La Women flotilla verso Gaza è qualcosa di più che un mero simbolo
La loro azione rende indistinti i confini di Stato-nazione, razza e classe, traslando la lealtà verso i diritti umani
Gaza, 21 settembre 2016, Susan Abulhawa (*)
Amal e Zaytouna, una flotta composta da due barche, per equipaggio e passeggeri sole donne, è salpata da Barcellona facendo rotta verso una Gaza sotto assedio, in un altro tentativo via mare di rompere il blocco illegale che Israele impone sulla stretta striscia di territorio costiero palestinese.
È una zona in cui un milione e settecentomila palestinesi sono stati chiusi per circa dieci anni, in quella che molti hanno descritto come “la più grande prigione a cielo aperto del mondo”, un laboratorio umano che Israele utilizza periodicamente per testare le proprie armi.
Come nel caso dei precedenti viaggi di civili verso Gaza, queste barche trasportano personaggi pubblici internazionali di spicco, che sperano di poter usare la propria rilevanza per far convergere l’attenzione internazionale sui crimini che Israele continua a perpetrare nei confronti dei Palestinesi.
Ci sono undici donne su ogni barca, tra loro: Malin Bjork, membro del Parlamento europeo, Mairead Maguire, la nordirlandese che ottenne il Nobel per la Pace, Fouzia Hassan, un medico malese, e Ann Wright, colonnello dell’esercito statunitense in congedo.
Portare un messaggio di speranza
Della ventina di viaggi simili a questo che si sono succeduti a partire dal 2008, solo cinque sono riusciti ad arrivare a Gaza. Gli altri sono stati intercettati dall’esercito israeliano, che spesso ha confiscato i natanti e l’equipaggiamento, e tratto in arresto i passeggeri.
E mentre le barche spesso trasportano aiuti, compresi dotazioni sanitarie, materiali da costruzione e scolastici, gli organizzatori considerano questi tentativi (che sono costosi e a rischio) soprattutto simbolici.
La portavoce Zohar Chamberlain Regev ha dichiarato ad Al Jazeera: “Trasportiamo soprattutto un messaggio di speranza e solidarietà [per la popolazione di Gaza]”.
Forse è difficile vedere l’impatto reale e materiale degli attivisti internazionali che salpano per cercare di raggiungere Gaza, solo per esser intercettati, arrestati e deportati. Ma il significato di questi tentativi diventa chiaro quando considerato nel più ampio contesto dei movimenti popolari che stanno mettendo radici in tutto il mondo.
Il furto della Palestina e la distruzione della sua società autoctona è l’ultima vestigia del colonialismo al mondo. È il legame fra quell’epoca vergognosa e la distruzione della vita contemporanea portata dal neoliberismo, la guerra come fonte di reddito e la totale distruzione del nostro pianeta per il profitto di pochi.
Uno dei più chiari esempi attuali è sotto gli occhi di tutti in North Dakota. Mentre le Women’s Boats sono salpate verso la Paestina, un’epica battaglia è stata intrapresa dalla nazione Sioux di Standing Rock per fermare la costruzione di un oleodotto che minaccia l’integrità della sua terra e della sua acqua.
Alla sua lotta si sono aggiunte più di sessanta tribù di Nativi americani. Gente della Prima Nazione in tutto il mondo ha espresso la propria solidarietà e dichiarazioni di supporto sono state pronunciate fra gli altri dalla National Lawyers Guild, da importanti Palestinesi, dal movimento palestinese per il BDS (Boycott Divestment and Sanctions), da Black Lives Matter e dalla nazione islamica. E manifestazioni di supporto sono state organizzate in molte città statunitensi e di altri paesi.
La violenza nutre la solidarietà globale
Come nel caso di Standing Rock, l’unione così immediata di movimenti di sinistra per una causa comune ha molto rafforzato la lotta palestinese contro il colonialismo israeliano. Inoltre, la tradizionale risposta del potere – cioè il ricorso alla violenza – si è dimostrata inefficace. Per esempio, quando Israele ha abbordato e attaccato la Gaza Flotilla nel 2010 (Video in fondo alla pagina), uccidendo dieci passeggeri disarmati, il movimento Free Gaza è stato sommerso da richieste provenienti da tutto il mondo di persone che volevano aderire alla sua causa.
In poco tempo la coalizione è cresciuta da sei a venti organizzazioni, inclusi gruppi italiani, olandesi, norvegesi e spagnoli, tra gli altri.
Analogamente, quando la Energy Transfer Partners, la cui sede è in Texas, utilizzò cani addestrati per attaccare i manifestanti disarmati che proteggevano la loro terra, la determinazione dei Sioux aumentò e attivisti di tutto il Paese scesero in strada per manifestare la loro solidarietà. Come previsto, il potere – che sia delle corporation, dello Stato o di entrambi – sta focalizzando la propria attenzione sull’impedire la diffusione dell’informazione. Uno degli strumenti più efficaci di cui al momento si possono servire gli attivisti è la relativa facilità di accesso alle notizie che byapassa i tradizionali custodi dell’informazione, come gli editori dei quotidiani mainstream e i produttori televisivi delle corporation.
I social media, le fonti indipendenti di notizie e il giornalismo partecipativo posseggono efficaci forum di comunicazione con il mondo.
