella Striscia di Gaza costituisce una minaccia alla tranquillità e alla stabilità.
Hanno anche scoperto che c’è un nesso tra la politica di Israele e il decadimento economico. Hanno quindi suggerito al ministro della difesa di alleggerire il rigido blocco di Gaza. Un editoriale di Haaretz ha definito le loro raccomandazioni “una nuova strategia pragmatica e razionale”.
Sono scoppiati gli applausi. Come nella vecchia barzelletta sul rabbino che suggerisce all’uomo che vive in una casa insopportabilmente affollata di portare in casa una capra e lasciarla libera, così l’esercito ha proposto di togliere un paio di restrizioni su Gaza – restrizioni che sono state stabilite dai militari e dai politici nei primi anni ’90.
Magari nelle raccomandazioni c’è di più di quanto riferito dal mio collega Amos Harel (Haaretz, 8 luglio 2015). Ma secondo il documento, le raccomandazioni sono piuttosto modeste quanto ad obbiettivi:
. Permettere ai lavoratori palestinesi di lavorare nelle comunità al confine con Gaza. Si tratta di una marcia indietro rispetto al piano di disimpegno del 2005, quando migliaia di palestinesi che ancora lavoravano in Israele furono espulsi e venne cancellata una politica durata 35 anni che consentiva ai gazawi di lavorare in Israele. Il ritorno di alcune migliaia di palestinesi a lavorare in Israele migliorerà la situazione di decine di migliaia di persone, e questo non va sottovalutato. Allo stesso tempo, questo ritorno andrà a beneficio di quelle comunità israeliane (lavoro a basso costo, disponibile e di buona qualità, soprattutto in agricoltura e forse anche nel settore delle costruzioni). Ma non modificherà sostanzialmente la situazione di disoccupazione a Gaza né risolverà il problema dei giovani disoccupati.
. Riaprire il transito commerciale di Karni (che è stato chiuso di fatto nel 2007 ed ufficialmente nel 2011) ed ampliare il transito commerciale di Kerem Shalom. In altri termini, aumentare il numero dei camion che trasportano merci. Non c’è carenza di beni di consumo a Gaza, per cui si spera che questo ampliamento significhi aumentare la quantità di materiale da costruzione in ingresso a Gaza e accelerare il processo di ricostruzione. Questo è certamente uno sviluppo positivo. Non è stato specificato se l’esercito consiglia di permettere ai palestinesi di Gaza di commerciare di nuovo le loro merci in Israele e Cisgiordania, ma forse è questa l’intenzione.
Dal 2007 Israele ha vietato la vendita di prodotti agricoli e dell’industria leggera, come vestiti e mobili, fuori da Gaza, provocando il fallimento di importanti industrie manifatturiere. Si spera che i responsabili delle decisioni nell’esercito capiscano che non ci può essere ripresa economica senza la riapertura del settore manifatturiero e la possibilità di vendere le merci al di fuori di Gaza.
. Permettere a migliaia di palestinesi di uscire da Gaza attraverso il ponte di Allenby al confine con la Giordania – in altri termini, permettere il passaggio in Israele e la Cisgiordania. Queste “migliaia” sono studenti che sono stati inseriti in programmi di studio all’estero, uomini d’affari, malati che viaggiano per avere cure mediche, pellegrini che si recano alla Mecca, palestinesi che sono arrivati da fuori per visitare la loro terra, personale di organizzazioni locali o internazionali che devono partecipare a conferenze o programmi di formazione all’estero. Insomma, chiunque abbia ottenuto un visto all’estero, che abbia il permesso di entrare attraverso la Giordania e che abbia i mezzi finanziari per tale viaggio. Una stima molto abbondante indica la cifra di circa 100.000 persone all’anno.
E i restanti 1,7 milioni?
Il testo del documento chiarisce molto bene una cosa. Gli ufficiali dell’esercito non raccomandano di fare la più naturale delle cose: aprire il valico di Erez in modo che gli abitanti di Gaza possano percorrere i 50-70 kilometri verso la Cisgiordania, e che gli abitanti della Cisgiordania possano recarsi a Gaza. Non raccomandano che i gazawi possano tornare a studiare nelle istituzioni della Cisgiordania; non raccomandano che gli amici e i familiari della Cisgiordania e di Gaza possano tornare a stare insieme, o formare nuove famiglie e creare rapporti di lavoro. Non raccomandano ciò che dovrebbe essere considerato come garantito: la libertà di movimento per tutti. Gli ufficiali dell’esercito continuano a considerare la negazione della libertà di movimento per i palestinesi nella loro terra come la norma, come una legge di natura. La differenza adesso è nel numero delle eccezioni alla norma che loro consigliano, ma non è una differenza sostanziale.
Nonostante la vanità dei miei sforzi per comunicare il seguente dato di fatto, non mi stanco di ripeterlo: la politica di fondo che ha guidato le mosse di Israele dal 1991 è separare Gaza dalla Cisgiordania e renderla un’entità separata e autarchica. La strategia gemella è la creazione di enclave palestinese in Cisgiordania e l’annessione dell’area C (quelle parti della Cisgiordania che gli Accordi di Oslo hanno posto sotto il temporaneo controllo totale di Israele, a livello civile e di sicurezza). Gli ufficiali dell’esercito non raccomandano la cancellazione di questa duplice strategia, che è la madre di tutti i fallimenti diplomatici e dei disastri umanitari, economici e della sicurezza degli ultimi 20 anni.
Non ci può essere alcuna ripresa economica a Gaza senza il ripristino dei rapporti naturali tra i gazawi e le loro sorelle e fratelli in Cisgiordania. Non può esserci ripresa economica senza il rispetto del diritto dei palestinesi alla libertà di movimento – non solo per andare all’estero, ma all’interno del proprio paese. Non ci può essere ripresa economica palestinese senza che vengano eliminate le restrizioni della libertà di movimento e della costruzione e sviluppo nell’area C della Cisgiordania.
Un’ultima cosa: senza un’equa ripartizione delle risorse idriche nel paese (tra il fiume e il mare [ossia in Israele e in Cisgiordania. N.d.tr.]) con i palestinesi, e la immediata erogazione di decine di milioni di metri cubi di acqua a Gaza – non come carità, ma come dovere e risarcimento per decenni di furti –, la ripresa non sarà altro che un vuoto slogan, perché il disastro umano ed ambientale è già lì. Qui.
Traduzione di Cristiana Cavagna