Non è stata quindi una sorpresa quando il North Dakota ha spiccato un mandato di arresto nei confronti di Amy Goodman, il cui servizio durante Democracy Now, che mostrava i cani delle corporation sguinzagliati all’attacco contro i manifestanti disarmati, si è diffuso in tutto il web. D’altro canto, Israele ha stretto accordi– cosa mai accaduta prima – con i giganti dei social media, come Facebook, per censurare la voce dei Palestinesi, in particolare i video che provavano il persistere dei crimini di guerra israeliani.
Verso un nuovo concetto di cittadinanza
Il furto della Palestina e la distruzione della sua società autoctona è l’ultima vestigia del colonialismo al mondo. È il legame fra quell’epoca vergognosa e la distruzione della vita contemporanea portata dal neoliberismo, la guerra come fonte di reddito e la totale distruzione del nostro pianeta per il profitto di pochi. Due barche che trasportano ciascuna undici donne e poche centinaia di persone accampate sulla propria terra per fermare un oleodotto possono apparire solo simbolici in confronto allo schiacciante potere delle corporation e degli Stati militari, ma sono più di questo. Hanno prodotto l’insoddisfazione globale di un pubblico sempre più informato. Rappresentano un risveglio popolare, in cui i cittadini sono spinti a proteggersi l’un l’altro da un potere che cerca di sfruttarli. Sono i legittimi agitatori di cui tutti noi abbiamo bisogno in questi tempi disperati di violenza di Stato e guerre globali senza precedenti, inquinamento e incertezza riguardo a cibo e acqua. La loro azione rende indistinti i confini di Stato-nazione, razza e classe, traslando la lealtà verso i diritti umani. Costruiscono reti globali di attivisti. Aiutano a cambiare la narrativa corrente inserendo nei discorsi quotidiani parole come “occupazione”, “assedio” e “dignità”.
Le donne sulla Amal e sulla Zaytouna provengono per la maggior parte da nazioni potenti, o per lo meno stabili. Stanno usando i loro privilegi e il loro accesso alle risorse nel miglior modo possibile: per fornire solidarietà alla lotta di un popolo assediato e per aiutare a forgiare un nuovo concetto di cittadinanza
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice dello stesso e non necessariamente riflettono la politica editoriale di Al Jazeera.
ACCORDO TURCHIA –ISRAELE
Le famiglie vogliono la fine dell’assedio di Gaza.
31 Maggio, 2010- Un commando israeliano attacca una nave con centinaia di attivisti umanitari in acque internazionali che si stavano dirigendo a Gaza. Dieci attivisti turchi furono uccisi mentre decine di altri attivisti furono feriti. L’assalto alla Mavi Marmara irrigidì i legami diplomatici fra Ankara e Tal Aviv.
Fra le vittime c’era anche il padre di Ismail, Ibrahim Bil Gen.
Nonostante Israele abbia accettato di corrispondere ai familiari delle vittime un risarcimento di 20 milioni di dollari, Ismail non è soddisfatto dell’accordo.
Ismail: Altro che un buon accordo! Nulla è cambiato de facto. Mio padre si trovava sulla Freedom Flotilla per rompere l’assedio di Gaza, assedio che è ancora in corso. Inoltre, chiediamo che Israele paghi un compenso sottoforma di punizione per il crimine commesso e non sottoforma di donazione come pattuito.
In seguito all’attacco alla Freedom Flotilla, i funzionari turchi hanno messo a punto tre domande alle quali Israele dovrebbe rispondere affinché i legami fra i due paesi possano essere riallacciati. Scuse, compensazione e la fine completa dell’assedio a Gaza.
Erdogan: Ho affermato che non vi sarebbe potuta essere una normalizzazione fino a quando Israele non avrebbe adempiuto a tre cose:
una di queste era quella di chiedere scusa; la seconda di pagare un risarcimento; la terza di porre fine all’assedio di Gaza. In altre parole, ogni tipo di aiuto proveniente dalla Turchia deve poter raggiungere la Palestina.
Secondo questo accordo, tuttavia, l’assedio non sarà cessato e la Turchia dovrà inviare i materiali e gli aiuti al porto di Ashdod da dove Israele provvederà a trasferirli a Gaza.
In queste immagini è descritta tutta l’organizzazione che sta dietro la Freedom Flotilla.
Museyin Attivista Freedom Flotilla: L’assedio, la questione più importante, non è cambiato. L’assedio continua. Entrambi i primi ministri hanno tenuto delle conferenze stampa nello stesso momento. Da una parte, il ministro turco ha detto che la Turchia avrebbe inviato aiuti a Gaza e Israele li avrebbe fatti passare; dall’altra, Netanyahu ha detto che l’assedio non verrà rimosso. Ha vinto, non c’è altro da aggiungere.
Ismail mi ha detto che si sente deluso dal governo ma giura che continuerà la battaglia di suo padre.
Ismail: Israele pagherà il prezzo per tutti i crimini che ha commesso; non smetteremo mai di perseguire la giustizia, seguiremo le orme dei nostri padri.
I familiari di coloro che sono stati uccisi sei anni fa credono che vi sia una battaglia contro l’oppressione e l’occupazione da perseguire a prescindere dalla direzione che intendono prendere gli altri.
Jamal Elshayyal, Al Jazeera, Istanbul
Trad. Marina S. e Rossella Tisci – Invictapalestina
(*) Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese, autrice del romanzo Ogni mattina a Jenin (Bloomsbury 2010; Feltrinelli 2011), che è diventato un best-seller internazionale. È anche la fondatrice di Playgrounds for Palestine, una Ong che si occupa di bambini.
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